Lettera aperta a uno studente universitario
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Lettera aperta a uno studente universitario

  1. 160 pagine
  2. Italian
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Lettera aperta a uno studente universitario

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Una lettera franca e appassionata, diretta a quei tanti giovani che riempiono le aule delle nostre accademie per scuoterli, per sollecitare una rivoluzione nel loro mondo interiore, spesso privo di convinzioni, punti di riferimento, forti motivazioni, per dir loro infine che è possibile trovare piena soddisfazione nell'esperienza universitaria.Un testo diretto e generoso che insinua dubbi, fornisce risposte, indica possibili comportamenti, ma soprattutto trasmette un grande amore per lo studio e per la conoscenza. Perché "Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza".

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788898475018

1

PROLOGO
Davvero non conosci la leggenda per cui l’università sarebbe nata a seguito di un intervento diretto di Dio?
No, non chiedermi da dove sia venuta fuori la storia. Non si tramanda nulla neanche a proposito di quando, con esattezza, sarebbe avvenuto il fatto. Tutte le versioni della straordinaria vicenda concordano comunque su un punto: cruciale fu il momento in cui il padreterno si rese conto che l’umanità subiva il fascino della conoscenza e dell’allettante prospettiva di un suo proficuo sfruttamento per il bene comune. Tale inclinazione, infatti, non aveva in sé alcunché di peccaminoso e sembrava anzi benigna, meritevole di essere assecondata e in qualche modo razionalizzata. L’Onnipotente decise allora di inviare sulla terra una dozzina di angeli – selezionati, pare, da Lui personalmente tra i più brillanti ed eruditi di tutti i beati – affinché collaborassero con gli uomini per dare vita a un’istituzione votata alla promozione e alla tutela delle scienze.
Devi sapere che, giunto dalle nostre parti, il drappello di queste magnifiche creature non riuscì però a mantenersi compatto e a tenere un comportamento coerente con il raggiungimento dello scopo. Alcuni del gruppo, infatti – con ogni probabilità i più deboli, forse anche i più sensibili –, si lasciarono andare alla frequentazione sempre più abituale di osterie, postriboli e altri luoghi di malaffare, mostrando così di preferire di gran lunga uno stile di vita diverso da quello raccomandato dalla rigida etichetta dell’empireo. Altri, incorruttibili – forse vittime del loro stesso rigore –, perirono in una serie di imboscate per mano di agenti satanici ai quali, nel quadro di un’operazione di controspionaggio, era stato conferito nel frattempo un mandato antitetico al perseguimento di qualunque fine edificante legato all’uso e alla diffusione della conoscenza sul pianeta.
Il manipolo dei sopravvissuti rimasti fedeli al delicato incarico – presumibilmente i più duri, scaltri, propensi a ogni forma di compromesso, astutamente capaci di difendersi dal nemico e di confondersi con gli esseri umani mediante l’adozione dei loro stessi ambigui comportamenti – riuscì comunque a dare impulso alla nascita dell’università. Che, nel corso del tempo, divenne l’organismo a noi noto, vale a dire l’ambito in cui si insegna tutto e il suo contrario, l’istituzione in cui si professano convinzioni e teorie non sempre in armonia quando non in aperto contrasto tra di loro, l’organizzazione consacrata ai valori della ricerca e della verità ma spesso disposta a tradirli. Tuttora, e non a caso, si tratta di uno spazio abitato da creature angeliche e diaboliche, percorso in lungo e in largo da chi vola e si innalza fino a lambire le vette del paradiso, da chi al contrario serpeggia nelle bassezze contigue ai meandri dell’inferno, e infine anche da altri che, in modo più enigmatico, appaiono irresistibilmente attratti ora dall’una ora dall’altra di queste opposte altitudini.
Stando così le cose parrebbe, l’università, nient’altro che una piccola porzione dell’umanità, un fenomeno idoneo a rappresentarla al pari di qualunque altra sua parte. Ma allora, per arrivare in modo un po’ rude ad affrontare gli aspetti pratici della questione, per quale motivo, ti chiederai, sarebbe il caso di profondere tante energie in un’esperienza universitaria? Quale la ragione per cui dovresti ritenerla così importante se non inso­stituibile?
Se vuoi trovare una risposta a questi più che leciti interrogativi, comincia a prendere in seria considerazione l’ipotesi che l’università, nonostante tutto, sia il luogo più indicato di ogni altro al mondo per elaborare immagini realistiche di un mondo migliore del nostro. E già la cosa, di per sé, non è di poco conto. Ciò premesso, sarà mio compito provare a spiegarti la strana normalità per cui un sogno irrealizzato come l’università – uno splendido fallimento, o forse meglio, un disegno di stampo divino semifallito – costituisca uno strumento quanto mai adatto a evocare altri sogni, ancora più eccitanti, e più concretizzabili, del sogno stesso che li ha generati.

