Belice
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Il terremoto del 1968, le lotte civili, gli scandali sulla ricostruzione dell'ultima periferia d'Italia

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Il terremoto del 1968, le lotte civili, gli scandali sulla ricostruzione dell'ultima periferia d'Italia

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Un terremoto nell’ultimo angolo d’Italia, dove già si muore ogni giorno di fame e di soprusi. Un gennaio con un freddo eccezionale. I paesi distrutti. Anni di vita nelle baracche. Una ricostruzione fatta di promesse tradite e mai completata. Questa è stata nel 1968 – ed è oggi – la tragedia del Belice, la prima grande catastrofe naturale nella storia della Repubblica italiana. Ma il Belice è stato ed è molto altro. È stato teatro delle lotte non violente di Danilo Dolci e dei suoi collaboratori per le dighe, il lavoro e la scuola; dell’attivismo di Lorenzo Barbera contro la speculazione sulla ricostruzione e in favore del servizio civile al posto di quello militare. Nel Belice, Ludovico Corrao ha lavorato per attuare il suo sogno utopistico su Gibellina e sul Mediterraneo intero e poco distante, ad Alcamo, ha offerto il suo sostegno a Franca Viola, che rifiutò il matrimonio riparatore con il mafioso che l’aveva rapita. Nel Belice, donne eccezionali come Piera Aiello e Rita Atria hanno trovato il coraggio di dare una svolta alla loro vita diventando testimoni di giustizia. Oggi il Belice è feudo del capomafia castelvetranese Matteo Messina Denaro ed è una terra che i giovani continuano ad abbandonare. È, questa, una regione sconosciuta ai più che bisogna raccontare e conoscere.
“Questo libro è un miracolo perché ci dice cose che non sappiamo, e le spiega bene. Che Danilo Dolci aveva capito tutto del sistema clientelare-mafioso della Sicilia occidentale. Che un sindaco chiese ai tre fornai del paese di fare il pane per tutti, e due dissero no. Che ai soccorsi parteciparono insieme ‘carabinieri e capelloni’. Che arrivò a un certo punto tra i terremotati una signora ‘dall’accento toscano’ e con il camion pieno di pannolini. Che si può avere nostalgia della vita nelle baracche, perché lì, raccontano le donne ‘la vita di comunità era bellissima’”. (Giacomo Di Girolamo)

