Il coraggio e la follia
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Il coraggio e la follia

Ritorno a Mostar

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Il coraggio e la follia

Ritorno a Mostar

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È difficile dopo trent’anni di vita e di lavoro in Italia reintegrarsi nel proprio Paese d’origine, sconvolto dalla guerra degli anni Novanta. Soprattutto quando quel Paese, la Bosnia Erzegovina, è stato sprofondato mezzo secolo indietro nella storia da un conflitto spaventoso, dalla corruzione, dalla difficoltà di comunicazione tra gruppi nazionali, ma a volte anche tra persone che vivono nello stesso palazzo.
Le difficoltà in cui versa il Paese, quelle quasi insormontabili dell’associazionismo, la crudeltà della politica, la corruzione delle istituzioni, il maschilismo dilagante e la difficoltà d’essere donna vengono ricostruite e raccontate in questo prezioso diario di una donna contro-tendenza e contro-mano, tornata a vivere in una Mostar spaccata in due e orfana del suo cantore più magnifico, l’amico e maestro Predrag Matvejevi?.
“Con il passare degli anni, il desiderio degli immigrati di tornare a casa, nel Paese d’origine, diventa sempre più forte. E lì è il coraggio di Enisa, nel non respingere quel desiderio; ed è lì che comincia la sua follia”. (Fatima Neimarlija)
“Questo libro scorre bene, è appassionante e porta con sé tutte le tracce della vita: belle e amare, ma, come tu suggerisci, meritevoli sempre di essere vissute con grande dignità. La testimonianza che ci porti è un profondo invito al ‘coraggio e alla follia’ che è bellezza, forza delle proprie idee e capacità di mettersi in gioco”. (Aldo Di Biagio)

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Informazioni

​Predrag Matvejević, il vero mostarese

Qualche giorno prima di iniziare a scrivere questo capitolo dedicato al professor Predrag Matvejević mi sono dovuta recare al primo liceo di Mostar, lo Stara gimnazija , che oggi ospita anche il Collegio del Mondo Unito, una scuola internazionale, unico caso di un istituto del movimento UWC a essere stato istituito in un Paese appena uscito da un conflitto, con il dichiarato obiettivo di dotare le generazioni successive della Bosnia Erzegovina delle conoscenze, competenze, qualità di leadership e valori internazionali necessari per colmare le divisioni nazionali ancora esistenti e portare finalmente il Paese nel ventunesimo secolo.
Dovevo incontrare il direttore dello Stara gimnazija per fissare un appuntamento con il regista toscano Massimo D’orzi, che stava lavorando a un documentario ispirato al libro Bosnia Express di Luca Leone. Quando sono arrivata davanti alla scuola non ho potuto non fermarmi un attimo per ammirarne l’edificio, come faccio sempre quando mi trovo a queste parti. Si tratta di una meravigliosa costruzione del periodo austroungarico, edificata secondo una geniale commistione tra elementi orientali e l’architettura mitteleuropea del primo Novecento. Il ginnasio ha una facciata centrale a tre ordini, con la merlatura superiore che richiama la decorazione dell’ordine più alto, e due corpi laterali che seguono la stessa decorazione, con un colore di base arancione molto forte.
Per la prima volta ho avuto l’occasione di entrare nello Stara gimnazija. Al di fuori della scuola, vicino il portone, c’è una guardia in una divisa nera, che mi ha accompagnato dal direttore. Sono rimasta molto sorpresa da questa disponibilità, perché in Bosnia Erzegovina ormai si incontrano raramente persone così gentili impiegate nei posti pubblici. Ho dovuto fare una decina di minuti di anticamera e nell’attesa ho iniziato guardare i panelli intorno a me, colmi di testi scritti e immagini, appesi in corridoio. Uno di questi pannelli, accanto alla porta del direttore, ha attratto più degli altri la mia attenzione perché mi era sembrato di scorgervi una fotografia con un viso noto. Era quella di Predrag Matvejević. Il titolo del panello era: Gli allievi di questa scuola più conosciuti nel mondo. La maggior parte erano personaggi dello sport, ma tra loro c’era il grande intellettuale Matvejević. Appena ho messo a fuoco il suo viso dolce e simpatico, mi sono commossa e mi sono scese delle lacrime. Accanto alla foto c’era una breve biografia, con la data e il luogo di nascita: nato a Mostar il 7 ottobre 1932. Mi sono ricordata che qualche volta a Roma ho brindato con lui per il suo compleanno e così hanno iniziato a scorrere nella mia testa tanti ricordi.
D’improvviso sento una voce: “Prego, può entrare”. A parlarmi era un bel giovane vestito all’ultima moda da uomo. Molto elegante, sembrava un italiano. Credevo che fosse un assistente del direttore, ma era invece lui in persona. Ero sorpresa perché è raro incontrare un ragazzo che ricopre la carica di direttore di una scuola così importante. Ero ancora emozionata per i ricordi di Matvejević ho condiviso questo mio stato d’animo col direttore. Poi ho continuato a parlargli di Matvejević, proponendogli di organizzare qualcosa per ricordare il giorno della sua morte, che era vicino. Il direttore ha proposto invece di organizzare la giornata di ricordo in occasione della data della nascita del professore, che ci avrebbe concesso più tempo per lavorare. E abbiamo subito preso accordi in proposito. Quindi abbiamo finalmente potuto discorrere della ragione iniziale della mia visita.
Il 7 ottobre 2018, però, si sono purtroppo svolte le elezioni politiche in Bosnia Erzegovina e l’iniziativa dedicata a Predrag Matvejević purtroppo è stata rinviata. Spero di avere presto un’altra occasione.

