Prigionieri di noi stessi
eBook - ePub

Prigionieri di noi stessi

Il totalitarismo nella vita di ogni giorno

  1. 323 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Prigionieri di noi stessi

Il totalitarismo nella vita di ogni giorno

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Definito dal Nobel Orphan Pamuk "lo spirito più libero della prosa turca", Gündüz Vassaf in questo libro ci conduce in un viaggio che smaschera acutamente la prigionia della vita di ogni giorno. In bilico fra saggistica e narrativa, il testo, forse il più significativo dell'intrigante produzione di Vassaf, demolisce con un rigoroso procedimento dialettico gli innumerevoli luoghi comuni su cui si fonda la nostra convivenza, smontando i miti della nostra presunta libertà. Perché la libertà è un'illusione, che si nasconde dietro prediche e finte credenze, in attesa che la notte arrivi per inebriarci dei nostri peccati, dimenticare i nostri doveri e liberarci delle identità che appesantiscono la nostra anima.Un libro duro, che tocca l'anima, soprattutto quella dei ribelli e degli uomini liberi. Un viaggio, quello di Vassaf, appassionato quanto spietato che non conduce all'inferno, ma alla ricerca di una libertà vera.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Prigionieri di noi stessi di Gündüz Vassaf in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Filosofia e Filosofia politica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788868990657
Argomento
Filosofia

IX
LIBERTÀ DALLA SCELTA

Kuan Yin con undici teste, VIII secolo, dinastia Tang.
Kuan Yin con undici teste, VIII secolo, dinastia Tang.
We all live in a yellow submarine, a yellow submarine, a yellow submarine…
The Beatles

I

Per secoli abbiamo discusso sull’esistenza del libero arbitrio. La preoccupazione dei nostri giorni ruota attorno alla libertà di scelta: il punto focale si è spostato dalla ricerca di significato all’enfasi sull’azione. Consideriamo le restrizioni delle scelte come una violazione della libertà. La maggior parte di noi è convinta che democrazia significhi scelta e totalitarismo assenza di scelte. Il diritto di scegliere e ciò che si è scelto sono molto importanti per noi. Sono un’estensione della nostra personalità, una parte della nostra identità.
In un mondo che cambia e vive nell’incertezza, comunque, tutte le scelte sono un atto di presunzione. Scegliendo, noi abbandoniamo ogni possibilità di contemplare e afferrare l’intero. Scegliendo, noi prendiamo una posizione e costringiamo chi è vicino a noi a stare con noi, e condanniamo all’oblio coloro che non scelgono. Scegliere è l’ordine, che ci autoimponiamo, del divide et impera. Scegliendo e prendendo posizione dividiamo sia il sapere che le persone. Dividendo, governiamo su pezzi di un sapere che diventa dogma, e su una massa di persone che diventa folla che non fa domande. Scegliendo, diventiamo giusti, virtuosi e oppressivi. Scegliendo una posizione, qualsiasi posizione, diventiamo totalitari.