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788868612818

​Terremoto, errori e rimorso

Amico Dolci si trova nell’ufficio di suo padre a Largo Scalia, nel centro di Partinico, insieme alla sorella maggiore Libera. Sono da soli, nonostante siano appena ragazzini. Lui non ricorda come mai quel giorno, il 14 gennaio 1968, stiano proprio lì: forse devono stampare qualcosa e l’ufficio è l’unico posto dove possano farlo perché c’è il ciclostile. All’improvviso i due bambini sentono tremare i vetri di tutte le stanze. Si scambiano uno sguardo preoccupato e si domandano cosa stia succedendo. Che sia passato nelle vicinanze un camion gigante?
Una quarantina di chilometri a sud-ovest di Partinico, nel territorio di Vita, si sta tenendo un comizio. Quando la terra inizia a tremare un uomo esce dal portone di casa e, afferrando il figlio, esclama: «Dentro! Dentro disgraziato che c’è lu terremoto!», e lo trascina all’interno dell’abitazione sbattendo la porta 1. Anche nel vicino comune di Calatafimi quel pomeriggio è in corso un comizio elettorale. Il candidato Calogero Gallo, detto Gino, del Movimento Sociale Italiano (Msi), nell’enfasi del discorso, per stimolare i suoi concittadini dal palco di piazza Pietro Nocito, invoca: «Calatafimi svegliati!». Un istante dopo la terra trema. Le persone lì intorno rimangono sì spaventate, ma anche sbigottite dai “poteri mistici” del politico.
La prima scossa di terremoto, all’una e trenta del pomeriggio di domenica 14 gennaio, viene avvertita in tutta la Sicilia occidentale, dalla provincia di Trapani a quelle di Palermo e Agrigento, ma non provoca gravi danni. A Palermo gli abitanti che hanno i telefoni in casa chiamano amici e parenti per scambiarsi sensazioni su ciò che è appena accaduto. Nel pomeriggio seguono altre scosse e le autorità mobilitano in via prudenziale polizia, carabinieri e vigili del fuoco 2. Quella sera alcuni abitanti della Valle del Belice decidono di trascorrere la notte nei casolari di campagna, ritenuti più sicuri perché avrebbero consentito di uscire agevolmente fuori, in caso di emergenza, e di trovarsi in uno spazio aperto senza altri edifici intorno.
La famiglia di mio padre, a Calatafimi, sceglie di dormire dentro l’automobile del nonno, una Fiat 850 bianca. Sono parcheggiati nello spiazzo tra la strada statale e l’Ossario di Pianto Romano, lì dove s’è fatta l’Italia con Garibaldi. Oltre a loro, nell’ampio sterrato alle porte del paese c’è solo un’altra macchina. Da sotto le coperte che hanno portato per scaldarsi, date le temperature molto basse, guardano le luci di Calatafimi.
La famiglia di mia madre invece vive a Castelvetrano. Quella notte loro rimangono a dormire in casa. L’automobile non ce l’hanno e comunque non ci entrerebbero tutti, dato che sono nove in famiglia. Madre, padre e sette figli. Mia mamma, che ha undici anni, dorme nel divano-letto della cameretta con le sue sorelle più piccole. La minore, mia zia Anna, non ha neanche cinque anni. Di colpo sentono un boato e sembra che la stanza sia illuminata a giorno. Il muro di fronte a loro si spacca in due. Mia madre tira la coperta sopra la sua testa e quella delle sorelle.
È una scossa forte, quella delle 2,35 di notte. Francesca Corrao si sveglia di soprassalto nel letto della sua cameretta a Palermo. Il suo cucciolo sta abbaiando. Le hanno appena regalato quel cane e se non lo fa tacere subito teme che i suoi genitori decidano di portarglielo via. Accende una lampadina e in quel momento si accorge che il mobile davanti a lei sta ballando. È terrorizzata.
Quella notte a Partinico anche Amico si sveglia di soprassalto e rimprovera Cielo: dormono su un letto a castello e lui pensa che sia stato il fratello a muoversi facendo trantuliare il letto. «Cielo!», urla. Poi vede le luci che si accendono e sente papà Danilo che dice: «Scendiamo tutti, scendiamo tutti». Per strada trovano altra gente. Molti sono preoccupati non solo per le case, ma anche per la diga sullo Jato. Temono che si rompa, che l’acqua li travolga. Altri dicono che la terra ha tremato proprio per colpa della diga e che sta franando tutto.
Gli abitanti della Valle del Belice, svegliati dalla scossa, si affrettano a uscire di casa e a mettersi al sicuro all’aperto. Alcuni di loro stanno ancora lasciando le loro case quando arriva la scossa più forte, quella distruttiva, delle 3,02 della notte. Si sente il boato di paesi interi che crollano: le case di tufo, costruite coi risparmi di una vita o le rimesse degli emigrati, si spezzano. Alcune seppelliscono i loro abitanti.
A Santa Margherita Belice crollano molte case, tutte le chiese e l’antico palazzo dei principi Filangeri di Cutò, dove aveva trascorso le sue estati lo scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa traendo ispirazione per Il Gattopardo. Al momento del crollo i presenti sentono il suono delle campane del palazzo e della chiesa madre e si ricordano di un’antica profezia secondo la quale le campane del palazzo Cutò, ferme da molti anni, sarebbero tornate a suonare quando il paese sarebbe crollato 3.

