Il patto dei gentiluomini
eBook - ePub

Il patto dei gentiluomini

Le indagini dell'intendente Navarra

  1. 349 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il patto dei gentiluomini

Le indagini dell'intendente Navarra

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

All'intendente Rodrigo Navarra hanno sparato, proprio fuori dal commissariato di Managua. Sa chi è stato, non sa perché. Navarra trascorre la convalescenza nella tenuta di Llano Grande, in Costa Rica, dove la madre vive con il secondo marito, Osvaldo Letencourt, un tempo responsabile della DIS, il servizio segreto costaricano, continuandovi però ad avere un ruolo di primo piano. Sarà proprio Letencourt a coinvolgere l'intendente in quello che all'apparenza sembra un "ordinario" caso di omicidio, quello di un guardaboschi.Letencourt mette al corrente Navarra di appartenere, unico civile, a un gruppo di ufficiali centroamericani che, in maniera clandestina, in tempo di guerra ha aiutato gli oppositori alle dittature a fuggire, in tempo di pace combatte le nuove minacce alla democrazia, soprattutto il narcotraffico. Il gruppo si è autodefinito "El Pacto de los Caballeros".Ci sono però dissidi tra i "gentiluomini". E c'è una talpa… E il servizio segreto americano…La prima indagine dell'intendente Navarra è "Il segreto di Julia", pubblicato da VandA.ePublishing nel 2013.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il patto dei gentiluomini di Maurizio Campisi in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Letteratura poliziesca e gialli. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788868990541

