Rapporto 2019-2020
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La situazione dei diritti umani nel mondo

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Rapporto 2019-2020

La situazione dei diritti umani nel mondo

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Informazioni sul libro

Il Rapporto 2019-2020 è un'analisi approfondita dell'attuale situazione dei diritti umani nel mondo, dei fatti salienti del 2019 – dai conflitti alle crisi dei rifugiati e del clima, fino alla repressione delle libertà individuali – e delle prospettive per il 2020.
Il volume contiene panoramiche regionali e schede su una serie di paesi-chiave, tra cui l'Italia, per avere una visione chiara e consapevole del mondo in cui viviamo. Racconta anche i non pochi successi di un movimento globale per i diritti umani sempre più reattivo e forte, del quale attiviste e attivisti di Amnesty International sono protagonisti.
Il Rapporto di Amnesty International continua a essere un riferimento indispensabile per ricercatori, avvocati, giornalisti, rappresentanti delle istituzioni, associazioni, attivisti e per tutte le persone che non si arrendono all'idea che il cambiamento sia impossibile.
"Amnesty international è la più importante e autorevole organizzazione che vigila sullo stato dei diritti e della loro applicazione e si batte contro ogni loro prevaricazione da qualsiasi parte venga e da chiunque venga subita". (Moni Ovadia)

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788868614102

Panoramica regionale sull’Africa Subsahariana



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Mentre si avvicinava la scadenza dell’impegno politico regionale a “far tacere le armi” entro il 2020, in diversi paesi dell’Africa Subsahariana continuavano conflitti armati implacabili, con nuove forme di violenza perpetrata da attori non statali che hanno portato al dilagare di uccisioni, tortura, rapimenti, violenza sessuale e sfollamenti di massa, inclusi crimini di diritto internazionale.
I prolungati conflitti in corso in Repubblica Centrafricana (Central African Republic – Car), Repubblica Democratica del Congo (Democratic Republic of Congo – Dcr), Sudan e Sud Sudan sono continuati a fasi alterne, con attacchi indiscriminati che hanno preso di mira i civili. Gruppi armati attivi in Camerun, Mali, Nigeria, Somalia e in altri paesi si sono resi responsabili di vari abusi, tra cui uccisioni illegali e rapimenti, causando anche sfollamenti di massa. Le forze di sicurezza statali hanno spesso risposto con gravi violazioni dei diritti umani come uccisioni extragiudiziali, sparizioni forzate e tortura.
I conflitti e l’insicurezza, insieme alle nuove forme di violenza comunitaria emerse in paesi come l’Etiopia, ci riportano alla brutale realtà di un’Africa ben lontana dal rompere la sua tragica spirale di conflitti armati e violenza.
Spesso ciò che è stato messo a tacere non state le armi ma la giustizia e l’accertamento delle responsabilità per i crimini e le altre gravi violazioni dei diritti umani. Dalla Nigeria al Sud Sudan, innumerevoli vittime di gravi crimini e abusi non hanno ottenuto giustizia e forme di riparazione.
L’anno è stato anche segnato da una diffusa repressione del dissenso, con giri di vite sulle proteste pacifiche e attacchi contro mezzi d’informazione, difensori dei diritti umani e oppositori politici. In più di 20 paesi è stato negato il diritto delle persone di protestare pacificamente, anche tramite l’applicazione di divieti illegittimi, il ricorso all’uso eccessivo della forza, vessazioni e arresti arbitrari.
In due terzi dei paesi monitorati, i governi hanno pesantemente limitato la libertà d’espressione; e alcuni hanno preso in particolar modo di mira giornalisti, blogger, gruppi della società civile e oppositori politici, anche nel contesto delle elezioni.
Queste violazioni si sono manifestate in un contesto di fallimenti nel tutelare e rispettare i diritti economici, sociali e culturali. Sgomberi forzati attuati senza forme di compensazione sono proseguiti in paesi come Eswatini (ex Swaziland), Nigeria, Uganda e Zimbabwe. In Angola, l’acquisizione su vasta scala di terreni a scopi commerciali ha avuto un forte impatto sui mezzi di sussistenza di migliaia di persone. L’accesso all’assistenza sanitaria e all’istruzione, già disastroso in tutto il continente, è stato ulteriormente aggravato dai conflitti in corso, in paesi come Burkina Faso, Camerun e Mali.
Tuttavia nel continente africano, persone comuni, attivisti e difensori dei diritti umani sono scesi per le strade. Da Khartoum ad Harare e da Kinshasa a Conakry, manifestanti pacifici hanno sfidato proiettili e percosse per difendere quei diritti che i loro leader non avrebbero difeso. E in qualche occasione, le conseguenze hanno cambiato le carte in tavola, determinando importanti trasformazioni nei sistemi politici e aprendo la strada a profonde riforme istituzionali, come in Sudan ed Etiopia.

