di Daniela Di Fiore
Come in un fumetto, ho ucciso il “bastardo”
(Sandra)
Sandra è stata la prima alunna che ho conosciuto nel reparto di Oncologia pediatrica del Gemelli. Era settembre, la scuola era appena iniziata e quando parlai con lei del progetto della scuola in ospedale tirò un sospiro di sollievo e accettò seduta stante di fare lezione, perché aveva paura di perdere l’anno scolastico, dovendo trascorrere tanti mesi tra casa e ospedale per affrontare le cure mediche.
Non mi diede nemmeno il tempo di finire di spiegarle come si svolgevano le lezioni, i tempi e i modi. Voleva iniziare subito a studiare, perché era al primo anno delle superiori, un anno difficile, di grandi cambiamenti, di nuove materie, mi diceva. Sandra frequentava il primo liceo artistico. Negli anni ha preso il diploma e si è laureata all’Accademia internazionale di Comics in fumetto francese. Già allora aveva stoffa. Si capiva che avrebbe intrapreso questa strada.
Quando entravo nella sua stanza per fare lezione la trovavo sempre con una matita in mano a disegnare. Ricordo che mi regalò dei disegni che aveva fatto per me, che ancora conservo.
Sandra aveva un linfoma ma affrontava questa malattia come una guerriera. Non l’ho mai vista piangere, né abbattuta. Mi ricordo che dall’alto dei suoi quattordici anni mi ripeteva sempre, con una leggera inflessione dialettale per rendere ancora più decise le sue parole: “Il mostro c’è, ma io lo ammazzo. So’ più forte io, professore’”.
Sandra aveva tantissima voglia di studiare. Grammatica, articolo e nome, gli Egizi e le piramidi, mentre si sottoponeva alla terapia. La chemioterapia.
Era la prima volta che avevo una alunna malata di cancro, ed era la prima volta che entravo in un reparto di Oncologia pediatrica, per cui, al principio, mi imbarazzava spiegare mentre lei si sottoponeva a quelle cure così pesanti. Avevo paura di stancarla, ma la psicologa mi disse che le lezioni le facevano bene, la distraevano e la aiutavano a non pensare alla malattia.
Sandra, oltre a studiare, leggeva tanto. Mi diceva che leggendo ammazzava il tempo, interminabile, che trascorreva in ospedale. Mi raccontò che, durante un ricovero, in tre giorni aveva letto un libro di seicento pagine. Mi disse, sorridendo: “Prof, questo librone mi ha aperto la mente”.
A Sandra non mancava mai il sorriso. Anche quando doveva fare l’esame del midollo spinale, un’indagine dolorosa e complessa che viene fatta in sala operatoria. La ricordo perfettamente, stesa nel lettino trasportato dai portantini mentre si avviava in sala, con il suo solito sorriso e una bandana colorata in testa. Sempre allegra con quella sua testolina pelata avvolta nella bandana, anche quando discuteva animatamente con la mamma perché doveva fare la “pipì a comando”, per gli esami di routine, mentre io finivo di spiegarle l’ Iliade.
Con la mamma di Sandra, come con tutte le mamme eroiche che ho conosciuto in Oncologia pediatrica, parlavo spesso, trattenendomi dopo le lezioni. Mi confidava le sue paure, le sue angosce; e il fatto di stare lontana da casa e di avere un marito e un’altra figlia più piccola da seguire, erano per lei motivo di grande preoccupazione. Ma non poteva mollare. Non poteva farlo per Sandra che stava affrontando, a soli quattordici anni, qualcosa più grande di lei.
