Fortezza Libano
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Tra tensioni interne e ingerenze straniere

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Tra tensioni interne e ingerenze straniere

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La storia e le peculiarità del Libano di ieri e di oggi, specchio delle contraddizioni arabe oltre che cartina al tornasole dei contrasti che investono Oriente e Occidente. Il Paese dei cedri viene raccontato indagando le crescenti conflittualità interne, le ripetute crisi politiche, le aspre problematiche della regione, le inquietanti sfide economiche, il singolarissimo rapporto tra musulmani e cristiani e la scottante questione dei rifugiati siriani. Con uno sguardo che si nutre della ricchezza letteraria e culturale che ha caratterizzato il Levante.
“Il libro di Fausta Speranza è un documento inteso all’apertura, al dialogo e alla conoscenza e, in tal senso, è da raccomandare toto corde ”. (Massimo Campanini)
“Quella del Libano è la storia di un Paese coraggioso e tenace. La maggiore virtù del suo popolo è la resilienza ed è per questo che esso ha diritto a una nuova opportunità di sviluppo umano, di cittadinanza partecipativa, di inclusione sociale, soprattutto per i suoi giovani, scesi in piazza per prendere in mano il loro futuro”. (Pasquale Ferrara)

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Informazioni

Tracce di storia

“Il tempo ha due volti, due dimensioni:
la lunghezza ha il ritmo del sole, lo spessore quello delle passioni”.
(Amin Maalouf)

I più antichi insediamenti umani sul territorio che oggi corrisponde al Libano risalgono al 7.000 a.C. e in particolare si trovano a Biblo, antica Byblos, che, come già detto, è la città del mondo abitata con continuità dai tempi più antichi. E poi è indubbio il vanto di aver ospitato la civiltà dei Fenici, i cui centri propulsori sono stati prima Sidone e poi Tiro.
Tappa storica fondamentale è il VI secolo a.C., quando il territorio viene incorporato da Ciro il Grande nell’Impero persiano. Due secoli più tardi entra nell’orbita dei regni ellenistici successori di Alessandro Magno. Nel I secolo a.C. ha luogo la conquista romana, che si protrae – prima nell’ambito di un impero unificato, poi in quello dell’Impero romano d’Oriente – fino all’invasione araba.
È molto importante ricordare che in epoca ellenistica la massima parte del territorio, fra cui la cosiddetta Celesiria, viene considerata, anche sotto il profilo politico, inglobata al territorio dell’attuale Siria; durante la conquista romana, invece, in una fase il territorio fa parte della provincia romana della Syria, in un’altra è provincia autonoma con il nome di Phoenice Libanensis.
A cambiare definitivamente la storia è, nel VII secolo d.C., la conquista da parte degli arabi, mossi dall’Islam. Nel XII e XIII secolo, all’epoca delle crociate, torna la dominazione cristiana su un territorio compreso tra il Principato di Galilea e la Contea di Tripoli. Nel 1291 tornano al potere gli arabi con i Mamelucchi, poi c’è la conquista ottomana.
L’Impero ottomano domina il territorio levantino che oggi corrisponde al Libano, come parte della Grande Siria, per quattro secoli, dal 1516, quando viene conquistato dal sultano Selim I, fino al termine della prima guerra mondiale. Non manca praticamente mai lo scambio con l’Europa, in particolare con l’Italia e con la Francia.
Il ruolo di crocevia e ponte tra mondo cristiano e mondo islamico resta una costante. I rapporti con la penisola affondano le loro radici nella penetrazione commerciale pisana, veneziana e genovese all’indomani della caduta dell’Impero bizantino e nella costante permanenza di basi militari e commerciali veneziane nelle vicinanze fino al XVIII secolo. Curioso l’episodio che lega la Toscana alla storia del Libano e che ci porta agli inizi del XVII secolo, quando il Granduca di Toscana, Cosimo II, ospita a lungo l’emiro Fakhr al-Din II e vi stringe un’alleanza in base alla quale, mediante l’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, il Granduca s’impegna ad aiutare l’emiro a liberare il territorio che oggi chiamiamo Libano dal giogo ottomano. L’alleanza non va a buon fine per la prematura morte del Granduca e la difficile successione del figlio, appena undicenne. Ma il tentativo fa capire qualcosa degli storici legami di commercio e diplomatici tra gli Stati italiani e quelli levantini. E peraltro a tutt’oggi l’Italia è tra i primissimi partner commerciali della Repubblica del Libano.
I rapporti con la Francia risalgono a circa cinquant’anni dopo i tentativi toscani, quando i re francesi ottengono – nel quadro dell’alleanza siglata con l’Impero ottomano ai danni dell’Impero asburgico – uno statuto di particolare autonomia e libertà per i cristiani del Libano.
Un’influenza più incisiva della Francia si ritrova a partire dal 1842 e con Napoleone III. Proprio per via di questi rapporti storici, Parigi, al momento della caduta dell’Impero ottomano, ottiene nel Trattato di pace di Versailles il protettorato sui territori che, ben distinti, vengono denominati Libano e Siria.
Durante la dominazione ottomana, la comunità cristiana sperimenta periodi di oppressione sotto la leadership di esponenti musulmani. A partire dai primi dell’Ottocento, e per vari decenni, gli Ottomani consentono l’insediamento di gruppi di drusi, curdi e sunniti nell’area cristiana, sotto la protezione dell’esercito imperiale ottomano. La popolazione maronita del Monte Libano vive questi insediamenti come una minaccia alla fragile identità arabo-cristiana. Situazioni di tensione sfociano in contrasti più o meno accesi fino ad alcuni episodi molto gravi. Le potenze europee – essenzialmente la Francia e il Regno Unito – intervengono a sostegno della locale popolazione cristiana dopo i massacri del 1860, quando diecimila cristiani vengono sterminati in violenti scontri con i drusi.
Nel 1861 il distretto autonomo del Monte Libano viene istituito all’interno della cornice statale ottomana, in regime di garanzia internazionale. L’amministrazione è affidata a un cristiano ottomano non libanese, noto localmente come Mutasarrif. È colui che guida una Mutasarrifiyya o un Mutasarrifato. I cristiani mantengono così la maggioranza della popolazione nel distretto del Monte Libano, con un significativo numero, però, di drusi all’interno.
Durante la prima guerra mondiale, l’Impero ottomano lancia una campagna repressiva contro i maroniti, nel quadro dei vasti massacri di cristiani condotti nell’area vicino-orientale. La flotta ottomana decreta un embargo per l’intera costa cosiddetta levantina, circondando la regione con truppe e tagliando fuori il Libano dal resto del mondo. La sconfitta turca nella battaglia di Megiddo, a opera degli inglesi e dei loro alleati, porta alla fine della dominazione ottomana nel settembre del 1918.