CONFLITTO ARMATO E VIOLENZA
L’Africa continua a essere teatro di alcune delle guerre più complesse del mondo, con conflitti armati che sono proseguiti in vari paesi, tra cui Car, Drc, Camerun, Mali, Nigeria, Somalia, Sudan e Sud Sudan. In questi paesi, come anche in Burkina Faso, Ciad, Etiopia e Mozambico, gli attacchi compiuti dai gruppi armati e la violenza comunitaria hanno provocato morti, sfollati e feriti. Le risposte delle forze di sicurezza statali sono state caratterizzate da diffuse violazioni dei diritti umani e crimini di diritto internazionale.

Attacchi indiscriminati e deliberati contro i civili
In Darfur, le forze governative sudanesi e le milizie loro alleate si sono rese responsabili di uccisioni illegali, violenza sessuale, saccheggi sistematici e sfollamenti forzati. La distruzione di almeno 45 villaggi nel Jebel Marra è proseguita fino a febbraio e a maggio aveva già costretto alla fuga più di 10.000 persone.
In Sud Sudan, sporadici scontri tra truppe governative e fazioni armate hanno causato morti tra i civili. Le parti coinvolte nel conflitto hanno ostacolato l’accesso degli aiuti umanitari, è aumentato il numero di minori reclutati come bambini soldato e la violenza sessuale legata al conflitto, inclusi stupri, stupri di gruppo e mutilazioni sessuali, era un fenomeno pervasivo.
In Somalia, il sempre più frequente e indiscriminato impiego di droni e aerei dotati di equipaggio negli attacchi effettuati dal Comando militare Usa in Africa (Us Africom) ha continuato a causare morti e feriti tra i civili. Sono stati lanciati più di 60 raid aerei, un numero mai raggiunto prima, che hanno provocato la morte di almeno tre civili, portando il bilancio delle vittime in questo tipo di attacchi ad almeno 17 negli ultimi due anni.

Abusi da parte dei gruppi armati, violenza comunitaria e risposte illecite degli stati
I gruppi armati hanno proseguito i loro brutali attacchi, perpetuando una lunga serie di abusi e crimini in paesi come Burkina Faso, Camerun, Car, Drc, Mali, Nigeria, Somalia e in altri luoghi. Alcuni di questi attacchi si sono configurati come gravi violazioni del diritto internazionale umanitario. Spesso, anche la risposta delle forze di sicurezza e dei loro alleati ha implicato gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e delle norme sui diritti umani.
In Somalia, a metà novembre, le Nazioni Unite avevano registrato almeno 1.150 vittime civili. Il gruppo al-Shabaab si è reso responsabile della maggior parte di questi attacchi deliberati, compreso quello compiuto a dicembre a Mogadiscio, in cui l’esplosione di un camion bomba ha ucciso quasi 100 persone. Anche le operazioni militari contro al-Shabaab da parte delle truppe somale e delle forze loro alleate hanno provocato decine di morti e feriti tra i civili, spesso dovute ad attacchi indiscriminati.
Nelle regioni del nord-ovest e del sud-ovest del Camerun, gruppi armati separatisti anglofoni hanno continuato a commettere abusi, come uccisioni, mutilazioni e rapimenti. L’esercito ha reagito in maniera sproporzionata, compiendo esecuzioni extragiudiziali e bruciando case.
La situazione della sicurezza si è notevolmente deteriorata nel centro del Mali, con frequenti uccisioni di civili per mano dei gruppi armati e di autoproclamati “gruppi di autodifesa”. In risposta, le forze di sicurezza maliane hanno compiuto molteplici violazioni, tra cui esecuzioni extragiudiziali e torture.
In Etiopia, la risposta delle forze di sicurezza all’impennata della violenza comunitaria che ha causato centinaia di vittime, ha spesso implicato un uso eccessivo della forza. Per esempio, a gennaio, le forze di difesa etiopi hanno ucciso almeno nove persone, tra cui tre bambini, durante le operazioni di contenimento della violenza etnica nella regione di Amhara. L’esercito aveva promesso l’apertura di un’indagine ma a fine anno non ne era stato ancora reso noto l’esito.