Quando parlo di Matvejević a Mostar, noto spesso che in tanti non ne hanno mai sentito parlare, in particolare i giovani. I nazionalisti croati fanno finta di non conoscerlo, visto che lui li ha attaccati frontalmente a al contempo si è speso per difendere con forza Mostar e il Ponte Vecchio attraverso illuminanti articoli pubblicati dai principali quotidiani europei, in particolare francesi e italiani. Sono stati infatti i nazionalisti croati a colpire a cannonate e a distruggere lo Stari Most il 9 novembre 1993. Era il ponte più famoso dei Balcani, costruito dall’architetto Mimar Hajrudin nel 1565 durante la dominazione ottomana. Dopo la guerra il ponte è stato ricostruito e proclamato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco insieme all’intero centro storico cittadino.
Con Matvejević avevamo organizzato un’importante iniziativa insieme, nel 2004, a Roma, dedicata proprio alla sua Mostar. All’epoca lui era docente presso la cattedra di Slavistica dell’Università La Sapienza e io ero la presidentessa della comunità bosniaca in Italia, oltre a essere impiegata presso l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Desideravamo ricordare, nel corso della manifestazione culturale dal titolo Il Vecchio ponte di Mostar – promossa dalla Comunità della Bosnia Erzegovina in Italia, dall’ambasciata della Bosnia Erzegovina, dall’Oim e patrocinata dalla Provincia di Roma, dal Comune di Roma e dall’Anci –, ciò che lo Stari Most ha rappresentato e rappresenta nell’immaginario collettivo.
In quell’occasione Matvejević, tra l’altro, ha detto: “Il nostro Vecchio era molto più di un semplice monumento. Serviva a tutti, ci univa tutti. In esso era immutata la memoria collettiva dei nostri avi; era il simbolo di generazioni. Non allacciava soltanto due sponde; sul quel ponte l’Oriente e l’Occidente si stringevano la mano. Sono nato a duecento metri dal Vecchio, come lo chiamavamo tutti noi. Ci si dava appuntamento sopra al Vecchio, si faceva il bagno sotto al Vecchio, i ragazzi vi si tuffavano a volo di lasta (rondine) e vi si posavano i bianchissimi gambiani dell’Adriatico”. Questa descrizione sembrava una poesia. Ci ha emozionato tutti.
In quella occasione è stato proiettato anche il film documentario Lo spirito del Vecchio ponte di Nadja Mehmedbašić, realizzato in collaborazione con la Tv Federale bosniaca. Il documentario narra la storia del Vecchio attraverso le parole dei suoi tuffatori e della nascita di un blocco di nuovi francobolli con l’immagine di Emir Balić – che era presente in sala – il miglior tuffatore di Mostar. È proprio lui all’inizio del film a raccontare: “A Mostar non esiste casa senza un tuffatore. Sentivamo il Ponte come fosse un essere vivente, che meritava tutto il nostro rispetto”.
Balić era amico di Matvejević. Con lui da Mostar erano venuti due giornalisti, Zlatko Serdarević e Izudin Šahović Cico, che hanno anche esposto una mostra filatelica sul tema del Vecchio ponte di Mostar. Dopo l’incontro siamo andati a mangiare tutti insieme e in quell’occasione ho detto a Matvejević d’essere dispiaciuta di averlo coinvolto a fare il moderatore dell’iniziativa, attività che per lui poteva essere stata stancante. Lui, con tutto il suo candore, ha risposto che per i mostaresi sarebbe disposto a servire anche al tavolo.
Dopo questa iniziativa, ogni volta che andavo a Mostar, Emir Balić mi faceva portare qualche dono per Matvejević. Nel maggior parte dei casi si trattava di pita di zucca oppure dei melagrani erzegovesi. Partivo sempre in aereo da Dubrovnik o da Spalato e una volta tornata a Roma dovevo chiamare subito Matvejević per metterci d’accordo su dove incontrarci il giorno dopo per potergli consegnare il pacco che arrivava da Mostar. Qualche volta abbiamo mangiato la pita – che va consumata nel volgere di pochi giorni – con gli amici perché Matvejević non riusciva liberarsi dagli impegni e non riusciva a passare a prenderla.
Emir Balić voleva un gran bene a Matvejević.

