L'orso non è invitato
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L'orso non è invitato

Gli animali, l'uomo, la scomparsa della biodiversità sulla Terra

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L'orso non è invitato

Gli animali, l'uomo, la scomparsa della biodiversità sulla Terra

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“ La storia dell’orso in Trentino è uno spartiacque tra due possibilità. È un modo di immaginare il futuro e di scegliere il destino della vita sulla Terra”. Un viaggio per conoscere l’orso bruno, il lupo, le balene, il rinoceronte e altri animali meravigliosi a cui l’uomo ha “dichiarato guerra”. Un vero e proprio tour mondiale, fatto anche di dati, avvenimenti di cronaca e curiosità, per entrare in contatto con straordinari esseri viventi nei loro ambienti. Ne scaturisce una fotografia chiara e attuale per avere un’idea di quello che sta succedendo attorno all’uomo e riflettere su alcune delle principali minacce per le specie del Pianeta.
La perdita di biodiversità nasce prima di tutto dai nostri modi di pensare. La bellezza della vita che ancora esiste è il punto di partenza da cui farsi prendere per mano per trovare delle risposte efficaci alla crisi ambientale che minaccia la Terra.
“Rimbocchiamoci le maniche e mettiamoci al lavoro. C’è un mondo intero da salvare”. (Davide Celli)
“È necessaria e urgente una nuova coscienza collettiva, basata sulla conoscenza e sull’etica”. (Alessandro Mosso e Ruth Pozzi)

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Informazioni

L’orso

C'era un tempo non lontano in cui gli orsi bruni erano i “padroni” delle foreste. Vi si spostavano schivi e solitari, perlopiù camminando, senza bisogno di correre e sprecare energie preziose.
Non era possibile contarli con precisione, ma non erano mai in troppi; gli orsi non amano l’affollamento. Sono i sottili equilibri della natura a dire quanti ce ne possono essere in una determinata zona – di solito pochi esemplari in cento chilometri quadrati.
Si sapeva della loro presenza discreta dai segni che lasciavano abitualmente sul territorio: impronte a cinque dita ben marcate nel suolo; escrementi di grandi dimensioni dentro i quali era possibile identificare il contenuto con facilità; graffi sugli alberi; “scortecciature”; peli di un aspetto lanoso e “ondulato” rimasti imprigionati nei cespugli; buche in cui potevano avere riposato durante le ore del giorno.
Qualcuno li poteva anche avvistare, ma non era facile.
Gli orsi non amano fare rumore. Se non in rari casi, non emettono versi o richiami. Quando avvertono nell’aria la presenza di un uomo, generalmente scappano via di soppiatto, senza farsi sentire.
Sono molto attenti. Anche se non vedono bene, dispongono di un ottimo udito e di un eccellente olfatto. Per questo, a volte, si alzano su due piedi per annusare e capire quello che c’è nelle vicinanze.

Quando l’inverno faceva ancora “paura”, con le temperature che scendevano diversi gradi sotto lo zero e con la neve che, per molti mesi, ricopriva le foglie arancioni dei faggi della lettiera, gli orsi passavano parte del proprio anno a riposo, nascosti dentro una tana preparata con cura all’inizio dell’autunno, spesso allestita con qualche cosa di morbido su cui potersi sdraiare: ramoscelli, sterpaglie, erba o muschio.
Quando era possibile, utilizzavano le tane dell’inverno precedente: il più delle volte delle piccole grotte nella roccia, per l’occasione allargate e ripulite dai detriti; oppure un grosso tronco cavo, un avvallamento naturale o un rifugio scavato sotto le radici degli alberi.
Il periodo del letargo, allora come oggi, non era costante, poteva variare a seconda delle zone e della stagionalità.
Sulle Alpi, di solito, avveniva da novembre a marzo inoltrato.
Come tutti gli esseri viventi, anche l’orso si sa adattare al respiro più profondo della Terra, con esso si fonde, fino a diventare un tutt’uno, modificando le proprie funzioni vitali in base alle condizioni esterne. È l’abilità di sincronizzarsi con i cambiamenti giornalieri e periodici di luce e temperatura. Un qualche cosa che unisce la vita al sistema che la ospita. È un meccanismo di armonia così incredibile che non si può forzare o spezzare. Fa fiorire le piante nel momento più giusto, facendo trovare ad attenderle le api e altri insetti impollinatori; fa “maturare” le crisalidi in farfalle; fa spostare in gruppi le rondini dall’Italia al Sud Africa, con un volo basso nel cielo per oltre diecimila chilometri.
L’orso, appena entra nel torpore invernale – uno stato di letargo non assoluto interrotto da frequenti risvegli – abbassa la propria temperatura corporea, rallenta la respirazione e la circolazione sanguigna. In questo modo riduce il proprio consumo di energia per alcuni mesi in cui non sarebbe semplice alimentarsi con regolarità.
Durante quel periodo mantiene attive le proprie funzioni vitali consumando le riserve di grasso accumulate in estate e nel primo autunno, uscendo dalla tana, in primavera, come svuotato, con un peso anche di centocinquanta chilogrammi inferiore a quello abituale.