II

La scelta per noi è una tentazione. Noi, che controlliamo sempre meno quanto avviene nella nostra vita quotidiana e nel mondo, che diventiamo sempre più consapevoli della nostra insignificanza dopo Hiroshima e la possibilità di un olocausto nucleare, ricaviamo un falso senso di forza dalla scelta. È un velo sui nostri occhi, attraverso il quale ci vediamo come controllori di un sistema che ci opprime. Come vi sono quelli che mangiano e diventano obesi per sentirsi psicologicamente sicuri, così noi consumiamo una scelta dopo l’altra. Nella nostra insicurezza collettiva, attraverso la scelta e il consumo tendiamo a un’obesità materiale e psicologica. Mai un popolo ha scelto tanto, mai ha tanto valutato se stesso e gli altri in base al contenuto delle rispettive scelte, come nel nostro secolo.
Scegliere è un atto che si rafforza senza fine nel nostro consumo quotidiano di beni materiali. La maggior parte delle nostre scelte nella vita sono i nostri acquisti in un centro commerciale. Un nordamericano probabilmente fa più scelte in un centro commerciale in un’ora, di un contadino asiatico in tutta la sua vita. Il comportamento condizionato dalla scelta diretta ai consumi è generalizzato e si ripete in altre situazioni, che vanno dalla cultura e dalla politica all’amicizia e al matrimonio. Anziché vivere, noi consumiamo scelte.
L’atto di scegliere, relativamente illimitato, di un consumatore, spazza via qualsiasi significato e sacralità ci possano essere in una “scelta”. La contemplazione del poeta americano Robert Frost su The Road Not Taken (La strada non intrapresa) è davvero roba del passato. La scelta è diventata priva di significato proprio in quel sistema – la democrazia – che si dice costruita su di essa. Il comportamento selettivo più tipico e più frequente è quello che porta alla proprietà di quanto si è scelto. Noi siamo condizionati a scegliere cose che finiamo per possedere. Possedendo, diventiamo potenti. Sia l’atto di comprare che lo status di proprietario riveste una persona di potere. Il rapporto tra proprietario e oggetto posseduto esiste indipendentemente dal valore intrinseco, insito nell’oggetto.
L’atto della scelta si accompagna a un sentimento di dominio, di essere il padrone di un processo, padrone su ciò che si sceglie. È un sentimento di potere. È un sentimento – “Io ho scelto …” – che non richiede alcuna reciprocità. Il rapporto è compiuto benché sia unilaterale. “Io”, che ho scelto, non devo a mia volta essere scelto perché la relazione sia completa. Non ho bisogno di essere accettato. Non posso essere contestato da ciò che ho scelto o contro cui ho scelto. Posso scegliere un presidente e chiamare Gesù il mio profeta. Posso rifiutare tutti i potenti e i grandi che ci sono e ci sono stati sulla terra, e sentirmi più forte di tutti loro messi insieme. L’atto mentale psicologico di scegliere di essere per o contro ci rende giudici supremi. Nessuno può contestarci.
Come le preferenze di un consumatore, tutte le espressioni di fedeltà e obbedienza sono quindi il risultato di relazioni unilaterali.
Vengono semplicemente scelte. La scelta unilaterale è la relazione di potere più compiuta. È l’acme del dominio. Ma è anche pura fantasia. Infatti, benché la nostra scelta e il nostro appoggio vengano sollecitati dai partiti politici, dai venditori di beni di consumo, dagli intrattenitori e dalle sette religiose, di fatto sono loro a controllarci offrendo, limitando e definendo le nostre scelte. Decidendo di scegliere, noi determiniamo chi governa. Sono loro ad accumulare fortuna e potere attraverso il nostro supporto.
Chi è stato scelto in questo rapporto unilaterale non rifiuta mai il nostro supporto. Il rapporto tra l’individuo anonimo e l’istituzione non è di tipo discriminante. Nessun partito politico rifiuta un voto, nessuna religione un discepolo, nessun club un sostenitore, nessuna ditta un cliente, nessun produttore un consumatore. Proprio il contrario: noi veniamo sfruttati per la nostra tendenza a scegliere e a impegnarci.

III

La scelta può anche essere semplicemente dannosa. È soprattutto quando la scelta è difficile che può condurre a stress mentale e a infermità fisica. L’ulcera, proveniente da tale difficoltà di scelta, può essere fatale. Anche molte nevrosi vengono esacerbate da stati di indecisione. Benché l’entità dello stress che porta a quell’infermità vari secondo gli individui, è indubbio che tutti noi vi siamo sottoposti. La situazione quindi non cessa una volta presa la decisione. Molti di noi si chiedono se hanno fatto la scelta giusta e quindi ci tornano su. Questo dilemma scatena altro stress, perché ci è stato insegnato che è male cambiare partito e una persona forte è vincolata alla propria decisione. Non sono pochi gli esempi in cui restiamo attaccati alla nostra scelta nonostante i ripensamenti, semplicemente per evitare ancora altro stress. Tutto questo perché ci è stato insegnato che il futuro, la felicità, la salute e il potere di una persona sono tutti seriamente influenzati dalla decisione e dalla scelta giusta.
Moltissimi di noi finiscono per essere membri di un partito senza neppure averlo scelto. Assumiamo delle identità che motiviamo razionalmente come scelte. Il nome che ci viene “affibbiato” alla nascita, e cose come la religione, un’ideologia, la nazionalità, l’affiliazione a una società sportiva, ci sono affibbiate in base alla nostra famiglia e al contesto sociale e fisico in cui cresciamo. Non è per un innato meccanismo psicologico che scegliamo una cosa o un’altra, o non scegliamo affatto. Si tratta piuttosto di un’indiscutibile predisposizione verso le strutture sociali in cui siamo nati e cresciamo. La scelta si inserisce nel modo di vivere della società, ma è anche dannosa alla salute, alla felicità e alla comprensione della vita di una persona. Aderire a un’idea, stare dalla parte di una persona o avere necessità di una cosa non significa necessariamente che si sia pro o contro di essa. Non dev’essere necessario che ci si trovi in schieramenti contrapposti. Mentre noi non facciamo alcun consapevole tentativo di aderire a uno schieramento, sono i partiti che si impegnano e si sforzano di mantenersi in vita, esser forti e cercare sostenitori e a questo scopo hanno missionari, assumono personale per pubbliche relazioni e fanno perfino guerre, con noi in qualità di soldati.
Fare una scelta di parte impedisce a una persona di aprirsi, fare esperienze, comunicare. Compiendo delle scelte ci costruiamo dei ghetti ai quali ci rimettiamo con zelo. L’altro è dalla parte sbagliata. Non è come uno di noi. Noi siamo superiori. Loro sono inferiori. Le cose che hanno a che fare con il lato che abbiamo scelto, noi le sappiamo imparando un ruolo. Ribadiamo i nostri atti di fede, le argomentazioni, le nostre prospettive un giorno sì e un giorno no, come una salmodia che non cambia mai. Il dubbio non è una cosa buona per la morale. È contro lo spirito di squadra. Il dubbio mette in discussione l’appartenenza e ci porta a sentirci persi. Scegliere è appartenere. È nella nostra appartenenza che si trovano i nostri amici. In caso contrario siamo degli emarginati.
È scegliendo e appartenendo che perdiamo la visione di noi stessi e ogni senso di prospettiva. Scegliendo, perdiamo la nostra capacità di vederci. Sprofondiamo tanto in quel che abbiamo scelto che diviene sempre meno chiara qualsiasi distinzione tra l’“io” individuale e il “noi” di appartenenza. Inoltre l’“io” e ciò che è stato scelto si avviluppano reciprocamente. L’identificazione con l’oggetto o lo schieramento scelto, ne cambia la percezione. Ogni scelta cambia la percezione di se stessi e la percezione dell’oggetto.