Chi era Predrag Matvejević? Devo dire qualcosa in più su di lui, proprio perché – incredibilmente – alcuni mostaresi non lo conoscono. La sua biografia è ampia e ricca di attività tra le più varie.
Come detto, Matvejević nasce a Mostar, allora nel Regno di Jugoslavia, oggi nella Bosnia Erzegovina. Suo padre – giudice a Mostar dopo il 1945 – era russo benché nato in Ucraina; sua madre era una cattolica bosniaca jugoslava.
Durante la seconda guerra mondiale in Jugoslavia, ancora pre-adolescente, il giovane Predrag fa da staffetta per i partigiani jugoslavi mentre il padre è prigioniero in Germania. Dopo la guerra si diploma al liceo di Mostar e svolge il servizio militare a Fiume/Rijeka, da poco annessa alla Jugoslavia socialista, dove è testimone dell’esodo giuliano-dalmata. Prosegue gli studi di lingua e letteratura francese, prima all’Università di Sarajevo, poi a Zagabria, dove si laurea. Continua gli studi in Francia e nel 1963 ottiene un dottorato alla Sorbona in letteratura comparata ed estetica sulla poesia impegnata. Ritorna quindi in Jugoslavia, dove insegna letteratura francese all’Università di Zagabria fino al 1991. Matvejević credette per tutta la vita nell’ideale jugoslavo ( jugoslovenstvo) “come idea romanticamente generosa di convivenza delle diversità e di abbattimento delle frontiere; mentali, culturali, oltre che fisiche”. Per via di questo si scontrò tanto con i nascenti nazionalisti (incarnati a Zagabria dalla primavera croata del 1971) quanto con la rigidità dell’élite socialista al potere.
Matvejević è stato membro del gruppo di Praxis (1964-1974), rivista zagabrese di umanismo marxista che organizzava seminari estivi sull’isola di Curzola; e proprio per questo nel 1968 gli viene impedito di parlare agli studenti di Zagabria.
Dal 1970 interviene nel dibattito pubblico con una serie di 75 “lettere aperte” (raccolte come samizdat e pubblicate in seguito col titolo Epistolario dall’altra Europa) in cui difende i dissidenti, sovietici o jugoslavi che fossero, e osa persino chiedere a Tito di dimettersi per il bene del Paese. In quei primi Anni ‘70 Matvejević prese perfino la difesa del futuro presidente croato Franjo Tuđman, incarcerato per due anni per attività sovversive legate alla “primavera croata”, credendolo malato di cuore. Si tiene in contatto con gli altri intellettuali e dissidenti dell’Europa orientale; è amico del polacco Jacek Kuron. Matvejević viene espulso dalla Lega dei comunisti jugoslavi nel 1974, diventando dissidente egli stesso. In quegli anni è membro del consiglio del Partito socialista dei lavoratori (Srp) e del comitato editoriale della rivista di sinistra Novi plamen ( Nuova fiamma). Nel 1982 passa un periodo come visiting professor alla New York University.
Del 1987 è la sua opera più famosa, Breviario mediterraneo, in cui ricostruisce in modo narrativo la storia “geopolitica” del Mediterraneo e dei Paesi che vi si affacciano. Considerato dalla critica come un “saggio poetico”, un “poema in prosa”, un “diario di bordo” o un “romanzo sui loghi” alla maniera di Fernand Braudel, infine una “gaia scienza” secondo lo stesso autore e tradotto in una trentina di lingue. Claudio Magris, che lo definì “libro geniale, fulminante, inatteso”, e sostenne la sua pubblicazione in italiano, vi si ispirò poi per il suo Danubio.
Nel 1989, durante la fallimentare transizione politica jugoslava, Matvejević partecipa assieme ai colleghi professori Milorad Pupovac e Žarko Puhovski e al generale Koča Popović alla fondazione dell’Associazione per l’iniziativa democratica jugoslava (Ujdi), che proponeva la democratizzazione del sistema politico all’interno del rinnovato quadro jugoslavo.
Lo scoppio delle guerre jugoslave, e le minacce contro lui che subisce a Zagabria, lo spingono a lasciare il Paese e a vivere tra “esilio e asilo”, prima a Parigi e poi a Roma.