Ad aprile, la natura è un’esplosione di colori. Sulle pendici delle montagne, come la foresta si dirada, si vedono le macchie bianche dei ciliegi e dei prugni selvatici. Nei prati ci sono chiazze gialle date dal dente di leone, o di cane, a seconda di come lo si voglia chiamare.
Le farfalle cavolaie si rincorrono nell’aria, danzano a coppie con la leggerezza che le contraddistingue.
Il verde dell’erba è come una festa attesa da tempo, annunciato dai canti delle diverse specie di uccelli che si mescolano tra loro. Le foglie appena spuntate dicono che è possibile trovare nuovo cibo.
Il ciclo della vita ricomincia con forza, ma in realtà non si era mai interrotto.
L’orso bruno può trovare di nuovo quello di cui si ciba abitualmente: soprattutto vegetali (per oltre il sessantacinque per cento); poi insetti (per un quindici per cento abbondante); per la parte restante carcasse di animali morti e, solo in percentuali inferiori, animali catturati direttamente.
La varietà della vita è così grande e in sintonia con il Sole che nei diversi periodi dell’anno si trovano alimenti con proprietà differenti. L’orso lo sa, e varia la sua dieta di conseguenza. In primavera mangia teneri germogli, gemme e carogne; in estate frutta selvatica (o coltivata), miele e formiche; in autunno ci aggiunge radici, bacche e faggiole, funzionali ad accumulare le calorie necessarie per prepararsi al riposo dell’inverno.

Dopo avere passato i primi mesi della loro vita nel buio di un nascondiglio, riscaldati e protetti dal calore della madre, anche i piccoli, con la primavera, escono allo scoperto. Tenerli a bada non è semplice. La loro curiosità li porterebbe ad allontanarsi tra un gioco e l’altro; ma la prudenza deve essere insegnata fin da giovani. Mamma orsa li richiama di continuo e li controlla con severità, andando a riprenderli anche con la “forza”, se è necessario.
Durante i primi periodi di vita, gli esseri viventi imparano a relazionarsi con il mondo esterno. Iniziano a registrare informazioni preziose che resteranno impresse in modo indissolubile nella propria “memoria”. Questi “dati” permetteranno loro di vivere, o sopravvivere, di fronte alle diverse situazioni che incontreranno lungo il “cammino” dell’esistenza.
Un essere vivente diventa quello che poi sarà. Tanto nei comportamenti quanto nelle abitudini.
Per alcuni è fondamentale che ci sia qualcuno che insegni, che mostri delle azioni da imitare o da ripetere.
Per altri non è così. Ma tutti imparano, anche le piante.
Sulla base delle esperienze fatte, ricordano un possibile “nemico” o qualcuno che potrebbe fare loro del male, tanto da riconoscerlo quando si avvicina. Ricordano un evento che potrebbe causare loro dei danni, come una caduta. Tutto questo per proteggersi, per risolvere dei “problemi”, per fare continuare la vita nel migliore dei modi e trovare delle soluzioni.
Del resto, non c’è nulla di più importante che la vita stessa, e ogni cosa funziona per portarla avanti. La vita viene difesa in ogni modo possibile, fino all’ultimo, anche con le unghie se necessario.
L’orso non fa eccezione. Se è minacciato, ferito o si ritrova con “le spalle al muro”, senza possibilità di fuga, cercherà di difendersi. Se ha dei piccoli, si adopererà per proteggerli. Ma prima di attaccare per davvero farà di tutto per intimorire chi ha di fronte, per indurlo alla fuga. Lancerà i propri segnali di allerta, come avvicinarsi velocemente per poi ripiegare, in quello che si chiama falso attacco; cercherà di ostentare tutta la propria forza senza volere un vero contatto fisico.
In natura non si fanno sforzi inutili; non si mette a rischio la propria vita quando lo si può evitare. Uno scontro, anche con chi è più piccolo e debole, non si sa mai come potrebbe andare a finire.