Il mandato francese
Dopo la dissoluzione dell’Impero ottomano al termine della prima guerra mondiale, di fatto la Società delle Nazioni affida la Grande Siria, comprese le cinque province che oggi costituiscono il Libano, al controllo della Francia con un mandato. Lo fa ratificando l’accordo Sykes-Picot fra Gran Bretagna e Francia del 16 maggio 1916. Quattro anni dopo, il 26 aprile 1920, la Conferenza di Sanremo definisce limiti e compiti di tale protettorato. Queste decisioni vengono ratificate dalla Società delle Nazioni il 24 luglio 1922 ed entrano formalmente in vigore il 29 settembre 1923. Tuttavia, già a partire dal 1º settembre 1920, per decreto dell’Alto commissario generale Henri Gouraud, la Francia istituisce – come indipendente sotto proprio mandato – lo Stato del Grande Libano. Si tratta di una delle tante enclave etniche dell’ampia e indifferenziata area siriana, bilād al-Shām, in gran maggioranza cristiana e principalmente maronita, ma con ampie componenti musulmane, sia sunnite che sciite e druse. La capitale è Beirut.
Nel marzo del 1922 viene istituito un Consiglio rappresentativo di trenta deputati eletti a doppio turno in collegi confessionali-territoriali con mandato quadriennale. Il 1º settembre 1926 la Francia istituisce la repubblica libanese, da quel momento in poi separata dalla Siria, anche se amministrata sotto lo stesso mandato. È il Consiglio che è stato eletto per la prima volta nel maggio 1922 a occuparsi di elaborare la Costituzione libanese, che viene promulgata il 23 maggio 1926. Proprio in base al testo costituzionale, cambia il nome in Consiglio parlamentare libanese.
Viene eletto il primo presidente del Paese, il costituzionalista Charles Debbas, di religione greco ortodossa.

Il ruolo di Elia Hoayek o Elias Boutros
Elias Hoayek (Helta, 4 dicembre 1843-Bkerké, 24 dicembre 1931) è stato vescovo titolare di Arca e patriarca della Chiesa maronita con il nome di Elias Boutros. È, a tutti gli effetti, “il padre fondatore” del Grande, e moderno, Libano. È stato riconosciuto dalla Chiesa cattolica prima Servo di Dio e poi venerabile, con decreto ufficiale a firma di papa Francesco pubblicato il 6 luglio 2019. Il riconoscimento è avvenuto nel centenario della proclamazione del Grande Libano. Al termine della prima guerra mondiale, in una fase di persecuzioni messe in atto dalle forze turche, il patriarca Elias Boutros ha presentato al Congresso di pace di Versailles del 1919 una relazione sulla necessità dell’indipendenza del Libano e sulle sue capacità di esercitare la sovranità nazionale. La sua figura è fonte di “particolare orgoglio – ci ha spiegato il Patriarca Béshara Raï in questi tempi di declino politico, economico e sociale”. Elias Boutros è morto all’età di 88 anni nella residenza di Bkerké il 24 dicembre 1931. Le sue spoglie sono conservate a Ibrine, all’interno della cappella della congregazione religiosa che egli stesso ha fondato. Il Patriarca maronita, cardinale Beshara Raï, ricordandolo ci ha detto che Elias Boutros “ha lottato per l’indipendenza e la difesa del territorio, in particolare delle regioni che erano state strappate dagli Ottomani” e che sono state “l’origine della grande carestia degli anni 1915-17”. In tanti in Libano lo ricordano e lo citano con lo stesso orgoglio del cardinale Beshara Raï.