IV

Il processo di socializzazione dell’individuo equivale alla perdita della libertà. La socializzazione è una funzione delle strutture e delle definizioni dei rapporti di una società. La società, la sua struttura, vengono confermate dall’individuo attraverso la sua scelta.
Fin dall’infanzia lo sviluppo dell’individuo dev’essere costantemente posto di fronte a una scelta. Gli è richiesto di scegliere e scegliendo egli diventa uno schiavo, scegliendo perde la propria libertà.
Cominciamo a perdere la nostra libertà quando siamo costretti a fare delle scelte tra cose sulle quali non si può in alcun modo scegliere. Siamo costretti a scegliere tra cose che non possono essere divise o escluse da qualsiasi altra cosa.
Una delle scelte forzate più radicali che un ragazzo affronta riguarda l’amore. L’amore non è quantificabile né reciprocamente esclusivo. Non si può amare “tanto” o “questa cosa, molto”. Né amare “questo” esclude di amare “quello”. Il totalitarismo che costringe a scegliere e a quantificare l’amore, mette l’amore in un contesto di relazioni gerarchiche di potere. Non è più un sentimento libero che abbraccia tutto. Non può più essere un amore altruistico.
I genitori sono di solito i primi a porre il fanciullo di fronte a una scelta totalitaria. A volte insieme, a volte l’uno di nascosto dall’altro, chiedono al bambino: “A chi vuoi più bene, a papà o a mamma?”. Se non fanno questa domanda, cercano di spiare il suo comportamento. La domanda “A chi vuoi più bene?” viene trasferita e generalizzata nei fratelli. Ora, il fanciullo assume mentalmente la struttura gerarchica, e si chiede quale dei suoi fratelli o sorelle i suoi genitori amino di più. Un’altra domanda abituale che i genitori fanno ai bambini: “Quanto bene mi vuoi?”, oppure “Mostrami quanto bene mi vuoi”. È in tal modo che, sin dalla fanciullezza, l’individuo è posto davanti all’ordine gerarchico dell’amore.
Presto si “scopre” che dando e togliendo amore una persona può controllare il comportamento degli altri, specialmente di coloro che le sono vicini. In realtà togliere amore è un metodo sociologico raccomandato per ottenere dal bambino la disciplina. Così l’amore diviene uno strumento di controllo. La “scelta dell’amore” è come il peccato originale del totalitarismo. Dopo, le scelte si susseguono, una dopo l’altra. Noi scegliamo i nostri migliori amici; negli anni ne scegliamo molti altri, continuando a sostituire un nostro amico migliore con un altro; ci sono anche quelli che non ci piacciono per nulla e così c’è sempre qualcuno in cima, l’amico migliore, e qualcuno giù, quello che detestiamo. Noi impariamo anche a scegliere tra i nostri giocattoli preferiti, le nostre bambole che schieriamo in rigido ordine gerarchico. Poi, arriva l’identificazione sessuale. Benché il nostro sesso ci venga dato geneticamente, psicologicamente lo possiamo scegliere. Tale identificazione psicologica è, di nuovo, totalitaria, essendo l’affermazione di un sesso e la condanna dell’altro. Ragazzi e ragazze si guardano dall’alto in basso e si escludono reciprocamente. Scelgono di non scegliersi. Imparano a scegliere non per stare insieme, bensì per assumere un ruolo. Tutto ciò, secondo i manuali, fa normalmente parte del processo di socializzazione. Si esasperano le differenze genetiche all’interno di una dimensione psicologica e si assume una nuova percezione delle differenze che, ancora una volta, vengono usate come armi psicologiche in una struttura di potere. È la scelta che conduce al totalitarismo, questa volta basato sulle differenze sessuali. Tali differenze non condurrebbero al totalitarismo se fossero percepite in termini di contributo a un tutto e a un’unità più grandi, piuttosto che come categorie reciprocamente esclusive.
Verso i sei anni i bambini incominciano a giocare insieme. Il gioco è una forma di divertimento, di svago, qualcosa che facciamo per passare il tempo, in allegria. Tuttavia, imparando a giocare, i bambini imparano anche a prender partito: i giochi più popolari sono quelli in cui ci sono degli schieramenti. Vi sono dei casi in cui i bambini si concentrano di più a scegliere gli schieramenti che a giocare. Si potrebbe perfino dire che il gioco esiste perché possano essere scelti degli schieramenti. Noi scegliamo con chi giocare e l’essere escluso è un fatto davvero drammatico nella vita del bambino.
Queste scelte portano a conflitti, gelosia, frustrazione, aggressività, comportamento ambiguo, commiserazione. Tutti questi giochi, in cui ci si schiera, fanno anche parte del processo di socializzazione del bambino. Prima ancora di diventare adulto, il bambino è parte cospicua e attore della società totalitaria; da adulto, cambia soltanto l’oggetto del gioco: il paradigma “noi contro loro” continua tra i ceti sociali, le nazioni e le religioni.
L’evoluzione storica dei giochi infantili suggerisce che lungo i secoli i giochi non sono molto cambiati. Il concetto di includere qualcuno, ed escludere gli altri, è parte dei giochi, sia nella società feudale che in quella capitalista o socialista. In ogni caso c’è la struttura totalitaria dei giochi infantili. Tali giochi riflettono la struttura sociale. Ogni società in cui coloro che vogliono appartenervi possono esserne esclusi con la scelta di altri, reprime i suoi membri. Scegliere uno schieramento è anche una forma di reciproco ostracismo, fondato in qualche modo sul dualismo superiorità/inferiorità, sempre un riflesso dell’ordine del potere.
In tal modo, tutte le armi psicologiche sono già approntate nella mente/paradigma del bambino. Le discriminazioni in base alla razza, le classi sociali, l’intelligenza, sono tutte basate su un insieme di strutture percettive costruite su di una scelta forzata, sull’esclusività reciproca, sulla quantificazione e il confronto.