La malattia di un figlio ti cambia la vita, te la sconvolge. La sconvolge a tutta la famiglia. Ricordo lo sguardo preoccupato della sua mamma quando attendeva l’esito di un esame o l’angoscia quando Sandra stava male e vomitava a causa della chemio. Ma Sandra l’aiutava molto a superare ansie e paure con il suo carattere forte e sempre positivo. Non si abbatteva mai. Anche quando stava perdendo i capelli se la rideva, con ironia: “Metterò la parrucca, chi se ne importa dei capelli… tanto poi mi ricresceranno”, e se la rideva. Mi faceva sentire una nullità. Rideva, rideva anche di gusto. Aveva un linfoma, lo sapeva bene e riusciva a trovare la forza, lo spirito, per scherzare. Non so se io, al suo posto, ce l’avrei fatta. Sandra, invece, rideva mentre le cascavano i capelli e ripeteva: “Mi metterò una bandana”.
La ricordo arrabbiata, ma sempre ironica, avvolta in un pigiamino rosa e con la matita in mano, quando ebbe una trombosi a una gamba. Nonostante l’arto dolorante, non stava ferma un attimo e voleva fare a tutti i costi lezione di italiano e storia: “Prof, stamattina non mi sentivo un granché bene. Ho vomitato, ma mi sono detta: ‘Devo studiare, non posso perdere l’anno’. E allora facciamo lezione, andiamo avanti con le spiegazioni. Prof, è inutile che mi guarda come per dire: ‘Che dici? Ma non vedi che stai male? Che ti fa pure male la gamba?...’. Prof, io voglio fare lezione. Lei lo sa. La scuola in ospedale mi aiuta molto in questo periodo così difficile della mia vita. Anzi, le dirò di più. Non vedo l’ora di tornare a scuola… Chissà se qualche anno fa avrei detto una frase simile? Ma nella vita si cambia. Eccome se si cambia”.
Come cambiano le prospettive quando si soffre. Quando si vede in faccia la morte. Anche se si è così giovani come Sandra, si rimane attaccati alla vita, si combatte, si tirano fuori le unghie e i denti. E Sandra lo faceva, eccome. Tirava fuori unghie e denti e combatteva e la cosa più sorprendente era lei lo faceva sempre con il sorriso.
La ricordo quando le facevano delle iniezioni dolorosissime sulla pancia e lei non si lasciava sfuggire nemmeno un lamento; anzi, per non far preoccupare la mamma, sorrideva. Eppure aveva solo quattordici anni. E pur essendo così giovane, faceva discorsi da adulta. Con una malattia come la sua si cresce in fretta. Lo sapeva lei e lo sapevo anche io. “Prof, io credo sia tutto questo inquinamento a fare ammalare le persone. Ci stanno avvelenando in silenzio. Anche io che vivo in campagna e mangio sano, tutti prodotti dell’orto, così giovane mi sono già ammalata. Prima l’acqua era azzurra e limpidissima non come questa nostra inquinata, sporca. L’essere umano è cattivo e anche stupido, se ne frega di inquinare la terra e il mare, i fiumi e i laghi, pur di guadagnare denaro, e non si rende conto che anche i suoi figli possono ammalarsi. E allora che guadagno è se rischi di perdere un figlio o una persona cara? Vale la pena? Quello è denaro insanguinato da tutte le morti, soprattutto di bambini e di noi giovani, che stiamo combattendo contro la malattia. Perché è possibile che il mio cancro sia dovuto all’inquinamento. È un’ipotesi alla quale io penso sempre”. E, infatti, lei lo sapeva bene, perché lo stava provando sulla sua pelle che cos’è combattere contro il cancro.
Per fortuna, Sandra è guarita. Il giorno che la dimisero mi disse: “L’ho ucciso professoressa, ho ucciso sto’ bastardo”. Non stava nella pelle perché finalmente, dopo mesi di chemioterapia, usciva dall’ospedale. Aveva finito l’ultimo ciclo di chemio e sconfitto il linfoma. Avrebbe dovuto fare controlli ogni tre mesi, ma per i medici era stata una grande vittoria. Come le tante vittorie che ogni anno i medici di Oncologia pediatrica riescono a ottenere sul cancro, anche con Sandra sono riusciti a vincere.