2

UNIVERSITÀ, QUADRI FAMILIARI, GIOVANE UMANITÀ
Una lezione universitaria è una rappresentazione, e una grande lezione presuppone una grande interpretazione. E ciò non perché sia una recita, un fatto teatrale, una finzione più o meno riuscita, ma perché vi si racconta una parte della vita, che va sempre meglio interpretata. Le conoscenze si tramandano, le generazioni parlano, comunicano. E uno dei punti più importanti di questa linea di dialogo è rappresentato dall’istituzione universitaria. Ma che cos’è oggi l’università? Il quesito non riguarda solo il mondo giovanile. Qualunque problema dei giovani, del resto, non è mai stato estraneo alle preoccupazioni dei più anziani, e non soltanto per ragioni sentimentali. Siamo in un’era in cui si moltiplicano i rapporti con tutto ciò che ci sta intorno. Aumenta la velocità di contatto con uomini e oggetti, diminuisce la possibilità di conoscere sia gli uni che gli altri.
È possibile che tu ti iscriva a un’università e la frequenti per lungo tempo senza sapere con esattezza di che si tratta? La risposta è sì, e se è per questo potresti anche aprire un conto corrente senza renderti conto di che cosa sia una banca e di che cosa faccia con precisione del tuo denaro. Il che, nella fattispecie, sarebbe meglio, poiché dare anche solo un’occhiata a quanto accade dietro le quinte di un istituto di credito avrebbe il solo effetto di angosciarti.
Vale lo stesso per l’università? Meglio ignorare ciò che si cela sotto la superficie? Non credo. In questo caso sembra opportuno approfondire, per un motivo simile a quello per cui è meglio che un soldato vada alla guerra armato.
Parlo a te, che hai optato per un qualsiasi corso universitario perché non volevi deludere tuo padre e tua madre, entrambi laureati. Parlo a chi si è iscritto a una qualunque facoltà per non frustrare le aspettative di genitori non laureati che, coscienti di quanto sia stata dura la vita in passato, non hanno mai smesso di ripetere ai figli quanto sia diventata ancor più difficile oggi. Ma mi rivolgo anche a chiunque abbia deciso di proseguire i suoi studi in università per qualsiasi altro motivo. Per la ragione che gli sembrava normale, vantaggioso, molto o anche solo lievemente conveniente, persino indispensabile – siamo in un’epoca in cui non se ne può fare a meno –, pressoché inevitabile – la vita in famiglia sarebbe diventata un inferno –, doveroso e quasi ineludibile – c’è chi è nato per lo studio, chi si sente lanciato inequivocabilmente in questa direzione, o magari è solo circondato da persone che lo hanno indotto a crederci.
Parlo all’ex liceale brillantissimo, praticamente un genio, teoricamente destinato a un futuro universitario luminoso, ma poi costretto a fare i conti con una realtà diversa da quella che aveva immaginato. E parlo anche a chi, con un passato da studente svogliato e neghittoso, sordo a qualsiasi raccomandazione e refrattario a ogni forma di impegno a parte quello di una saltuaria presenza a scuola, scopre la sua sorprendente e assoluta congruenza con tempi e metodi del sistema universitario. Ho poi forse qualcosa da dire anche ai giovani che, per mille ragioni, non hanno avuto alcuna esperienza d’università, e questo con il solo scopo di aiutarli a capire che cosa hanno perso o guadagnato, nel presupposto (per la verità, non so quanto fondato) che sia utile saperlo.
Molti genitori, per nulla propensi a trascurare i propri figli, tendono a tralasciare il fatto che un uomo o una donna di più o meno vent’anni sono ormai quel che sono, cioè un uomo o una donna. Solo nei loro ricordi prevalgono le immagini di bambini o adolescenti impreparati ad affrontare la vita. Anch’io, a volte, rivedo me stesso, nel mio periodo universitario, come non più di un ragazzo inesperto, ma solo nella parte più superficiale della mia memoria sono diverso dall’uomo che sarei diventato. Se non mi limito a riesumare qualche immagine e provo invece ad analizzarmi un po’ più a fondo, mi accorgo infatti che sono lo stesso.