Mancata protezione dei civili dagli abusi dei gruppi armati
Molti stati della regione, così come i peacekeeper internazionali, hanno disatteso il loro dovere di proteggere i civili da crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani compiute dai gruppi armati, tra cui uccisioni, torture, rapimenti e sfollamenti di massa.
Nella Drc orientale, la polizia locale e i peacekeeper delle Nazioni Unite di stanza nelle vicinanze sono rimasti inerti nei loro accampamenti mentre i gruppi armati uccidevano almeno 70 civili a Beni, nel mese di novembre.
In Nigeria, le forze di sicurezza non hanno garantito la protezione della popolazione civile nel nord-est del paese, mentre Boko Haram lanciava almeno 30 attacchi, provocando la morte di oltre 378 civili e lo sfollamento di migliaia di persone. Gli abitanti di alcune delle località e villaggi presi d’assalto hanno raccontato che le forze di sicurezza avevano ritirato la loro protezione poco prima che avvenissero gli attacchi.
Nella regione dell’Estremo nord del Camerun ci sono state proteste per l’assenza della protezione dello stato e il senso di abbandono della popolazione civile di fronte all’ondata di attacchi da parte di Boko Haram, durante i quali sono state uccise almeno 275 persone e altre ancora sono state mutilate o rapite.

IMPUNITÀ
Uno dei principali motivi per cui così tanti stati della regione continuavano a essere intrappolati in una spirale di conflitti armati e violenza era la costante incapacità d’indagare opportunamente sulle gravi e diffuse violazioni e abusi, compresi crimini di diritto internazionale, e di portare dinanzi alla giustizia i responsabili. Nonostante qualche limitato progresso in alcuni paesi, sono generalmente mancate iniziative concrete in grado di garantire giustizia alle vittime.
In Sud Sudan, i responsabili delle gravi violazioni commesse durante il conflitto armato hanno potuto contare ancora sull’impunità e il governo ha continuato a bloccare la creazione di un Tribunale ibrido per il Sud Sudan, un meccanismo giudiziario guidato dall’Au, che avrebbe dovuto affrontare l’eredità della violenza compiuta in passato e garantire giustizia alle vittime del conflitto.
In Sudan, i responsabili di oltre 16 anni di gravi violazioni in Darfur, come crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, non erano stati ancora assicurati alla giustizia.
Come negli anni precedenti, il governo della Nigeria non è intervenuto in maniera concreta per garantire giustizia alle innumerevoli vittime dei crimini di guerra e di crimini contro l’umanità compiuti nel nord-est del paese da Boko Haram e dalle sue forze di sicurezza.
Il presidente del Mali ha promulgato una legge di “riconciliazione nazionale” che, secondo l’Esperto indipendente delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Mali, potrebbe “impedire a molte vittime di gravi violazioni di esercitare i loro diritti a una giustizia equa e paritaria, di ottenere riparazione e di conoscere la verità sulle violazioni compiute in passato”. Nonostante le numerose violazioni e gli abusi commessi a partire dal 2012, erano stati celebrati ancora pochi processi e ancora meno erano state le condanne.
Sono rimasti ampiamente impuniti anche gli abusi commessi da attori non statali, così come le violazioni da parte di attori statali, tra cui repressione dei manifestanti, tortura e altri attacchi contro difensori dei diritti umani, attivisti della società civile, minoranze, rifugiati e migranti.
In Sudan, a fronte delle ripetute e brutali aggressioni delle forze di sicurezza contro manifestanti pacifici, nelle quali 177 persone sono rimaste uccise e altre centinaia ferite, è stato aperto un solo fascicolo giudiziario. A ottobre, il nuovo governo di transizione del Sudan ha istituito una commissione indipendente incaricata di indagare sulle gravissime violazioni compiute a Khartoum il 3 giugno. Nonostante la commissione fosse tenuta a pubblicare il suo rapporto e i risultati dell’indagine entro tre mesi, il termine è stato in realtà prorogato.
In Etiopia, il governo non aveva ancora condotto indagini approfondite e imparziali sugli abusi compiuti da attori non statali e dalle forze di sicurezza, compresa l’uccisione di manifestanti e le numerose segnalazioni di tortura e altri maltrattamenti nelle carceri.
Tra i limitati passi avanti c’è stato l’esame da parte di tribunali ordinari della Car di alcuni casi di abusi compiuti dai gruppi armati e il lavoro della Corte penale speciale (Special Criminal Court – Scc), che ha ricevuto 27 denunce e avviato altrettante indagini. Tuttavia, l’Scc non ha ancora spiccato mandati d’arresto né avviato processi. Inoltre, in base ai termini dell’accordo di pace siglato a febbraio tra il governo e 14 gruppi armati sono entrati a far parte dell’esecutivo presunti responsabili di abusi, perpetuando così un clima d’impunità.
Un quadro altrettanto ambiguo si è visto anche nella Drc. I tribunali militari si sono occupati di alcuni casi di stupro legati al contesto del conflitto ma non hanno chiamato in giudizio la maggior parte dei funzionari civili e militari di alto grado sospettati di avere commesso o promosso crimini di diritto internazionale. Diversi politici o alti funzionari presunti responsabili di violazioni hanno conservato la loro posizione o sono stati nominati ai vertici delle istituzioni.

