Io che da morto vi parlo
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Passioni, delusioni, suicidio del professor Adolfo Parmaliana

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Io che da morto vi parlo

Passioni, delusioni, suicidio del professor Adolfo Parmaliana

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Il 2 ottobre 2008 "si ammazza" in Sicilia Adolfo Parmaliana, cinquantenne professore di chimica industriale all'università di Messina, considerato uno dei massimi esperti mondiali nella ricerca delle nuove fonti di energia rinnovabile. All'impegno accademico Parmaliana ha unito per trent'anni un accanito impegno civile, difendendo le ragioni della legalità, della correttezza, del buongoverno nella sua piccola patria, Terme Vigliatore. Un paesino a pochissimi chilometri da Barcellona Pozzo di Gotto, zona franca dei grandi boss di Cosa Nostra, da Santapaola a Provenzano, fondamentale snodo del Gioco Grande, lì dove confluiscono e s'intrecciano mafia-massoneria, alta finanza, pezzi rilevanti delle Istituzioni. Così il piccolo professore amante dei libri, dei vestiti eleganti, della Juve e idolatrato dai suoi allievi diventa, quasi a sua insaputa, un testimone scomodo da zittire, soprattutto dopo che le sue denunce hanno portato allo scioglimento del comune di Terme per infiltrazioni mafiose."Questo libro è nato perché una sera di fine gennaio 2009 Cettina Parmaliana telefonò per dire che l'archivio di Adolfo era a mia disposizione, qualora avessi ritenuto di occuparmi del suicidio di suo marito, troppo presto finito nel dimenticatoio di un'Italia sempre in imbarazzo dinanzi ai cittadini perbene. È cominciata così l'ennesima discesa nel presunto paradiso abitato da troppi diavoli. Un'isola oramai scempiata persino nelle sue millenarie bellezze."

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COMUNISTA AL SOLE

Oh, lo sa, lo sa benissimo ciò che diranno. Diranno che era più pazzo di quanto avessero immaginato, che la megalomania lo ha fatto andare definitivamente fuori di testa. E invece il professor Adolfo Parmaliana, docente di chimica industriale all’università di Messina, mai è stato così lucido. Talmente lucido da sacrificare i capisaldi affettivi della propria esistenza – la moglie Cettina, i figli Gilduzza e Basy, i genitori, i fratelli minori Biagio ed Emilio – all’ultima sfida, la più importante di tutte, quella che si porta nel cuore da mesi, forse da anni, e che la sera prima gli è apparsa l’unico modo di ribaltare il tavolo. Una sfida micidiale e irresistibile, definitiva e inevitabile. L’ha anche scritto nella lettera lasciata sopra la scrivania dello studio assieme al portafoglio e all’orologio. Dietro la poltrona ha sistemato i due borsoni zeppi di carte, inseparabili compagni dell’insegnamento universitario.
E chissà se il professore si è accorto di comportarsi come Al Pacino-Lefty in Donnie Brusco, il film che racconta la storia vera dell’agente speciale Fbi Joe Pistone (Johnny Depp), infiltratosi alla fine degli anni Settanta nella « famiglia » Bonanno di New York. Con la falsa identità di Donnie Brasco, il nevrotico Pistone si era molto legato a Lefty: di conseguenza allorché la sua missione si concluse e i federali tirarono la rete, la vendetta dei mafiosi si abbatté su Lefty. Nell’andare a quello che lui sapeva essere l’appuntamento con la morte Lefty ripose nel cassetto, con la straordinaria forza espressiva di Pacino, gli oggetti che potevano rivestire un valore per la moglie (le chiavi dell’auto, il portafoglio, l’orologio). Ma almeno nel film e nella realtà i ruoli erano definiti: di qui i buoni, di là i cattivi.