Padre, o madre, che osservi tuo figlio – quello a cui ora mi rivolgo –, ti ha mai sfiorato il sospetto che l’amore per lui non te lo renda meno sconosciuto? Questo dubbio, se l’hai avuto, ti avrà fatto del male, poiché si sarà subito tramutato nel timore che egli possa soffrire senza dirtelo, anche perché il suo non è più l’intermittente dispiacere di un fanciullo, ma il più composto e persistente dolore di un adulto.
C’è un momento a partire dal quale si rimane essenzialmente uguali. Ma, ciò nonostante, il pezzo d’esistenza dedicato all’università lascia un’impronta indelebile, è diverso dagli altri che lo precedono o lo seguono: non dico migliore o peggiore ma differente, molto riconoscibile, un po’ come si distingue da tanti altri un giorno che per qualche motivo rimane memorabile. Per esempio, è indicibile la solitudine di uno studente universitario, unica e imparagonabile per come riesce ad accarezzare dolcemente o a mordere fino alle lacrime. Ma di questo parlerò più avanti.
Piuttosto, per quale ragione tu, giovane universitario, dovresti prestarmi attenzione? Forse perché, tanto per fare un esempio, conservo ricordi molto vivi di un mio passato che è ora molto somigliante al tuo presente. Ma, potresti pensare, sono trascorsi molti anni, tante cose sono cambiate, e quanto ai ricordi ognuno si tiene i propri, che valgono né più né meno come quelli degli altri. Devo tuttavia farti notare che il mio è un modo particolarmente intenso di appellarmi alla memoria, che mi trovo praticamente obbligato a ripercorrere certi sentieri, sollecitato a farlo in modo quasi irresistibile. Io non ho solo i miei ricordi del periodo universitario ma anche quelli accumulati nei decenni successivi da docente in continuo contatto con migliaia di studenti, tutti e costantemente di età simile, sempre, tutti giovani alle prese con quella medesima porzione di vita, con le stesse ansie, gli stessi pensieri. E io lì, vicino a loro, necessariamente piuttosto vicino, in un rapporto professionale, istituzionalizzato, codificato in una serie di gesti da compiere e ripetere, relazioni iniziate, sviluppate e concluse con una dinamica circolare, rivissute come il susseguirsi delle stagioni che nascono e poi muoiono.
Non occorrono doti né debolezze speciali per farsi influenzare da un’esperienza del genere. Che essa lasci una traccia è fisiologico, umanamente normale, come è tecnicamente comprensibile che, date certe condizioni meteorologiche di base, piova o ci sia il sole. Insomma, sono qui a dichiarare che il solco lasciato nel mio cervello dal mondo universitario è profondo, quasi scientificamente prevedibile. E poiché mi trovo anche a constatare di aver raggiunto un’età in cui i ricordi diventano più freschi e numerosi delle idee, tendo a riversare su di me una parte della dolcezza con cui oggi guardo un giovane come te.
Mi ritornano in mente tanti, tantissimi studenti. Me li vedo davanti in un momento specifico del loro percorso – solo un frammento, per quanto eterno, della loro esistenza –, e a furia di ricordare giovani come te rivedo me, e mi intenerisco al pensiero di quanto fossi sprovveduto (un bel problema) nonché pieno di un’incontenibile energia (che aggravava il problema).
Oggi le energie sono scemate. Ma non mi smentisco, sono rimasto fondamentalmente lo stesso, anche se il tempo mi ha aiutato a capire alcune cose abbastanza difficili. Il che, per esempio, spiega almeno in parte un tentativo così temerario come quello di provare a descriverti il mondo universitario.