Pino Lombardo da qualche mese vive a Partinico, dove collabora con il Centro studi e iniziative. Dopo la scossa della notte anche lui prende moglie e figli e parcheggia fuori dal paese per aspettare che arrivi l’alba. Dalla radio sente che nella zona di Gibellina, Salaparuta, Poggioreale, Santa Ninfa e Vita le scosse sono state più forti. A quel punto si mette alla guida per andare a vedere cosa sia successo ai suoi genitori e a sua sorella.
Francesca ricorda che quella notte è suo padre, Ludovico Corrao, a svegliare tutta la famiglia e a decidere di portarla nella Valle del Belice, perché pensa che lì possano essere più tranquilli che in città. Si spostano quindi nella loro casa di campagna di Camporeale. Nell’atrio dell’edificio si raccolgono anche decine di abitanti del paese. Tutti hanno pensato di andare in campagna, all’aria aperta, perché è ritenuto meno pericoloso. Ma è gennaio e fa molto freddo. Francesca ricorda che suo padre lascia lì tutti loro per andare a vedere cosa sia successo a Gibellina, dove in quel periodo sta facendo campagna elettorale per la lista locale. La famiglia non lo rivedrà per due mesi.
Al comando provinciale dei Vigili del fuoco di Roma, la comunicazione dalla Prefettura di Trapani arriva alle 2,40 della notte tra il 14 e il 15 gennaio. C’è stata una forte scossa di terremoto nella Valle del Belice. Pochi minuti dopo le 3,00 arriva una nuova comunicazione, dal comando dei Vigili di Palermo. Stavolta la scossa è distruttiva.
L’ispettore generale dei Vigili del fuoco, che si trovava già sul posto a causa delle scosse del giorno precedente, alle 4,00 comunica dalla caserma dei carabinieri di Castelvetrano la gravità del disastro e il timore di un elevato numero di vittime. Da questo momento viene dato l’allarme ed è attivato il piano di soccorso.
Intorno alle 9,00 del mattino del 15 gennaio la colonna mobile centrale dei Vigili del fuoco inizia le operazioni di imbarco a Civitavecchia, altre forze partono dal porto di Napoli, mentre i primi aerei decollano dall’aeroporto di Ciampino. A meno di 24 ore di distanza dall’allarme, tutte le forze mobilitate sbarcano in Sicilia, ma ci sono alcune difficoltà logistiche. «L’estremo decentramento periferico delle zone colpite dal terremoto ha posto fin dall’inizio problemi estremamente impegnativi all’organizzazione dell’intervento e dei soccorsi, problemi aggravati dalla difficile situazione della viabilità (strade tortuose e in parte investite dalle frane causate dal sisma)», scrive l’ingegner Riccardo Sorrentino, ispettore generale dell’VIII zona di protezione civile, nella relazione del Corpo dei Vigili del fuoco ( Quaderno di Protezione Civile. L’opera di protezione civile nella Sicilia colpita dal terremoto 14 gennaio-31 marzo 1968) pubblicata nell’autunno del 1968. «Dopo le scosse più violente il quadro della situazione (…) era altamente drammatico. I paesi colpiti erano inaccessibili, tutte le strade erano invase dalle macerie. Nella notte fonda e con tempo freddo umido e nevoso, i superstiti, in parte feriti, vecchi e bambini, affollavano ammutoliti le strade all’imbocco dei paesi», scrive Sorrentino, che prosegue: «Salaparuta e Poggioreale, dove squadre di vigili trovavansi sul posto al sopraggiungere della scossa disastrosa, erano completamente tagliati fuori né era possibile ricevere da quei luoghi notizia alcuna. Ogni squadra doveva perciò agire in maniera autonoma operando di propria iniziativa e cercando di porre in salvo più persone possibile. Molti atti di puro eroismo sono stati compiuti in quelle prime ore dai pochi vigili, che moltiplicavano le loro energie operando sotto la minaccia dei crolli, mentre altre scosse si susseguivano con frequenza».
In ogni caso, secondo l’ingegner Fabio Rosati, all’epoca comandante provinciale dei Vigili del fuoco di Roma, il 16 gennaio, nelle prime ore del pomeriggio, le forze mobilitate si trovano in gran parte nella zona coinvolta e sono già attive. I soccorritori si attivano per la ricerca di superstiti. Migliaia di vecchi, bambini e feriti vengono trasportati dai vigili all’unico ospedale della zona, quello di Castelvetrano. Vengono sgomberate le strade e recuperati oggetti d’arte. Ma nel frattempo, chi sta pensando agli sfollati?