Nella vicenda del professor Parmaliana ogni aspetto si rivela confuso, ambiguo. Ufficialmente la mafia è assente o quanto meno sullo sfondo. Ufficialmente ci si muove in un ambito di legalità e di militanza antimafiosa. Ufficialmente tutti hanno mutuato dall’appartenenza politica la correttezza e il perbenismo. Tuttavia il professore ha imparato che in Sicilia mai ciò che appare corrisponde a ciò che è. E a volte ci sono nemici assai più insidiosi dei mafiosi dichiarati. Li ha patiti per vent’anni sulla propria pelle. Per questo l’ha messo bene in evidenza già nel paragrafo iniziale della lettera – « Ultima lettera », l’ha denominata – affinché sia chiaro che il suo gesto rappresenta la sola mossa in grado di ribadire che lui sta sulla barricata giusta.
La Magistratura barcellonese/messinese vorrebbe mettermi alla gogna, vorrebbe umiliarmi, delegittimarmi; mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di marito, di servitore dello Stato e docente universitario.
Uscito dalla villa, che tanti ingiusti grattacapi gli ha procurato, Parmaliana percorre a passo d’uomo con la Bmw 320 diesel i venti metri della traversa Salvo. È ancora stupito dalla naturalezza esibita con Gilda nel rito mattutino della colazione: non pensava di saper mentire senza tentennamenti, di poter pronunciare un arrivederci che non si realizzerà. Eccolo all’incrocio con via Nazionale, cioè la statale tirrenica lungo la quale sono disseminate le tre frazioni di Terme, di San Biagio, di Vigliatore, federate da quarant’anni in unico comune. Alza lo sguardo verso la palazzina dei genitori sul marciapiede di fronte. Lui c’è cresciuto nell’appartamento al primo piano. Con l’età incalzante, mamma e papà hanno preferito trasferirsi al pianterreno per risparmiare le scale: li immagina all’inizio di una giornata che ipotizzano identica a tante altre e invece non lo sarà… Il professore riflette: tutto ciò che è diventato lo deve all’esempio dei genitori e fra poco infliggerà a entrambi il dolore più feroce della vita. Riusciranno mai a capire? Perdonare sì, ma capire…
Non posso consentire a questi soggetti di farsi gioco di me e di sporcare la mia immagine, non posso consentire che il mio nome appaia sul giornale alla stessa stregua di quello di un delinquente. Hanno deciso di schiacciarmi, di annientarmi.
Il traffico del mattino impone un’andatura al rallentatore. Lo sguardo di Parmaliana corre a quelle facce, a quei muri, a quelle pietre conosciute piega per piega, centimetro per centimetro. Di chi entra e di chi esce dal bar Albatros potrebbe raccontare speranze e delusioni, passioni e abitudini. All’Albatros ci andava da bambino a comprare brioche e maritozzi e ci è andato anche il giorno prima a prendere il cornetto per Gilda. Ci è sempre andato per il caffè con cui incominciare la giornata e per i pasticcini della domenica. Dentro quelle sale, fra il bancone e la cassa, ha trascorso pezzi importanti della propria esistenza. Lì sentiva battere il cuore migliore di Terme, lì ha parlato e parlato nella speranza di arruolare proseliti, di convincere gli scettici che con i favoritismi e le soperchierie si ammazza una comunità.
Non glielo consentirò, rivendico con forza la mia storia, il mio coraggio e la mia indipendenza. Sono un uomo libero che in maniera determinata si sottrae al massacro e agli agguati che il sistema sopraindicato vorrebbe tendergli.
Sulla destra della statale le pale dei fichi d’India, figlie di una natura alla quale i siciliani si appellano in continuazione perché a differenza dei siciliani stessi non tradisce. Sulla sinistra i sei piloni ferroviari: ricordano al professore una delle tante contese in teoria vinta. Quei piloni dovevano essere abbattuti, invece non lo sono stati, nonostante le sentenze dei tribunali. Paradossalmente esemplificano la vicenda del controverso raddoppio della linea ferrata Messina-Palermo: le autorità locali ottennero che fossero conservate le stazioncine di Vigliatore e dei due borghi confinanti, Falcone e Oliveri, però i dirigenti delle Ferrovie anziché impiantare il secondo binario accanto al primo dirimpetto al mare, preferirono spostarsi dall’altra parte della strada, verso l’interno. Così sono rimaste le inutili stazioncine e soprattutto i sei piloni a ricordare agli esegeti della legalità, come Parmaliana, che il rispetto della Legge è una variabile indipendente dalla Giustizia.