Ho portato con me, in questi anni di docente ospedaliera, la sua risata, la sua ironia, la sua voglia di vivere, la sua forza. E non l’ho mai persa di vista. È stata una studentessa modello. In occasione del suo primo controllo mi telefonò per dirmi che si trovava al Gemelli. Mi disse che voleva salutarmi e che tutto procedeva bene. Andai da lei che, come al solito, era vulcanica. Non stava zitta un attimo. Le stavano ricrescendo i capelli, aveva il viso bianco e rosa, non era più pallida e pelata come quando era ricoverata, e come sempre aveva portato con sé matita e fogli per disegnare in attesa della visita.
Mi abbracciò forte, fortissimo. E fu una grandissima emozione. Entrambe avevamo le lacrime agli occhi, lacrime di felicità, per aver vinto una grande battaglia. La più grande, la più dura che una ragazza di quattordici anni dovesse affrontare. È una gioia immensa, indefinibile, per noi insegnanti vedere i ragazzi che ce l’hanno fatta. Ogni volta che Sandra viene al Gemelli per un controllo, la mamma mi telefona, così ci incontriamo e ci salutiamo. E non solo. Quando lei e la mamma vengono al Policlinico, mi portano sempre o una torta o dei biscotti fatti in casa. Per loro, mi dicono, sono piccoli gesti, ma per me hanno una grandissima importanza.
A Sandra ho chiesto di accompagnarmi in una trasmissione televisiva alla quale ero stata invitata per parlare della scuola in ospedale e del mio libro Ragazzi con la bandana (in cui lei è una delle protagoniste), perché conoscendola sapevo che avrebbe accettato, che non mi avrebbe detto di no. Infatti fu entusiasta della proposta.
Andammo insieme in trasmissione e io chiesi espressamente alla giornalista di intervistare lei per comprendere davvero la grande importanza della scuola in ospedale. Chi meglio di Sandra, che era stata una mia alunna, avrebbe potuto descriverla? E lei, con grande serietà, disse all’intervistatrice che la scuola in ospedale era vitale per i pazienti ospedalizzati, che li faceva sentire non solo vivi ma anche normali, uguali ai loro compagni di classe e che fare lezione, studiare e apprendere dava loro una speranza per il futuro.
Sandra è stata la prima alunna che ho contattato per raccontare le belle storie racchiuse in questo libro. A lei ho chiesto di disegnare la copertina di questo libro e ne è stata entusiasta. Oggi Sandra sta bene, il passato della malattia è un ricordo, ma nella sua mente e nel cuore affiorano spesso colori, suoni, sensazioni provate, immagini e volti. Come quello della sua compagna di stanza Ester, anche lei una mia alunna della scuola in ospedale, alla quale la Comics ha dedicato una borsa di studio perché lei, purtroppo, non è riuscita ad ammazzare il mostro.
Le conobbi nello stesso periodo, all’inizio dell’anno scolastico. Il primo anno del mio ingresso nella scuola in ospedale. Sandra frequentava il primo ed Ester il secondo liceo artistico. Spesso Sandra ed Ester condividevano la stessa stanza, le stesse terapie, le stesse sofferenze, le stesse paure. Ma anche, e soprattutto, le stesse passioni e gli stessi sogni. Spesso Ester dava consigli scolastici a Sandra e questo le faceva sentire normali, due compagne di scuola che si confrontano, si scambiano pareri, si aiutano. La scuola è anche questo. E in ospedale, l’aiuto, il conforto, l’amicizia, il darsi una mano e la solidarietà sono valori che i ragazzi non imparano sui libri o da noi insegnanti. Anzi, sono spesso loro che insegnano a noi questi valori. È la vita che insegna la vita. In ospedale i ragazzi e le ragazze stringono amicizie fraterne. Si confidano paure e sogni.
Il sogno di Sandra era di diventare fumettista. Adesso è di andare in Francia e diventare un’artista, “cioè disegnare e arrivare a colpire il cuore degli altri, raccontare delle emozioni che possano toccare tutti” con i suoi disegni. Questo era anche il sogno di Ester. E anche se a Ester il sogno è stato maledettamente spezzato, c...