Non so se ci sia stato un tempo preciso in cui l’uomo abbia iniziato a dare la caccia all’orso.
Nell’antichità, sulle pareti di roccia, gli orsi venivano raffigurati utilizzando i colori della terra. A Chauvet, nel Sud della Francia, gli orsi disegnati possiedono linee rosse che ne delimitano il contorno e ne identificano i tratti salienti. A Trois-Frères, gli orsi vengono feriti con lance e sputano sangue.
Forse, quelle figure avevano uno scopo magico e rituale, come se gli uomini di migliaia di anni fa cercassero di catturare la forza custodita negli animali delle caverne di allora. Come se quelle grotte fossero dei luoghi sacri, delle specie di “templi”, in cui scoprire i segreti ultimi delle cose e condurre l’essere umano alla “verità” o a una via che supera lo stato della materia.
Nel mondo della natura le energie si possono unire; con loro si può parlare, si può entrare in relazione.
Ogni essere possiede un proprio potere che lo identifica.
L’orso sa risvegliare le energie ancestrali nascoste nella Terra. È coraggioso, potente, allo stesso tempo veloce. Sa prendersi dei momenti di pausa e sa guardare dentro di sé. Sa guarire utilizzando la sapienza custodita all’interno delle erbe. Per queste ragioni, in molti popoli era venerato quasi come una divinità. Ma non è bastato.
Dalle pianure è stato poco alla volta spinto sulle montagne, dove fare agricoltura era più difficile e complicato, così come abitare, costruire case o città. Lassù poteva stare nascosto. Poteva girovagare indisturbato, fare quello che era chiamato a fare. E per un certo periodo gli è stato possibile.
Poi, anche lassù, qualche cosa è cominciato a cambiare. Prima sono arrivati i disboscamenti per fare spazio ai pascoli e a un utilizzo più capillare dell’ambiente montano; poi l’uomo lo è andato a cercare.
Le fotografie in bianco e nero, sbiadite dal tempo, raccontano di spedizioni “punitive”, di cacciatori, di persone con in braccio un fucile. Raccontano di persone con baffi secondo le abitudini dell’epoca, con vestiti o cappelli secondo le usanze dei luoghi, perché questa è una storia comune, che si è ripetuta in diversi Paesi d’Europa.
Ancor prima che le macchine fotografiche ritraessero i cacciatori trionfanti in posa, con i piedi sui cadaveri degli orsi morti, a simboleggiare il predominio umano, le storie e le leggende dei villaggi raccontano di persone “impavide”.
C’è chi, in Val di Sole, dal 1820 al 1840, uccise in solitario quarantanove orsi, senza contare quelli ammazzati insieme a compagni di avventura. C’è chi, al Passo del Tonale, nel 1851, dopo averne ferito uno con un’arma da fuoco, perse la vita nel successivo corpo a corpo. E ancora ci fu una coppia di ragazze che ne uccise uno giovane a sassate e chi, nel 1891, sui monti di Mezzana, uccise una madre con i due cuccioli 1.
I governi di allora, per incentivarne le catture, potevano mettere anche delle taglie sulle teste degli orsi, differenti a seconda degli esemplari (le femmine valevano di più). Così avvenne, ad esempio, in Austria e in Italia.
Come prova dell’avvenuta uccisione, in certe valli, si poteva portare una zampa mutilata negli uffici del “potere”. Oltre la somma in denaro si poteva tenere la carne, che era considerata “buona” da mangiare.