1

La prima cosa che avvertì fu il freddo. Una folata fresca sul suo viso che si propagò come una scarica elettrica al resto del corpo. Poi, un profumo vagamente conosciuto, di cui cercò traccia, senza fortuna, nella memoria. Provò ad aprire gli occhi, ma riuscì solo a roteare le orbite, incapace di reagire. Consumato dallo sforzo, cadde di nuovo nel torpore, nel sonno buio e tormentato che lo teneva inchiodato in un limbo che gli procurava angoscia e sofferenza.
La donna nella stanza non si rese conto di quella repentina e breve presa di coscienza del malato e continuò a osservare oltre la finestra la linea della cordigliera che si stagliava precisa nel cielo terso. Stava albeggiando e si sentiva stanca. Aveva voglia di scendere al pianterreno a prendere un caffè nel bar dell’ospedale, vedere gente, ascoltare suoni e parole, uscire da quella camera ovattata che le procurava solo tristezza e apprensione. Era la sesta notte di fila che passava al capezzale del malato.
L’infermiera entrò senza bussare e sobbalzò quando vide la donna.
«Mi scusi, sono del nuovo turno. Non sapevo della sua presenza» balbettò. Si avvicinò al letto e controllò tubi e cateteri.
«La soluzione salina sta terminando. Adesso gliela cambio. Come ha trascorso la notte?»
La donna fece un gesto lieve nell’aria.
«Come al solito.»
«Vada a fare colazione. Intanto io penserò a cambiargli il siero e a mettere un poco di ordine nella stanza.»
La donna assentì. Gli ospedali privati saranno stati costosi, ma almeno offrivano comodità che erano sconosciute a quelli pubblici. La riservatezza del dolore, per esempio, la sofferenza relegata a un fatto personale, da condividere solo con gli affetti e le persone care in una propria camera. Il resto del mondo restava fuori, escluso. Non c’era paragone con l’essere abbandonati in una corsia ad alimentare la curiosità degli altri, a soddisfare la morbosità di sconosciuti passanti. Tutto si svolgeva secondo un rito privato, che non lasciava spiragli all’indiscrezione altrui, nella difesa della propria intimità.
«Vado a fare colazione» annunciò all’infermiera.
«Vada pure. Se succede qualcosa, l’avviso.»
Prese l’ascensore e, una volta nell’atrio, si diresse verso la caffetteria e chiamò casa.
Osvaldo Letencourt rispose con la voce ancora impastata di sonno.
«Come va?» le chiese.
«Niente di nuovo. Tu?»
«Mi sto appena alzando.»
«Vai in ufficio?»
«Sì, oggi è giorno di riunioni. Tu fra quanto arrivi?»
«Pensavo di fermarmi ancora un paio d’ore. Non mi aspettare.»
Osvaldo si lasciò scappare un grugnito di disapprovazione.
«Mi piacerebbe ogni tanto fare colazione insieme.»
«Conosci la situazione.»
«Sì, hai ragione. Scusami. So che il momento è difficile.»
«Dobbiamo avere pazienza.»
«Non pensare a me. Piuttosto, riguardati.»
La donna riattaccò dopo aver salutato con un filo di voce.
Osservò il viavai della caffetteria. Un paio di tavolini erano occupati da alcuni medici dall’aria assonnata, che avevano smesso il turno di notte. Parlavano tra di loro senza entusiasmo, come aspettando che il caffè si raffreddasse abbastanza per andarsene finalmente a casa.
Ordinò un caffelatte, una brioche e un succo di arancia. Si sentiva a pezzi. Aveva dormicchiato un paio di ore quella notte, incapace di prendere sonno, sempre attenta ai movimenti del malato. Quel dormiveglia le aveva dato il tempo di ripensare agli avvenimenti degli ultimi giorni.
Tutto era cominciato una settimana prima, quando aveva ricevuto una telefonata dall’ex marito Carlos, una chiamata che le aveva fatto accapponare la pelle. Le aveva dato la notizia con il suo solito tono distaccato e imperturbabile, come se il fatto non lo riguardasse. Poi, per il resto della telefonata avevano solo litigato: nonostante la gravità in cui versava il loro figlio, l’ex marito insisteva che l’ospedale di Managua dove era ricoverato rispondesse a tutti i requisiti per affrontare l’emergenza. Dopo venti minuti di accesa discussione, lei aveva interrotto la comunicazione. Inutile perdere tempo in chiacchiere. Aveva chiamato immediatamente Osvaldo e gli aveva spiegato la situazione. In meno di un’ora un piccolo jet-ambulanza decollava dall’aeroporto Juan Santamaría con destinazione Managua. Niente e nessuno le avrebbe impedito di seguire il suo proposito. Alla fine di quella giornata burrascosa suo figlio, intubato e privo di conoscenza, era giunto in Costa Rica e trasportato in un ospedale privato, dove aveva subito ricevuto le cure necessarie. Alla prima valutazione delle ferite i medici l’avevano rassicurata: le pallottole non avevano leso punti vitali. Anche così, però, avevano dovuto indurre nel paziente un coma farmacologico per poter intervenire chirurgicamente. L’operazione era riuscita, ma nonostante la riduzione delle dosi dei barbiturici, suo figlio non si era ancora risvegliato.
Stava pensando se sarebbero sorte delle complicazioni, quando un’infermiera le si avvicinò e le toccò con riguardo la spalla.
«Doña Milena?»
Al sentire il suo nome si riscosse bruscamente dai pensieri.
«È meglio che venga. C’è bisogno di lei sopra.»

