Veleni negati
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Il caso Caffaro

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Il caso Caffaro

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Fu la pubblicazione di una ricerca storica a far scoprire ai bresciani, vent'anni fa, il disastro ambientale prodotto in città dalle industrie chimiche Caffaro con un inquinamento diffuso da diossine e PCB che i bresciani si ritrovano nel sangue a livelli che non ha riscontri in altri luoghi del Paese, pure feriti da un'industrializzazione scriteriata. Da allora inizia una storia, a tratti incredibile, di rimozioni e negazionismo che in questo saggio vengono ricostruiti con accurati rimandi a una vasta documentazione, mantenendo al contempo uno stile leggero, non privo di toni ironici. Non stupisce, quindi, che la mancata bonifica sia l'esito, paradossalmente inevitabile, di questa vicenda bresciana, emblema in verità di tanti casi molto simili degli altri quaranta siti inquinati di interesse nazionale: si tratta del "debito ambientale" accumulato dal Paese, di cui spesso parla il nuovo ministro della Transizione ecologica e che attende finalmente un nuovo vigoroso impulso perché venga davvero saldato, lasciando alle spalle due decenni di sostanziale incuria.

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Informazioni

Editore
Jaca Book
Anno
2021
ISBN
9788816803138
Argomento
History
Categoria
World History