La lotta all’orso durò in Italia fino alle soglie della seconda guerra mondiale, quando una legge fatta dall’uomo lo mise ufficialmente sotto protezione; come se le leggi che si scrivono su un pezzo di carta possano decidere della vita e determinare il destino degli esseri viventi, stabilendo cosa è giusto e cosa non lo è. Non fu del tutto sufficiente. Una legge, del resto, non può cambiare le menti delle persone. Se non la si condivide, se non la si comprende, se non la si lega al cuore come una parte di sé, la si subisce e basta, e si cerca il modo per non rispettarla.
La caccia silenziosa, quella fatta di nascosto, di cui non si sanno con certezza i numeri, continuò all’ombra delle foglie degli abeti, con lacci, trappole e veleni.
L’opera di annientamento, però, non si completò fino in fondo. In Italia, l’orso riuscì a sopravvivere in due zone distanti, con due popolazioni differenti. Una sugli Appennini, in Abruzzo (tutt’ora presente), e una sulle Alpi, in Trentino. In tutto, poche decine di unità.
Per quanto riguarda il Trentino, alla fine degli anni Novanta erano rimasti solo tre o quattro esemplari, non più in grado di crescere nei numeri e di espandersi nel territorio.
Il re silenzioso del bosco era stato spodestato dal proprio trono. Il volto delle montagne e dei suoi respiri era stato cambiato.

Per non perdere per sempre il re del bosco sulle montagne del Nord Italia, si decise di provare a ricostruire un nucleo vitale di orsi bruni nelle Alpi Centrali. Un’operazione definita ambiziosa, ma possibile.
Già da alcuni anni, del resto, complice il buono stato di salute delle popolazioni nelle regioni balcaniche e il miglioramento di alcuni habitat forestali, si erano registrate isolate incursioni di orsi nel Carso triestino, nelle Prealpi Giulie, nelle province di Belluno e Bolzano e nella Valsugana.
Tra il 1999 e il 2002, nel Trentino occidentale, lì dove ci sono le Dolomiti di Brenta e il gruppo dell’Adamello, sono stati immessi dieci esemplari provenienti dalla vicina Slovenia.
A ogni orso è stato dato un nome. Tra di loro c’erano anche Daniza, una femmina di cinque anni del peso di cento chilogrammi, liberata il 18 maggio 2000, e Jurka, una femmina di quattro anni del peso di novanta chilogrammi, liberata il 3 maggio 2001. Entrambe sono state fotografate mentre scendevano da un piccolo camion con un radiocollare al collo.
La scelta non è stata frutto di improvvisazione; si sono prima analizzate le possibilità di successo, si sono ascoltate le persone, si sono valutati gli ambienti di vita e i corridoi per gli spostamenti. Non ha portanza parlare di soldi, dire se ci sono stati dei finanziamenti o dei contributi, come è stato. Si sta parlando di vita.
Non ha importanza parlare dei risvolti pubblicitari che ci possono essere stati, dire dell’attenzione mediatica ricevuta, dei servizi televisivi, dei documentari, delle riviste e dei siti internet che ne hanno parlato e così via. Non ha importanza dire se tutto questo ha avuto dei risvolti di carattere economico, come è stato. Si sta parlando di un complesso equilibrio ecologico.