Chiedete all’avvocato Mariella Cicero le ragioni del mio gesto, il dramma che ho vissuto nelle ultime settimane, chiedetelo al senatore Beppe Lumia, chiedetelo al maggiore Cristaldi, chiedetelo all’avvocato Fabio Repici, chiedetelo a mio fratello Biagio. Loro hanno tutti gli elementi e tutti i documenti necessari per farvi conoscere questa storia: la genesi, le cause, gli accadimenti e le ritorsioni che sto subendo.
Il serpentone d’asfalto incontra adesso Falcone. Il panorama non cambia, l’aria profuma ancora d’estate, le insegne dei supermarket, appiccicate a costruzioni d’inizio Novecento, si rincorrono in un’inesauribile gara del brutto. Falcone dovrebbe stare nel cuore del professore: è il paese di Cettina, la donna che da trent’anni funge da architrave, sempre pronta a far combaciare le proprie aspirazioni con le sue, anche nei giorni in cui annunciava che la terra si sarebbe unita al cielo. Ma tutto gli sembra ormai stravolto: sentimenti, relazioni, speranze.
Mi hanno tolto la serenità, la pace, la tranquillità, la forza fisica e mentale. Mi hanno tolto la gioia di vivere. Non riesco a pensare ad altro. Chiedo perdono a tutti per un gesto che non avrei pensato mai di dover compiere.
All’uscita da Falcone appare il cartello con l’indicazione dell’autostrada. Il professore l’imbocca in direzione di Brolo. È una giornata di sole, poche macchine in questo tratto ingentilito da oleandri e da siepi di cipressini. Le gallerie si susseguono, un pugno di alberi anticipa quella lunghissima sotto il promontorio di Tindari. In teoria Parmaliana avrebbe un appuntamento al nuovo depuratore di Brolo, di cui è direttore dei lavori. Ne hanno discusso il giorno prima all’università, però il professore ormai sa che non ci andrà. Come non si recherà nel proprio ufficio al dipartimento di Scienze naturali, benché abbia dato appuntamento ai collaboratori per le 13.30. Ha ben altro per la testa e dentro di sé.
Ai miei amati figli Gilda e Basilio, Gilduzza e Basy, luce ed orgoglio della mia vita, raccomando di essere uniti, forti, di non lasciarsi travolgere dai fatti negativi, di non sconfortarsi, di studiare, di qualificarsi, di non arrendersi mai, di non essere troppo idealisti, di perdonarmi e di capire il mio stato d’animo: vi guiderò) con il pensiero, con tanto amore, pregherò per voi, gioirò) e soffrirò con voi.
Alle 8.54′29″ la Bmw di Parmaliana esce dal casello di Patti. Perché? Si apre un buco di sei minuti. Che cosa fa il professore? Ha un ripensamento? Deve incontrare qualcuno? Vuole guardare per l’ultima volta qualcosa? Si ferma da qualche parte? O continua a guidare per sciogliere ciò che gli turbina dentro? Non ha soldi, non ha documenti, tiene i due telefonini spenti. Che cosa si agita nella sua mente? Tutti lo conoscono, però nessuno lo nota. Si ferma per scrivere il post-it da appiccicare sul volante? Forse la prima versione – « sulla mia scrivania c’è una lettera che spiega il mio folle gesto » – non lo soddisfa? La « s » di « sulla » è in minuscolo anziché in maiuscolo, l’aggettivo « mio » viene sovrapposto all’ultima riga. Questo bigliettino sarà rinvenuto accartocciato sul fianco sinistro del sedile. Allora ne prepara un secondo – « Sulla mia scrivania c’è una lettera che spiega il mio folle gesto » – e lo incolla sopra il clacson? Stavolta c’è la maiuscola d’inizio frase, l’aggettivo mio è al suo posto. Tutto in ordine, come piace a lui. Può anche essere, però, che non scriva il post-it, che i sei minuti di buco servano soltanto a riflettere, a superare le terminali, umanissime resistenze di chi si ritiene costretto a un atto che non avrebbe voluto compiere. Magari ascolta Comunisti al sole, la canzone di Venditti che da un anno lo accompagna. Gli piace fischiettarla, ripetere le parole là dove dice: «Non cambiare, tanto resterai per sempre un sognatore».