3

L’UNIVERSITÀ COME UTOPIA
Tieni sempre presente che l’idea di università non è più chiara di quella di universo. Qualunque diretto richiamo al tutto finisce fatalmente per far emergere il niente, con tutti i problemi che ne conseguono. Forse anche per questo, una vera università è un’utopia, così come lo è un professore o uno studente universitario nel senso più proprio del termine. D’altra parte, non è raro che gli uomini sognino, e accade anzi abbastanza spesso che molti di loro diano il meglio di sé quando si dedicano a obiettivi ir­rea­liz­za­bili.
Il linguaggio procura delusioni cocenti quando è causa di differenze incolmabili tra il significato di una parola e la più misera realtà cui essa si riduce. La sindrome colpisce di norma vocaboli abbinati a oggetti sociali importanti. Concetti come lo Stato o la democrazia, il matrimonio o il divorzio vengono inevitabilmente trascinati verso il basso quando si passa dalla loro enunciazione alla loro sperimentazione effettiva, dalla olimpica situazione teorica descritta dalla neutralità del termine allo squallore di una condizione pratica che una parola non potrà mai descrivere. Lo stesso si può dire dell’università, un’idea per la realizzazione della quale non basta la contestuale presenza di studenti e professori ligi al loro dovere.
Non sono sufficienti i fattori più importanti. Per fare università in un certo modo occorre un tocco, un ambiente, un’atmosfera, un singolare insieme di stati d’animo personali e collettivi, qualcosa che non si sa che cos’è esattamente, e forse neanche confusamente. La faccenda ha lati oscuri, quasi che un buon risultato fosse il frutto di un incantesimo, di una serie di coincidenze, una somma di fortunate circostanze. Ti stai forse pentendo di avermi creduto quando ho lasciato intendere di saperla tanto lunga al riguardo? Non spazientirti, non voglio menare il can per l’aia. Se ancora non ti ho spiegato che cos’è l’università è perché c’è qualcosa di davvero difficile da dire al riguardo. Il fatto non è certo legato all’aria che si respira, né al clima, all’acqua o al cibo.
Anche il luogo ha un peso molto relativo, e non è vero che buoni professori fabbricano sistematicamente studenti e lau­rea­ti di buona qualità, o comunque non è più vero del contrario, cioè del fatto che studenti eccellenti possano migliorare le prestazioni dei docenti. Sto cercando di farti capire che non devi lasciarti convincere solo dalla rassicurante tradizione di un ateneo, anche perché un’ottima reputazione può consumarsi ancor più rapidamente della tua determinazione a continuare e a terminare gli studi; che questa risolutezza rappresenta con ogni probabilità la tua più interessante caratteristica, e che per il resto la tua condizione di studente non è meno misteriosa e indefinibile di quella di docente; che non basta essere disposti a pagare tasse proibitive e trovarsi a costante contatto con professori lautamente remunerati per esser certi di avere a che fare con un’università di primo piano, e ciò per una ragione molto simile a quella per cui non è sufficiente rivolgersi a un’azienda di credito il cui amministratore delegato percepisce lo stipendio più alto tra quelli corrisposti nel settore per conquistare la certezza che si è clienti della banca più affidabile del mondo; che un professore valido non è un individuo tenuto a sapere tutto di qualcosa (non lo si potrebbe mai pretendere, anche se il suo campo d’indagine fosse estremamente limitato), bensì un uomo capace di raccontare in modo comprensibile quel poco che sa, e ciò per quanto roso di continuo dal dubbio che buona parte del suo piccolo sapere sia irrilevante o non del tutto attendibile; che un buon studente, infine, è un giovane tenacemente dedito allo studio nonostante il dubbio che parte più o meno abbondante di quanto sta studiando sia d’importanza scarsa e utilità incerta.
Professori da una parte e studenti dall’altra, da un lato persone di età varia che si presume abbiano qualcosa d’interessante da dire, dall’altro giovani che farebbero forse più fatica, da soli, a disegnare il loro ruolo. Tutto qui, ma è un tutto piuttosto problematico. L’università è un teatro di cui si conoscono attori e spettatori. Semplici le norme di funzionamento: ciò che succede dietro le quinte è fondamentale ma pur sempre funzionale alla qualità della rappresentazione; chi sta sul palcoscenico deve sentirsi responsabile delle reazioni del pubblico. Nonostante questa elementarità apparente, non è per nulla facile dar vita a uno spettacolo decente.
Il presupposto irrinunciabile per una buona università resta comunque il fatto che venga animata da buoni professori e da buoni studenti, figure che sfuggono a definizioni categoriche. Si tratta infatti di risorse di per sé non abbondanti, di individui appartenenti a una tipologia non ampia e per di più afflitti dalla frustrante consapevolezza di come quel che fanno sia poco o nulla rispetto a quanto occorrerebbe. Studenti e professori degni di questo nome sanno che la loro università – il loro teatro reale, il terreno delle loro quotidiane operazioni – è ben distante dal modello che hanno in mente e che avrebbe a cuore chiunque avesse sentito anche solo parlare d’università, senza conoscerla o senza parlare con chi l’ha realmente sperimentata. Studenti e professori ideali sono persone che, nonostante i loro sforzi, si sentono lontane dalla meta, o anche solo da un obiettivo adeguato, da un’università come si deve, come dovrebbe essere, di tutt’altro livello rispetto a quella esistente.
Certo che spesso è meglio illudersi, far finta di niente e tirare avanti. Ma non ti sfuggirà la circostanza che il più grande successo possibile consiste in un parziale fallimento. Il che non è nulla di diverso dall’idea che l’università vera sia un’autentica utopia.