Dal 1991 Matvejević insegna Letterature slave comparate all’Università Sorbona Nouvelle. Nel 1992 è ufficialmente candidato al Parlamento croato nella lista del partito jugoslavista Unione socialdemocratica (Sdu) e nel 1993 invia una lettera a Slobodan Milošević e Franjo Tuđman consigliando a entrambi il suicidio per il bene dei loro popoli. L’anno successivo ottiene l’abilitazione come professeur des universites.
Dal 1994 è a Roma, dove insegna Lingua e letteratura serba e croata. Compie un primo viaggio di ritorno a Mostar nel 1997, ma è scosso dalle rovine lasciate dalla guerra. Alle elezioni europee del 1999 è candidato europarlamentare per il Partito dei comunisti italiani. Nel 2000 di nuovo è visiting professor per un periodo all’Università cattolica di Louvain, in Belgio. Cittadino italiano dal 2006, resta a Roma fino alla pensione, conseguita a 75 anni, nel 2007.
Matvejević è stato consulente per il Mediterraneo nel gruppo dei saggi della Commissione Prodi, vicepresidente onorario del Pen club internazionale e cofondatore nonché presidente del comitato scientifico della Fondazione Laboratorio Mediterraneo (poi Fondazione Mediterraneo) di Napoli. Ha partecipato inoltre alla fondazione della Conferenza Permanente del Mediterraneo (Copeam), dell’Associazione delle Televisioni del bacino del Mediterraneo ed è stato presidente del Centro internazionale di cooperazione culturale (Cicc) durante tutta la sua permanenza in Italia.
Nel novembre del 2001 Matvejević pubblica un saggio breve, I nostri talebani, sul quotidiano Jutarnji list, in cui accusa vari intellettuali (Ivan Aralica, Dobrica Ćosić, Anđelko Vuletić, Matija Becković, Momo Kapor, Mile Pesorda, Rajko Petrov Nogi) di nazionalismo e bellicismo durante le guerre jugoslave, e chiede che siano giudicati da una corte speciale “più restrittiva del Tribunale de L’Aja” come “talebani cristiani” e scrittori “quisling”, ovvero collaborazionisti, responsabili dei crimini di guerra commessi in Bosnia Erzegovina. Uno di questi, il poeta e traduttore Mile Pesorda (anche egli docente universitario in Francia nel 1990-1994), lo cita in giudizio per diffamazione. Il processo inizia nel marzo del 2003 e si conclude nel novembre del 2005 con una condanna emessa ai danni di Matvejević dal Tribunale di Zagabria a cinque mesi di prigione (con pena sospesa) per calunnia e ingiuria. Matvejević rifiuta di fare appello per non dare legittimità al processo e al verdetto. “Non avrei mai pensato di venir punito per uno scritto. I talebani si sono moltiplicati”, afferma. Contro di lui si pronunciano sul settimanale zagabrese Fokus Darko Kovačić l’11 novembre 2005 e Zdravko Tomać il 25 aprile 2008. La condanna viene confermata nel 2010 dalla Corte Suprema croata, che respinge la richiesta dell’Avvocato dello Stato di annullare la sentenza.
Per la sua attività di scrittore Matvejević ha ricevuto molti riconoscimenti sia in Italia che all’estero, fra cui il Premio Malaparte nel 1991, il Premio Strega europeo nel 2003 e il Prix du Meilleur livre entrager nel 1993 a Parigi. Il governo francese gli ha conferito la Legion d’Onore, il presidente della Repubblica italiana gli ha assegnato la cittadinanza italiana e il titolo di Commendatore dell’Ordine della Stella della Solidarietà italiana; anche Slovenia e Croazia gli hanno attribuito dei riconoscimenti. Matvejević ha ricevuto inoltre dottorati ad honorem dalle università di Genova, Trieste, Mostar ( Dzemal Bijedić) e Perpignan. Nel 2014 è insignito del titolo di cittadino onorario di Sarajevo dal sindaco Ivo Komšić per la sua opera di informazione durante l’assedio alla capitale bosniaca.
All’inizio del 2016, un gruppo di scrittori, giornalisti, intellettuali, operatori del mondo della cultura e del mare ha proposto con una lettera-appello all’Accademia di Svezia il Nobel per la letteratura per Predrag Matvejević, autore degli indimenticabili Mediterraneo: un nuovo breviario e Pane nostro. Nella lettera di candidatura al Nobel, si legge:

“Predrag Matvejević è la sintesi dell’Europa, anche dell’Est, che si riconosce nel Mediterraneo e nella sua storia: nella sua vita, nella sua famiglia, nella sua opera mediterranea e politico-letteraria, al tempo della cortina di ferro, si ritrovano quasi tutte le etnie, le religioni, le nazionalità e le culture che, oggi come ieri, qualcuno vuole trasformare in ragione di conflitto.
Tutta l’opera di Matvejević, ma in particolare il suo impareggiabile Breviario mediterraneo, ripercorre quelle differenze presunte, mostrandone, come forse nessuno ha fatto, oltre lui e Braudel, quanto siano nostre, di tutti; mutandole, così, in ragioni di convivenza, arricchimento, scambio.
Ma, sopratutto, a Matvejević si deve una concezione poetica altissima, che fonde la sua capacità di sentire con quella di capire i luoghi e le genti della sua Europa: egli ha elaborato la teoria della ‘geopolitica’ intendendo che sono i luoghi, sedimentando storia e sentimenti di tanti popoli, che emanano poesia; i poeti non la creano, quindi, ma semplicemente, con la loro maggiore sensibilità, la colgono e la ‘traducono’ con i loro versi, mettendola a disposizione degli altri.
L’immensa modestia di Predrag ne nasconde il valore. La modestia è un grande virtù; portata all’esagerazione, è un delitto, perché danneggia il bene.
I fatti di questi giorni, e più in genere di questi anni, rendono tragicamente attuale l’ammonimento di Predrag Matvejević: ‘Sono immense le incongruenze che hanno contrassegnato le diverse civiltà e culture del Mediterraneo, vecchie e nuove’ e continua aggiungendo che ‘lo tradiamo accostandoci a esso da punti di vista eurocentrici’. Perciò rimane di grande attualità, diremmo obbligatoria per tutti con loro che hanno a cuore una pacifica e fruttuosa convivenza mediterranea, la rilettura di Mediteranski brevijar, pubblicato nel 1987 in serbo-croato e tradotto poi in francese, italiano e in tante altre lingue. In quei lontani anni Ottanta, gli occhi europei erano tutti rivolti a est, dimentichi del sud, che per l’Europa corrisponde con il Mediterraneo, ‘il mare della vicinanza’. Una vicinanza che per non rivelarsi conflittuale, deve praticare l’ascolto e accettare la convivenza nella diversità, storica, politica e religiosa. Questo è innanzitutto il primo insegnamento di Mediterraneo: un nuovo breviario. Ma ancora dieci anni dopo, al College de France, malgrado la caduta del Muro, le tragedie balcaniche e l’esodo albanese, Matvejević ribadiva inascoltato che ‘l’immagine che ci offre il Mediterraneo non è affatto rassicurante’, invitando perciò tutti a conoscere e valorizzare ‘modi di essere e maniere di vivere comuni o avvicinabili, a dispetto delle scissioni e dei conflitti’.
Può essere sufficiente un libro per candidare al Nobel l’autore? Noi crediamo di sì.
Ma se ciò non bastasse, allora aggiungiamo il valore letterario e culturale, antropologico e storico, di tutti gli altri suoi libri, tra cui ci limitiamo a ricordare: Epistolario dell’altra Europa, Mondo ex: confessioni, Tra asilo ed esilio. I titoli sono già sufficienti per riassumere la tensione morale di Matvejević, volta alla comprensione dell’alterità culturale. In ultimo, Pane nostro può essere letto anche come un manifesto della condivisione del più necessario e sacro degli alimenti dell’uomo.
Avanziamo perciò la candidatura al Premio Nobel per la Letteratura a Predrag Matvejević, nato a Mostar e cresciuto sulle rive del Mediterraneo che ha magistralmente narrato, guardando con grande attenzione e sensibilità genti e culture dei tre continenti che lo bagnano”.