L’orso appartiene alla foresta come la foresta appartiene all’orso. Le due cose sono indissolubili.
Un bosco è l’unione di tante parti differenti, lo stesso è un prato, uno stagno e ogni altra cosa che osservo” 2.
Non c’è essere vivente che non sia importante ed essenziale alla vita. Ognuno possiede un proprio ruolo.
Tutto è stato progettato per un motivo. C’è un unico grande respiro.
Il muschio che ricopre i massi di porfido ai piedi dei larici è importante. Le foglie di acetosella che in primavera spuntano tra le radici degli abeti rossi sono importanti. I serpenti hanno la loro funzione, così come i ragni, le lucertole, le zanzare e gli squali. Credere che ci sia qualcosa di non utile è l’inizio della fine.
Non si può togliere un mattone dalla casa e pensare che questa possa continuare a stare in piedi come prima. Ogni essere influenza gli altri e quello che ha intorno.
Attorno a un singolo animale ci sono migliaia di relazioni, alcune delle quali sfuggono alla mente dell’essere umano, e non può essere diversamente, perché noi non siamo quell’essere, non ne condividiamo la vita, lo spazio e il tempo. Non tutto si può sempre vedere.
L’uomo non è il Creatore del Cielo e della Terra. La sua esistenza materiale è “breve”, più di quella di un qualsiasi sistema naturale che si evolve senza sosta dall’inizio dei tempi.
L’orso mantiene l’equilibrio del bosco, influenza il numero dei suoi abitanti e ne migliora le presenze. La salute delle foreste passa anche attraverso di lui. È un lavoro che subito non si apprezza, ma che quando viene a mancare si rimpiange e si prova a rifare in altre maniere. Per comprenderlo fino in fondo, bisogna osservare le cose nel loro insieme. Separare gli elementi di un sistema ecologico equivale a separare la vita stessa.

Il progetto di ripopolamento ha dato i suoi frutti. Dalla liberazione dei dieci orsi sloveni si sono accertate numerose cucciolate. Oggi, in Trentino, il numero di esemplari è stabilmente sopra le cinquantacinque unità (tra le sessanta e le settantotto stimate) 3.
Il successo dell’operazione è confermato anche dall’espansione territoriale, con spostamenti considerevoli che hanno visto gli orsi recarsi in Alto Adige, Veneto, Lombardia, Austria, Svizzera e Germania.
Tutto viene controllato. Ogni anno si pubblicano report e statistiche. Dietro l’orso lavorano molte persone e lo fanno con passione e convinzione.
L’uomo, del resto, controlla ogni cosa e pensa che questo debba continuare ad avvenire. In nome della conoscenza e della “sicurezza” addormenta animali con fucili che sparano frecce, mette collari, usa telecamere notturne.

In “pochi anni”, l’orso ha preso di nuovo possesso degli spazi che erano “suoi”. Non sarebbe stato possibile se l’ambiente l’avesse respinto. Si sono iniziate a vedere di nuovo le sue orme dov’erano scomparse, e non solo quelle.
Il 26 giugno 2006, Bruno, un cucciolo d’orso nato in Trentino, è stato ucciso in Germania, vicino Miesbach. Era da centosettant’anni che non si registrava la presenza di un orso in Baviera. Dopo diversi tentativi per catturarlo vivo, le “autorità” hanno deciso di dare via libera all’abbattimento per fermare il suo vagabondare che lo aveva portato ad avvicinarsi ad alcune abitazioni e a uccidere alcune pecore. “ Bruno è morto rapidamente e senza soffrire”, ha raccontato il sottosegretario regionale per l’ambiente in Baviera. È finito impagliato nel museo di Monaco Uomo e Natura.
Il 28 giugno 2007, Jurka, madre di Bruno, è stata catturata dai forestali a Terres, in Trentino, vicino alla Val di Tovel. È stata rinchiusa prima nel recinto ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. L’orso non è invitato
  3. Indice dei contenuti
  4. Prefazione
  5. Introduzione
  6. Prologo
  7. Prima parte
  8. L’orso
  9. Il lupo
  10. Seconda parte
  11. Zanne preziose
  12. “Medicine” maledette
  13. Carni che si mangiano
  14. Terza parte
  15. Alberi che cadono
  16. Ghiaccio che fonde
  17. Isole di plastica
  18. Le “meraviglie” del cemento
  19. Quarta parte
  20. Uno sguardo al passato
  21. Quello che già esiste
  22. ​Collana iSaggi