A Santa Ninfa, nel trapanese, il sindaco Vito Bellafiore si rende subito conto che la situazione è grave. Diverse case sono crollate, ci sono feriti e morti. «Per prima cosa abbiamo cercato di vedere come poter aiutare – mi racconta mezzo secolo dopo –. Bisognava condurre le persone fuori dal paese, soccorrerle per quanto possibile. Alcuni erano rimasti sotto le macerie, qualcuno purtroppo ci ha lasciato la pelle, e poi era urgente trovare i primi punti di raccolta e di riferimento. C’era stata pure la neve, la temperatura era bassissima. E poi la cosa drammatica, subito dopo il terremoto, era quest’indescrivibile panico, terrore ma anche paura perché non c’era un tetto, non si sapeva dove stare, come stare, e mancavano i beni di prima necessità. Da parte dello Stato durante i primi giorni non abbiamo avuto nessun intervento. C’è stato invece un intervento di privati che venivano da fuori, perché la stampa aveva dato la notizia. Avevano mezzi modesti, ma erano in tanti e questo aiutava ad alleviare la situazione degli sfollati. Alcuni comuni hanno caricato una macchina o un camioncino di materiali di ogni genere per venire a dare soccorsi. Cominciarono ad arrivare anche dall’estero alcuni aiuti, per esempio all’ospedale di Castelvetrano e al ricovero degli anziani di Santa Ninfa, che per via dei numerosi feriti non avevano più lenzuola. I ricambi non sono arrivati dal governo. Le lenzuola all’ospedale di Castelvetrano le ho consegnate io come sindaco di Santa Ninfa perché mi erano arrivate immediatamente da soccorritori e non dal governo italiano. Una disorganizzazione totale: non arrivavano pane, medicine… non arrivava niente».
La mattina del 15 gennaio, insieme all’arciprete del paese don Antonio Riboldi, Bellafiore prende l’automobile e si reca nelle città vicine per cercare qualcosa con cui prestare i primi soccorsi. Castelvetrano, Mazara, Marsala. Perlustrano le città più grandi della zona, dove il terremoto si è sentito ma non ha provocato molti danni, in cerca di farmacie e forni aperti. Sono una strana coppia: lui è un sindaco comunista, in carica da tredici anni; l’altro è un prete lombardo, rosminiano e molto colto. Scrive di loro il giornalista Marcello Cimino, precisando che don Riboldi è «un tipo tutto all’opposto dell’arciprete di paese all’antica, come tanti ne abbiamo conosciuti. Alto, magro, milanese, capo scoperto, barba lunga, gira instancabilmente al volante della sua macchina per confortare, aiutare e soprattutto intervenire presso le autorità militari e civili per facilitare il coordinamento delle direttive (cosa molto difficile ma necessaria) a fianco del sindaco comunista, Bellafiore, che fa il sindaco 24 ore su 24 fra le tende, i camion in arrivo, le distribuzioni dei soccorsi, i collegamenti con i gruppi lontani» 4. All’epoca si vocifera che don Riboldi sia stato inviato a Santa Ninfa su pressione della Dc siciliana, dopo che l’arciprete locale ha deciso di sposarsi. L’obiettivo era di consolidare la fede dei santaninfesi con un prete “giusto” e forse anche incidere sulle sorti politiche del comune, sporadica macchia rossa nella provincia di Trapani. Il disastro del terremoto accomuna però il sindaco e l’arciprete nell’assistere i cittadini santaninfesi. E questa non sarà l’unica volta in cui uniranno le loro forze.

A causa di una frana provocata dal terremoto, Ludovico Corrao, partito da Camporeale, non riesce a prendere la strada per Gibellina, così decide di arrivarci attraversando Poggioreale. In senso opposto al suo vede un esodo di vecchi, donne e bambini che non sanno dove andare. Nessuno ha indicato loro un luogo sicuro. Molti si dirigono verso le case di campagna dove sperano d’essere al sicuro. Qui accendono fuochi sparsi, piangono i morti e cercano di trovare pane per i bambini.
Corrao cammina davanti a quelle che una volta erano le case di Gibellina. Sono ridotte a mucchi di cemento, tufo, ferro. Le sue orecchie sentono i lamenti delle persone sepolte vive sotto le macerie. Migliaia di urla agghiaccianti, come un cerchio infernale, che ricorderà fino alla fine dei suoi giorni.
Scava tra le macerie con gli altri, ma i lamenti non cessano e sembrano venire dalle viscere della terra. Corrao pensa a quando si è trovato lui stesso sotto le macerie. Si è salvato per due volte, estratto vivo dalle rovine di Benevento dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Nei momenti in cui era lì sotto non temeva per la sua vita, era preoccupato perché la sua famiglia non avrebbe più avuto sue notizie. Stavolta, nel Belice, le bombe non c’entrano. A reclamare il suo tributo di vite umane è stata la natura, che con strattoni di morte ha fatto tremare la terra e crollare le case. In quel momento Corrao promette a se stesso e al cielo che farà tutto ciò che è in suo potere per aiutare i gibellinesi. Se non riuscirà con quelli sotto le macerie, lo farà con chi è sopravvissuto. A Benevento era solo un ragazzo. Ora è un politico e ha il potere di cambiare le cose 5.