Comitato promotore: Pino Aprile, giornalista e scrittore; Nicolò Carnimeo, docente universitario e scrittore; Giulia D’Angelo, giornalista e scrittrice; Fabio Fiori, scrittore; Fabio Pozzo, giornalista e scrittore.
Primi firmatari: Cesare Accetta (artista), Filippo Angelucci (docente universitario); Laura Angiulli (regista), Massimo Agrilli (docente universitario); segue una lunga lista di nomi di persone di cultura.

Un gruppo di amici e di suoi ex studenti ha raccolto le firme tra gli intellettuali balcanici per sostenere la proposta. Ho promosso anch’io l’iniziativa, in particolare in Bosnia Erzegovina, raccogliendo una quindicina di firme.

Questo era Predrag Matvejević, grande intellettuale, grande umanista e soprattutto grande uomo. Devo dire che le attività che ha portato avanti nella sua vita erano ancora di più a confronto di queste descritte nelle righe sopra.

Di Predrag Matvejević per la prima volta ho sentito parlare in Italia nel periodo in cui era scoppiata la guerra nel mio Paese d’origine...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il coraggio e la follia
  3. Indice dei contenuti
  4. Prefazione
  5. Introduzione
  6. Prologo
  7. Prima parte Il ritorno in patria
  8. ​Il lavoro
  9. ​Una significativa esperienza in politica
  10. ​L’amore per la campagna
  11. ​Donne che non si arrendono mai
  12. ​Riflessioni a voce alta
  13. ​I tempi della scuola superiore sono tornati
  14. ​Il mio rapporto con gli uomini
  15. Seconda parte In memoriam
  16. ​Predrag Matvejević, il vero mostarese
  17. ​Alda, una milanese innamorata di Sarajevo
  18. ​Rešad, mio fratello
  19. ​Aida, Feni e gli altri
  20. ​Ringraziamenti
  21. ​Collana Orienti