Corte penale internazionale
L’Icc ha registrato sviluppi positivi in casi riguardanti la Car, la Costa d’Avorio, la Drc e il Mali ma pochi sono stati i progressi ottenuti in merito alla situazione in Guinea, Nigeria e Sudan.
L’anno è cominciato con l’assoluzione da parte della Camera processuale dell’ex presidente della Costa d’Avorio Laurent Gbagbo e del suo ex assistente Charles Blé Goudé da tutte le imputazioni di crimini contro l’umanità, che sarebbero stati compiuti in Costa d’Avorio nel 2010 e 2011. Il procuratore dell’Icc è ricorso in appello contro tale decisione.
A dicembre, un rapporto dell’Ufficio del procuratore dell’Icc ha confermato ancora una volta che il governo nigeriano non era intervenuto in maniera significativa per garantire giustizia per i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità commessi dal gruppo armato Boko Haram e dalle sue forze di sicurezza durante il conflitto nel nord-est della Nigeria. Tuttavia, l’Ufficio del procuratore non aveva ancora deciso se aprire un’indagine sulla situazione, a quasi 10 anni dall’apertura del suo esame preliminare. Non ha neppure lasciato intendere se tale decisione sarebbe stata assunta nel 2020.
In Sudan, l’ex capo di stato Omar al-Bashir è stato deposto ad aprile ma le autorità non hanno provveduto a consegnarlo all’Icc, assieme ad altri tre sospettati, in base ai mandati d’arresto spiccati nei loro confronti per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi in Darfur.
Sono stati compiuti progressi nei procedimenti giudiziari riguardanti la Car. A gennaio, Patrice-Edouard Ngaïssona, leader di una milizia anti-balaka, è stato trasferito all’Icc per presunti crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nel 2013 e 2014. A febbraio, il caso è stato accorpato a un altro riguardante Alfred Yekatom, anch’egli capo di un gruppo armato anti-balaka. A dicembre, dopo la parziale convalida delle imputazioni a loro carico, sono stati rinviati a giudizio.
A settembre, l’Icc ha convalidato le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità a carico di Al Hassan Ag Abdoul Aziz Ag Mohamed Ag Mahmoud, ex capo della polizia islamica della città di Timbuctu, in Mali.
A novembre, l’Icc ha condannato a 30 anni di carcere Bosco Ntaganda, ex capo militare di una milizia attiva nella Drc orientale. A luglio, era stato giudicato colpevole di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