4

RITRATTO DI UNO STUDENTE UNIVERSITARIO
Uno studente che non riuscisse a cogliere la dimensione utopistica del mondo universitario perderebbe una componente essenziale del momento che sta vivendo. Ma il rischio che un giovane come te sia cieco o distratto a tal punto è, tutto sommato, abbastanza teorico. Basta poco a intuire che c’è dell’altro, molto altro che va oltre il tuo misero rapporto personale con l’istituzione. È sufficiente che l’università ti deluda una volta – e prima o poi ti deluderà –, o che la causa della tua delusione vada ricercata in te stesso – e prima o poi succederà. Allora ti si svelerà un mondo parallelo, un ambiente universitario d’altra e superiore natura, accessibile se solo fosse producibile una versione della tua persona di più fine sostanza, il tutto visibile con una certa ricchezza di dettagli ma al riparo di una specie di parete di vetro che ti impedisce di passare, fare il salto, e che ti costringe a guardare e non toccare.
Ma tu non ti senti votato a guardare soltanto. Tu vuoi toccare, provare, agire e reagire in un quadro di eventi concreti. Ed è per questo che, per quanto a malincuore, farai prevalere i fatti su qualunque ipotesi.
Uno studente universitario è uno con i piedi per terra, uno a cui non piace l’idea di bazzicare l’università per decenni e ciondolare tra aule e corridoi in assenza di risultati. Uno studente universitario è uno che sa soffrire, un maratoneta che vuole arrivare, uno per cui è importante riuscire a finire ciò che ha cominciato. Uno studente di questo tipo non si lascerà intimidire dalla preoccupazione, per quanto lecita, di essere uno dei tanti che stenterà a trovare un’occupazione. Uno studente che lavora per mantenersi agli studi non cesserà di vedere nello studio il suo vero lavoro, e nella fine dei suoi studi la data d’inizio, anche solo simbolica, del suo nuovo, vero lavoro. Uno studente che gode della fortuna di poter studiare senza dover lavorare non vede l’ora di aff...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Presentazione
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Indice
  6. 1. Prologo
  7. 2. Università, quadri familiari, giovane umanità
  8. 3. L’università come utopia
  9. 4. Ritratto di uno studente universitario
  10. 5. Uomini che raccontano ciò che sanno
  11. 6. Università come lezione d’indisciplina
  12. 7. L’università come luogo di esami
  13. 8. Uomini che rischiarano i contesti
  14. 9. Il bene che viene dai libri
  15. 10. La solitudine di chi prepara un esame
  16. 11. Continuare forsennatamente a studiare
  17. 12. Il giorno del verdetto
  18. 13. Ordine mentale e organizzazione personale
  19. 14. La relazione con gli altri studenti
  20. 15. Pensieri, desideri e stati mentali poco confacenti all’ambiente
  21. 16. Il significato del certificato
  22. 17. Una soluzione degna per qualunque problema
  23. 18. Il fascino del campus americano
  24. 19. Studiare in una delle tante, sicuramente troppe, università italiane
  25. 20. Esempi di sudditanza culturale deplorevole
  26. 21. Il reddito non finanziario della laurea
  27. 22. Un insieme di pagine che si chiama tesi
  28. 23. Il senso di vuoto del dopo
  29. 24. Laurearsi per poi occuparsi di che cosa?
  30. 25. L’importanza di una meta attraente