V

La società contemporanea occidentalizzata e cosiddetta pluralistica, nella vita quotidiana, è forse diventata una tra le società più chiuse. Anzitutto, le persone si allontanano l’una dall’altra per via dell’età; i più vecchi si mettono da soli nei propri ghetti (case per anziani, ospizi, ecc.), i giovani si organizzano continuamente a far gruppo durante e dopo la scuola, quelli di mezza età sono dappertutto. Le persone si allontanano tra loro anche in base al loro reddito, la razza, la religione e la loro affinità con l’establishment. Sono sempre di meno le comunità in cui razza, religione e classi di reddito e d’età convivono. La società contemporanea nella sua vita è chiaramente l’immagine di una società corporativa e totalitaria. È l’establishment che si dà da fare per manipolare le persone e trasformarle in categorie sociologiche.
Noi, in quanto persone, stiamo in quelle categorie nelle quali ci siamo suddivisi. I giovani vogliono stare con i giovani, i neri con i neri, gli artisti con gli artisti, le femministe con le femministe, i soldati con i soldati. Il modo di vivere è segregato e totalitario in ogni gruppo, che va alla ricerca dei propri interessi e della propria identità.
Anche i movimenti alternativi, quelli che rifiutano l’establishment, scelgono lo stesso modello totalitario. Essi vivono in determinati quartieri, hanno i loro ristoranti, un modo particolare di vestire e parlare, i loro luoghi di vacanza. Scelgono anche di stare segregati e sono chiusi agli estranei. Quel che sulle prime somi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Qualche notizia su di me
  4. Introduzione
  5. I. In lode della notte
  6. II. La libertà all’inferno
  7. III. Prigionieri della parola
  8. IV. Non più liberi. La follia nei tempi moderni
  9. V. Qui si mangia, lì si dorme
  10. VI. Gli eroi sono totalitari
  11. VII. Informania
  12. VIII. Qual è il tuo sesso?
  13. IX. Libertà dalla scelta
  14. X. In difesa dei traditori
  15. XI. Dimenticare la morte
  16. XII. Attenti all’artista!
  17. XIII. Dissenso per sempre
  18. XIV. Obiettivi contro la vita
  19. XV. Zap! sei morto
  20. XVI. Homo sapiens blues
  21. XVII. Perché i figli?
  22. XVIII. Quel momento magico
  23. XIX. Il totalitarismo dell’amore (come viene praticato)
  24. XX. Ubriacatevi!