REPRESSIONE DEL DISSENSO
Giro di vite sulle proteste
In oltre 20 paesi, alle persone è stato negato il diritto di protestare pacificamente, anche attraverso l’imposizione di disposizioni illegittime, l’uso eccessivo della forza, vessazioni e arresti arbitrari.
In diversi paesi della regione, l’uso eccessivo della forza e altri abusi per disperdere proteste pacifiche hanno provocato morti, feriti e arresti illegali.
In Sudan, ad aprile migliaia di manifestanti pacifici hanno posto fine a decenni di repressione esercitata dal governo del presidente Omar al-Bashir, riaccendendo le speranze per il rispetto dei diritti umani. Ciò è tuttavia avvenuto a caro prezzo. Almeno 177 persone sono state uccise e altre centinaia sono rimaste ferite quando le forze di sicurezza hanno fatto ricorso a proiettili veri, gas lacrimogeni, percosse e arresti arbitrari per disperdere le proteste di massa pacifiche a Khartoum e in altre località.
Le forze di sicurezza dello Zimbabwe hanno scatenato un violento giro di vite contro le persone che protestavano per l’impennata del prezzo del carburante a gennaio, aprendo il fuoco e uccidendo almeno 15 persone, ferendone altre 78 ed effettuando più di 1.000 arresti arbitrari.
In Guinea, le forze di sicurezza hanno continuato ad alimentare la violenza facendo ricorso all’uso eccessivo della forza durante le manifestazioni. Almeno 17 persone sono morte (di cui almeno 11 a ottobre e tre a novembre), durante le manifestazioni contro una riforma costituzionale che avrebbe permesso al presidente Alpha Condé di candidarsi per un terzo mandato.
In Benin, tra aprile e giugno, le forze di sicurezza hanno ucciso almeno quattro persone, tra manifestanti e passanti.
In Angola, la polizia e le forze di sicurezza hanno disperso con la violenza proteste indipendentiste tenutesi a gennaio e dicembre, ed effettuato decine di arresti arbitrari. In Ciad, 13 manifestanti sono stati percossi e arrestati ad aprile, durante una protesta pacifica contro la carenza di gas butano. La polizia della Drc ha fatto un uso eccessivo della forza per disperdere almeno 35 manifestazioni pacifiche, ferendo almeno 90 persone e arrestandone arbitrariamente altre decine. In Sud Sudan, a maggio, è stata impedita la partecipazione a una manifestazione pacifica a Juba, dopo che il governo aveva schierato l’esercito, condotto perquisizioni casa per casa e minacciato i dimostranti.
In altre aree, i governi sono ricorsi a sanzioni amministrative e altre misure per imporre restrizioni e divieti illegali sulle proteste pacifiche. Per gran parte dell’anno, le autorità di polizia della Nigeria hanno vietato raduni pacifici in diversi stati e limitato l’accesso delle persone a punti di ritrovo per partecipare alla maggior parte delle proteste programmate nella capitale Abuja.
In S...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Rapporto 2019-2020
  3. Indice dei contenuti
  4. I Amnesty
  5. Sezione Italiana di Amnesty International
  6. Abbreviazioni
  7. Prefazione
  8. Premessa
  9. PANORAMICHE REGIONALI
  10. Panoramica regionale sull’Africa Subsahariana
  11. Panoramica regionale sulle Americhe
  12. Panoramica regionale sull’Asia e Pacifico
  13. Panoramica regionale sull’Europa
  14. Panoramica regionale sull’Europa Orientale e Asia Centrale
  15. Panoramica regionale su Medio Oriente e Africa del Nord
  16. APPROFONDIMENTI
  17. ARABIA SAUDITA
  18. BRASILE
  19. CINA
  20. EGITTO
  21. INDIA
  22. IRAN
  23. ITALIA
  24. LIBIA
  25. MYANMAR
  26. POLONIA
  27. REPUBBLICA CENTRAFRICANA
  28. RUSSIA
  29. SIRIA
  30. SOMALIA
  31. STATI UNITI D’AMERICA
  32. SUDAN
  33. TURCHIA
  34. UNGHERIA
  35. VENEZUELA
  36. Le sedi regionali di Amnesty International Italia
  37. Difendi i diritti umani nel mondo. Unisciti ad Amnesty International!
  38. ​Collana Grandangolo