2

La natura gli era piaciuta sin da quando era bambino. Ricordava che era stato suo padre a portarlo per la prima volta a visitare un parco nazionale, quando lui aveva poco più di cinque anni. Il ricordo era sbiadito, appena un’eterea traccia nella sua memoria, eppure era sicuro che quegli odori, quei suoni, quelle sensazioni che provava all’entrare nel cuore dell’universo verde delle foreste pluviali e delle giungle tropicali gli si era stampato addosso da quel primo momento. La passione, poi, era cresciuta da ragazzino, quando aveva imparato ad accamparsi, a conoscere i sentieri, i nomi degli animali e delle piante, a distinguere orme, decifrare segnali. Aveva assimilato ogni conoscenza che avesse un riferimento con l’ambiente, obbligando suo padre, ad ogni vacanza da scuola, a portarlo a visitare le varie riserve naturali del Paese. Era stato un apprendistato giocoso, ricco di fatti insoliti e colpi di scena, come se la natura fosse lì solo per serbargli novità, dove i noiosi concetti spiegati sui libri di scuola trovavano immediato riscontro nella realtà. A tredici anni era già in grado di affrontare da solo le piste che partivano dai boschi per raggiungere i più alti picchi del Paese, di orientarsi tra gli intricati sistemi delle foreste pluviali.
Una volta terminato il liceo si era iscritto a scienze forestali e, appena presa la laurea, aveva partecipato al primo concorso per guardaparchi istituito dal ministero dell’Ambiente, piazzandosi tra i primi tre classificati. Ora faceva capo alla stazione del Juan Castro Blanco, un parco di quattordicimila ettari di estensione che si trovava nel centro della cordigliera che tagliava in due la Costa Rica. Era un posto dimenticato da Dio e Ignacio Caliendo ci si sentiva a suo agio. Non che fosse un solitario, ma quell’isolamento lo trasportava in un emotivo e soprattutto costante viaggio interiore di cui sentiva un’enorme necessità in quel momento della sua giovane vita. Non aveva ancora ventisei anni e alla città o alle agitate serate nei locali della movida della capitale preferiva la tranquillità dei boschi. Ciononostante, non era un eremita, e quando terminava il suo turno settimanale gli piaceva tornare a San José, alla civiltà – come la chiamava lui –, e incontrarsi con gli amici. Erano notti brave quelle che trascorreva, che finivano davanti al bancone dell’ultimo bar aperto oppure nel letto di una compagna occasionale. Ignacio non si era mai fatto problemi. Credeva che la vita offrisse circostanze speciali e che bisognava approfittare delle opportunità quando si presentavano. Si sentiva libero e indipendente, fuori dagli schemi, e non si era mai sentito in colpa per le decisioni che prendeva. Le sue vicissitudini nella capitale erano solo una parentesi obbligata, che si intercalava con quella che riteneva la sua vera dimensione. Camminare nel parco, inoltrarsi nei sentieri, osservare gli animali lo innalzavano a un livello superiore di quello offerto agli altri mortali. Si sentiva un privilegiato, quasi un eletto per quella relazione speciale con la natura, e il parco era diventato il suo personale regno, di cui conosceva ogni anfratto e angolo occulto.
Il Juan Castro Blanco era una delle riserve naturali più inaccessibili del Paese. L’interno era l’habitat naturale di centinaia di specie animali, dalle più innocue, come le rane, il basilisco, il quetzal, fino a quelle più pericolose, come il boa, il giaguaro o il letale terciopelo, il serpente velenoso che aveva decimato le spedizioni dei Conquistadores impegnati nella scoperta del Nuovo Mondo.
Bisognava conoscerlo bene per non perdersi. Al visitatore offriva pochi punti di riferimento, come la base d’entrata sulla riva del fiume Toro. Era quello l’ultimo bastione dell’umanità, perché dopo pochi passi si veniva inghiottiti dalla foresta vergine, che appariva impenetrabile e insondabile, un labirinto per i neofiti.
Ignacio aveva appreso a orientarsi con destrezza, al punto che ora era in grado di abbandonare il sentiero e addentrarsi nel folto della macchia senza per questo temere di perdersi. All’inizio, quando aveva cominciato a lavorare, si avvaleva della bussola, oltre che di un semplice sistema di tacche sui tronchi e di bastoncini spezzati che aveva ideato e che lo aveva aiutato a inoltrarsi nelle profondità del bosco. Poi, diventato più esperto, aveva usato come riferimenti ruscelli, alberi secolari, colonie di termiti, tane abbandonate e tutto quello che poteva assisterlo in quell’intrico. Aveva imparato a riconoscere il pericolo dal comportamento degli scoiattoli, imperturbabili nelle loro faccende quotidiane e che si agitavano solo quando fiutavano l’insidia. Erano più affidabili delle scimmie e dei pappagalli, animali litigiosi che amavano fare baccano per faccende minime e, quindi, completamente inattendibili.
Spesso, e quel giorno non era un’eccezione, si avvaleva di quelle sue conoscenze per fare colpo sulle turiste straniere che accompagnava nel bosco. Penetrare nel profondo della foresta era un’esperienza ineguagliabile per chi veniva dalla città. Al vedersi fuori del sentiero, circondato da una natura rigogliosa e asfissiante, il turista provava immediatamente l’ineluttabilità della propria fragilità come essere umano, era sopraffatto da quell’ambiente sconosciuto che, dopo pochi passi, da maestoso e affascinante risultava improvvisamente inquietante. Ignacio, volutamente, assumeva l’aria dell’esperto accondiscendente che guidava gli ignari turisti alla scoperta di quel mondo, rassicurandoli e dimost...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il Patto dei Gentiluomini