La scossa più forte, quella arrivata la notte tra domenica 14 e lunedì 15 gennaio 1968, fa crollare moltissime case di tufo e cemento. I danni più gravi si registrano a Gibellina, Salaparuta, Poggioreale, Montevago, Santa Margherita Belice. Ci sono però danni gravissimi anche a Partanna, Santa Ninfa e altri paesi. Complessivamente sono ventuno i comuni colpiti. Circa 300 persone muoiono sotto le macerie 6 mentre gli sfollati sono circa 98.000. La zona più colpita, già di norma difficilmente raggiungibile con mezzi su ruote per l’assenza di strade adeguate, rimane quasi del tutto isolata per almeno due giorni. Questo aggrava il bilancio delle vittime, che secondo le Prefetture di Agrigento, Palermo e Trapani sale a circa 370, mentre i feriti sono oltre 600.
Roberto Ciuni, tra i primi giornalisti a giungere all’alba del 15 gennaio nella zona dell’epicentro, scrive che «le dimensioni della tragedia sono molto più grandi di quel che si possa descrivere. Non è solo questione di ricostruire dei paesi, qui si è spappolato quel tessuto umano che la storia, voglio dire la civiltà contadina siciliana, ha generato intorno alle tre cellule: casa, stalla e zappa» 7.
La Repubblica italiana, ancora relativamente giovane, non è dotata di un collaudato sistema di soccorsi. La Protezione civile come ente autonomo ancora non esiste, le sue funzioni vengono svolte dai Vigili del fuoco, ma intervengono anche esercito e carabinieri. C’è uno scarso coordinamento tra le forze e questo aggrava la situazione. Intanto, le prime tende arrivano dal mare.
«Nel ‘68 non c’era proprio niente – racconta Lorenzo Barbera –. La popolazione era abbandonata a se stessa. Il primo intervento è stato quello di mettere delle tende. Ma prima che arrivassero quelle dello Stato italiano sono passati tra i cinque e i sette giorni. Le prime tende arrivate erano inglesi, sbarcate da una nave britannica che in quel momento si trovava al largo di Trapani…».
Pochi giorni dopo il terremoto, il ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani riferisce al Senato riguardo alla lentezza dei soccorsi: «Nulla è mai perfetto e nulla è mai completo, soprattutto in materia di soccorso – dice –. Sarebbero occorse più mani. Più braccia sarebbero state necessarie al primo momento e non i bulldozer, era indispensabile scavare, togliendo una pietra dietro l’altra per ridare la vita, se possibile, a quelle vittime sepolte, stordite, massacrate, ma ancora con un filo di vita nel corpo» 8.
La relazione di minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla ricostruzione nel Belice, nel 1981 punta il dito contro le carenze dei primi interventi dopo il terremoto. «L’opera di soccorso si dimostrò dispersiva, caotica, inadeguata – si legge nel testo firmato dai senatori Graziani, Iannarone, Lazzari, La Porta e Ottaviani, e dai deputati Antoni, Castoldi, Geremicca, Pernice e Spataro –. La fornitura dei generi alimentari, l’approntamento dei presìdi sanitari, la provvista di medicinali necessari, l’apprestamento e le assegnazioni di ricoveri provvisori in tende, e successivamente la scelta delle aree in cui localizzare le baraccopoli, si svolsero all’insegna della più grande confusione. Le prime forme di speculazione e di prevaricazione sui cittadini interessati presero corpo fin da quella fase iniziale».
Mentre i soccorsi e le tende nel Belice tardano ad arrivare, giungono puntuali invece ministri, sottosegretari e presidenti. Come scrive Lorenzo nella frase che dà il titolo al suo libro I ministri dal cielo, i politici arrivano in elicottero. Tra loro il presidente del Consiglio Aldo Moro e il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Come ar...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Belice
  3. Indice dei contenuti
  4. ​Introduzione
  5. ​Prologo
  6. ​Arrivo in Sicilia
  7. ​Mafiosi e banditi
  8. ​Poveri ma non rassegnati
  9. ​Terremoto, errori e rimorso
  10. ​Resilienza
  11. ​Borgo di Dio
  12. ​La vita nelle baracche
  13. ​Prove di ricostruzione
  14. ​Vito Bellafiore e Santa Ninfa
  15. ​Vincenzino Culicchia e Partanna
  16. ​Ludovico Corrao e Gibellina
  17. ​Mirto
  18. ​Sangue nel Belice
  19. ​Paesi vecchi e nuovi
  20. ​Una battaglia da continuare
  21. ​Glossario delle espressioni in siciliano
  22. ​Le persone intervistate
  23. ​Ringraziamenti
  24. ​Collana iSaggi