Alla mia amatissima compagna di vita, alla mia Cettina, donna forte, coraggiosa, dolce, bella e comprensiva: ti chiedo di fare uno sforzo in più, di non piangere, di essere ancora più forte e di guidare i nostri figli ancora con più amore, di essere più brava e più tenace di quanto non lo sia stato io.
Giunge il momento di proseguire. Il professore rientra in autostrada, transita sul viadotto di Patti Marina: è il luogo prescelto per buttare il proprio corpo fra le gambe dei nemici festanti e rovinare la gioia di averlo finalmente stretto nell’angolo. La morte quale mezzo estremo per far trionfare la verità. Il professore non ferma la Bmw. Magari il passaggio gli serve per verificare che non ci siano intoppi, operai al lavoro, turisti in ammirazione del paesaggio. Prosegue fino all’uscita di Brolo, la più vicina. Sono le 9.12′53″. Adesso che tutto è deciso deve tornare indietro in direzione di Messina per raggiungere di nuovo il viadotto.
Ai miei fratelli, Biagio ed Emilio, chiedo di volersi sempre bene, di non dimenticarsi di me: vi ho voluto sempre bene, vi chiedo di assistere con cura e amore i nostri genitori che ne hanno tanto bisogno.
Alle 9.24′43″ Parmaliana esce dal casello di Patti, raggiunge l’altro ingresso autostradale e si reimmette sulla corsia per Palermo. Intorno alle 9.30’ si blocca alla fine del viadotto protetto dalla grata. Sulla destra l’azzurro cupo del mar Tirreno; sullo sfondo l’isolotto di Vulcano anticipa le Eolie; sotto si distinguono una casa in ristrutturazione, pini, palme, palazzotti dalla facciata consunta.
Alla mia bella mamma e al mio straordinario papà: vi voglio tanto bene, vi mando un abbraccio forte, vi porto sempre nel mio cuore, siete una forza della natura, mi avete dato tanto di più di quanto meritavo.
Se non ha vergato prima i bigliettini, li verga ora. Accende le luci di posizione della Bmw. Un’amica delle sorelle di Cettina diretta a Brolo racconterà di aver notato Parmaliana dentro l’auto in sosta a fianco del parapetto. Non ha però colto alcunché d’insolito e ha, dunque, proseguito.
A tutti i miei parenti, ai miei cognati, ai miei zii, ai miei cugini, ai miei nipoti, a mia suocera: vi chiedo di stare vicini a Gilda, a Basilio e a Cettina. Vi chiedo di sorreggerli.
Parmaliana comincia la spogliatura. Toglie la giacca e la ripone sul sedile del passeggero, toglie la cravatta, toglie gli occhiali da sole e assieme ai due cellulari sempre spenti li poggia sopra la giacca, fedele fino in fondo alla propria natura, all’irrefrenabile desiderio di ordine che gli alberga nell’animo.
Ai miei amici sarò sempre grato per la loro vicinanza, per il loro affetto, per aver trascorso tante ore felici e spensierate.
Scende dalla Bmw, si accosta alla barriera metallica del viadotto. Almeno sarà la procura di Patti e non quella di Barcellona, di cui diffida, a espletare le formalità del caso.
Alla mia università, ai miei studenti, ai miei collaboratori e alle mie collaboratrici sarò sempre grato per la cura e la pazienza manifestatemi ogni giorno. Grazie.
S’infila fra le lamiere della barriera, la corporatura minuta l’aiuta a districarsi. Adesso è dritto sul parapetto, nessun ostacolo fra sé e l’affermazione dei suoi principi. Non riusciranno a farglieli tradire.