LA LUNGA MARCIA DEL POPOLO INQUINATO

Se qualcosa è stato fatto, nonostante i reiterati tentativi delle istituzioni di rimuovere e negare il disastro ambientale e sanitario prodotto dalla Caffaro, lo si deve all’impegno e alla mobilitazione dei cittadini e di comitati e associazioni che in questo ventennio hanno cercato di tener vivo il problema e di sollecitare le istituzioni a compiere il loro dovere.
Già nel settembre 2001 si costituì il Comitato popolare contro l’inquinamento zona Caffaro, cui diede un importate impulso Medicina democratica, con Luigi Mara e Fulvio Aurora, e alcuni esponenti di Legambiente, in particolare il medico del lavoro, Edoardo Bai. Si tennero numerose assemblee informative e di confronto con la popolazione, e, come si è già ricordato, si costituì un Comitato tecnico-scientifico indipendente, formato da esperti di rilievo nazionale se non internazionale, che si riunì su iniziativa del Comitato popolare il 18 dicembre 2001 a Brescia, licenziando un importante documento di valutazione del disastro ambientale che via via si andava scoprendo e dei possibili effetti sanitari, con la richiesta, avanzata in quella sede dall’oncologo, Franco Berrino, di interrompere immediatamente la catena alimentare vietando la coltivazione e l’uso dei terreni contaminati1, proposta che con due mesi di ritardo finalmente l’ASL accolse. Altra iniziativa molto importante fu la pubblicazione, il 18 aprile 2002, di un opuscolo di sedici pagine, in migliaia di copie, autofinanziato con contributi raccolti dai cittadini, Il «caso PCB». Tutto quello che i cittadini devono sapere (e che l’ASL avrebbe dovuto spiegare). In esso si offrivano in forma semplice, ma scientificamente rigorosa, tutte le informazioni necessarie per acquisire piena consapevolezza del disastro ambientale e dei pericoli per la salute dei cittadini, e si presentava anche il confronto con l’analoga situazione venuta alla luce proprio allora ad Anniston, nell’Alabama, dove l’impianto madre per la produzione dei PCB della Monsanto, su licenza della quale aveva operato Caffaro a Brescia, aveva inquinato il territorio e gli abitanti di quella cittadina, anche se a livelli ben inferiori di quelli bresciani. L’opuscolo toccava diversi argomenti: programma del Comitato popolare; l’iniziativa del Comitato popolare: risultati e proposte; il prezioso lavoro del Comitato tecnico scientifico indipendente; scheda informativa su diossine e PCB; due storie parallele: la Caffaro di Brescia e la Monsanto di Anniston (USA); Brescia: dal 1977 il problema poteva e doveva essere affrontato, risparmiando ai cittadini 25 anni di contaminazione; Anniston. La Monsanto, unica produttrice di PCB negli USA, condannata per inquinamento; l’acqua di falda è inquinata… come quella potabile; V circoscrizione: perché non si indaga anche lì?; la bonifica all’italiana (secondo l’ASL e l’ARPA?): alzare i limiti e l’inquinamento scompare; PCB nel sangue: i limiti dell’ASL troppo elevati; indagine autogestita sui tumori; iniziativa legale dei cittadini per il risarcimento dei danni2. Immediatamente dopo partiva una petizione popolare per attivare subito la sorveglianza sanitaria della popolazione e le bonifiche, promossa dal Comitato popolare contro l’inquinamento zona Caffaro, firmata da 993 cittadini e consegnata al sindaco di Brescia il 17 giugno 2002.
Il 2 e 3 aprile 2004 il Comune di Brescia promuoveva un convegno internazionale nel quale il Comitato popolare presentava un proprio intervento critico. Per quanto riguardava la bonifica veniva evidenziato come «la contaminazione sia caratterizzata da PCB/PCDD/PCDF ad alta clorurazione, che questa contaminazione sia entrata in modo importante nella catena alimentare fino all’uomo, che da un punto di vista del rischio la contaminazione da diossine (PCDD/PCDF) sia addirittura più importante che quella da PCB». Per i danni alla salute della popolazione esposta all’inquinamento si chiedevano «il completamento e la diffusione dei dati delle indagini epidemiologiche sulla mortalità dei lavoratori, lo studio caso controllo di popolazione, l’indagine sull’esposizione ai PCB e sugli effetti ormonali». Infine sul tema spinoso del risarcimento dei danni si ribadiva che «come Comitato abbiamo più volte richiamato l’attenzione, con viva preoccupazione, sui movimenti negli assetti societari di SNIA, di cui Caffaro fa parte. Da circa due anni abbiamo sollecitato il Comune a intervenire per prevenire l’ipotesi di una possibile futura controparte aziendale oggettivamente incapace di far fronte agli oneri sia della bonifica che del risarcimento danni. Nel frattempo, in un certo modo, ciò che si temeva si è verificato: con il nuovo anno 2004 SNIA ha effettuato una scissione in due società, una nuova, la SORIN (settore biomedicale), e la SNIA scissa (di cui Caffaro continua a far parte) con il risultato che quest’ultima oggi registra una valutazione da parte del mercato pressoché pari a un decimo della vecchia SNIA. Oltretutto la nuova SNIA, così pesantemente depauperata, si presenta con un futuro produttivo incerto (come peraltro gran parte del settore chimico), non solo nello stabilimento di Brescia, ma anche nel sito di Torviscosa»3.
La risposta del Comune di Brescia fu un’analisi rischio che intendeva alzare i limiti per i PCB di 290 volte, di cui si è già trattato. Per tentare di bloccare la «bonifica all’italiana» alzando i limiti, il Comitato popolare riuscì a coinvolgere esperti di primo piano non solo a livello nazionale: l’ing. Roberto Carrara, ingegnere chimico di «Medicina Democratica» di Milano, il prof. Giorgio Forti, professore fuori ruolo alla Facoltà di Scienze, Università degli Studi di Milano, membro dell’Istituto di Biofisica del Cnr, il dott. Valerio Gennaro, Centro Operativo Regionale del Registro Nazionale dei Mesoteliomi, Dipartimento Eziologia ed Epidemiologia – Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova, il dott. Luigi Mara, direttore di «Medicina Democratica», il dott. Dorino Piras di «Medicina Democratica» del Piemonte, assessore risorse idriche, qualità dell’aria e inquinamento atmosferico acustico ed elettromagnetico della Provincia di Torino, il dott. Maurizio Portulari, direttore Radioterapia di Brindisi, il dott. Paolo Ricci, medico del lavoro di Mantova, la dott.ssa Giovanna Ricoveri, economista dell’ambiente, direttrice di «Ecologia politica», l’ing. Franco Rigosi, responsabile della Sezione di Venezia e Provincia di «Medicina Democratica», l’ing. Piergiorgio Rosso, ingegnere chimico di Roma, consulente di parte civile per «Medicina Democratica» nel processo penale contro l’Enichem di Manfredonia, il dott. Gianni Tamino, docente del Dipartimento di Biologia Università di Padova, il dott. Gianni Tognoni, Direttore, Consorzio Mario Negri Sud, S. Maria Imbaro (CH) e Capo Laboratorio di Farmacologia Clinica, Istituto Mario Negri di Milano, infine il prof. Lorenzo Tomatis, epidemiologo, già direttore della IARC dell’OMS di Lione. Questi produssero, il 31 maggio 2004, un nota di critica puntuale di quella sciagurata iniziativa, in cui, dopo averne evidenziato i limiti e le incongruenze anche sul piano tecnico, così concludevano:
Al di là della ripetizione dell’analisi del rischio adottando le opportune correzioni dei modelli matematici per tener conto degli effetti cumulativi di PCB e diossine e della preesistenza di contaminazione umana, il Comune e le altre autorità preposte dovranno affrontare seriamente il tema delle diossine: l’ASL deve estendere le indagini sanitarie avviate per i PCB a queste sostanze supertossiche, mentre l’ARPA, per le ragioni sopra esposte, non può esimersi dal misurare sempre, in...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Dello stesso Autore
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Indice
  6. Premessa
  7. Un contadino e la faccia oscura della chimica
  8. 13 agosto 2001, «A Brescia c’è una Seveso bis»
  9. Caffaro: una storia lunga un secolo
  10. La bonifica all’italiana: alzare o non mettere limiti per i veleni
  11. I bresciani sono pieni di PCB e diossine, ma tranquilli…
  12. La chimera delle bonifiche
  13. A Brescia chi inquina paga?
  14. La lunga marcia del popolo inquinato
  15. «Sono strani questi bresciani» o è l’Italia intera «strana»?