Quella era la mia vita. Ho trascorso 30 anni bellissimi dentro l’università innamorato ed entusiasta della mia attività di docente universitario e di ricercatore. I progetti di ricerca, la ricerca del nuovo, erano la mia vita. Quanti giovani studenti ho condotto alla laurea. Quanti bei ricordi.
Non aveva immaginato di chiudere così. Ma nell’isola dei troppi che si accontentano di sopravvivere, incuranti di qualsiasi dignità, il professore ci tiene a ribadire di essere diverso e se questa diversità comporta il sacrificio più straziante, pazienza.
Ora un clan mi ha voluto togliere le cose più belle: la felicità, la gioia di vivere, la mia famiglia, la voglia di fare, la forza per guardare avanti. Mi sento un uomo finito, distrutto.
Il professore guarda in giù. Cava un sospiro, insegue i frammenti di un’esistenza piena, condotta senza fare sconti a nessuno, la sua frase preferita, a se stesso prima che agli altri.
Vi prego di ricordarmi con un sorriso, con una preghiera, con un gesto di affetto, con un fiore. Se a qualcuno ho fatto del male, chiedo umilmente di volermi perdonare.
Il guerriero gentiluomo ( The Polite Warrior ha denominato il proprio blog) sa di aver perso una battaglia, ma confida di vincere la guerra. D’altronde una delle sue frasi più amate, tratta da Martin Luther King, recita: se un uomo non ha scoperto nulla per cui varrebbe morire, non è adatto a vivere.
Ho avuto tanto dalla vita. Poi, a 50 anni, ho perso la serenità per scelta di una magistratura che ha deciso di gambizzarmi moralmente. Questo sistema l’ho combattuto in tutte le sedi istituzionali. Ora sono esausto, non ho più energie per farlo e me ne vado in silenzio.
Il volo verso la libertà dura non più di cinque secondi. Il professor Parmaliana plana sulla sterpaglia accanto al muro di cinta dello sfasciacarrozze, a cinquanta metri dalla stazioncina in disuso di Patti Marina. Sulla destra un’abitazione a un piano con i panni stesi al sole.
Alcuni dovranno avere qualche rimorso, evidentemente il rimorso di aver ingannato un uomo che ha creduto ciecamente, sbagliando, nelle Istituzioni. Un abbraccio forte, forte da un uomo che fino ad alcuni mesi addietro sorrideva alla vita.
Verso mezzogiorno un’auto della polizia, incuriosita dalla Bmw posteggiata con i lampeggianti accesi, si ferma. Un agente apre lo sportello, scorge la giacca, la cravatta, gli occhiali da sole, i cellulari. Intuisce ciò che può essere accaduto, si affaccia dalla barriera.
La procura di Patti non ha avuto incertezze nel catalogare quale suicidio il decesso del professore Adolfo Parmaliana. D’altronde la lettera di tre facciate con grafia nervosa e gli oggetti lasciati nello studio lo confermano al di là di ogni ragionevole dubbio. Tuttavia, la mamma del professore, citando La cavalla storna di Pascoli, si dice convinta che qualcuno fosse con il figliolo nei minuti finali e l’abbia spinto ad ammazzarsi; un collega di università, nonché amico da trent’anni, ricorda il famoso suicidio del film Il padrino – Parte II, quando il principale testimone d’accusa contro Michael Corleone è obbligato a togliersi la vita per evitare ritorsioni ai familiari; un anziano avvocato di Messina ha scritto che la vicenda Parmaliana è identica a quell...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Presentazione
  3. L’autore
  4. Frontespizio
  5. Copyright
  6. 1. Comunista al sole
  7. 2. La provincia « babba »
  8. 3. L’isola che non c’è
  9. 4. Cuori fratelli
  10. 5. Il codice fastidioso
  11. 6. Il libro dei sogni
  12. 7. Nessuno scrive al professore
  13. 8. Uno « tsunami » non basta
  14. 9. Soffia il vento
  15. 10. L’inverno dello spirito
  16. 11. In terra di iene e di sciacalli
  17. 12. La condanna
  18. Nota dell’autore
  19. Sommario