L’indipendenza
Nel novembre del 1943, durante la seconda guerra mondiale, mentre la Francia era occupata dalla Germania nazista e veniva governata sotto il regime fantoccio di Vichy, il Regno Unito, che aveva varie forme di controllo su Sudan, Egitto, Palestina, Giordania e Iraq, occupa militarmente Siria e Libano e li pone sotto l’autorità del generale Charles De Gaulle a capo della Francia libera. Nell’agosto del 1943 si tengono le elezioni con un decreto commissariale, sulla base del Patto Nazionale di quell’anno che stabiliva il principio di 6/5 per il rapporto cristiani/musulmani e 55 eletti. Tale percentuale rimane valida fino agli Accordi di Ta’if del 1989. L’8 novembre 1943 il nuovo governo libanese abolisce unilateralmente il mandato. Allora vengono arrestati da parte delle Forces françaises libres e imprigionati per undici giorni, dall’11 al 22 novembre 1943, nel castello di Rashaya, il nuovo presidente Bishara al-Khuri insieme con Camille Chamoun, Riyad al-Sulh, Pierre Gemayel e altri indipendentisti in seguito. La loro liberazione, il 22 novembre, diventa la data della festa dell’indipendenza del Libano. Ma c’è da dire che solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1946, le truppe francesi e inglesi abbandoneranno il Paese.
Il Patto Nazionale del 1943, sebbene mai formalizzato per iscritto, istituzionalizza la divisione delle cariche fra i principali gruppi religiosi e, come già detto, prevede che il presidente sia cattolico maronita, il primo ministro musulmano sunnita, il presidente del parlamento musulmano sciita. Inoltre prevede che il comandante delle forze armate sia maronita e altri alti funzionari siano greco-ortodossi o drusi. Il patto è ancora oggi considerato valido, mentre invece la legge elettorale è stata modificata più volte ma sempre salvando il principio 6/5. In particolare, è bene ricordare che nel 1953 viene riconosciuto alle donne il diritto di voto.
La legge elettorale del 1960 prevedeva 99 deputati da eleggere in 26 circoscrizioni. L’accordo di Ta’if, concluso il 22 ottobre 1989 e pubblicato il 21 settembre 1990, modifica l’articolo 24 della Costituzione per istituire la parità parlamentare tra cristiani e musulmani e fissare in 128 il numero dei deputati.


Tra stabilità politica e conflitto interno
Il 29 novembre 1947, come tutti i Paesi arabi, il Libano non accetta la risoluzione 181 dell’Onu con la quale il territorio della Palestina mandataria veniva ripartito fra uno Stato ebraico, Israele, e uno Stato arabo, gli attuali territori palestinesi, a partire dal 1948. Al termine del mandato britannico, il 14 maggio 1948, Israele proclama l’indipendenza. La Lega araba, incluso il Libano, danno inizio a una guerra durante la quale il Libano non invade Israele ma si limita a dare sostegno logistico all’Esercito arabo di liberazione. Sconfitto quest’ultimo nell’Operazione Hiram (durata appena sessanta ore, tra il 29 e il 31 ottobre 1948), il 23 marzo 1949 viene stipulato un armistizio fra Israele e Libano. Non sarà firmato alcun trattato di pace fino al 2007.
Dopo l’armistizio del 1949, il Libano non partecipa militarmente ad alcun successivo conflitto arabo-israeliano: non alla crisi di Suez (1956), né alla guerra dei sei giorni (1967), né alla guerra del Kippur (1973). Dopo la guerra arabo-israeliana del 1948, in Libano giungono più di centomila profughi palestinesi in fuga dopo la proclamazione dello Stato di Israele, mentre le risoluzioni delle Nazioni Unite restano disattese: la risoluzione 181 sulla partizione, approvata il 29 novembre 1947; la 194 sui profughi, approvata nel dicembre del 1948.
Le tensioni, insieme con rigurgiti nazionalisti panarabi, portano a una prima guerra civile libanese nel 1958. Altri profughi si aggiungono dopo la guerra del 1967 fra arabi e israeliani e dopo il Settembre Nero del 1970 in Giordania. I profughi palestinesi diventano circa due milioni. Si altera la maggioranza cristiana. Si gettano le basi della futura drammatica guerra civile che avrebbe squassato il Paese.
Alla precarietà politica nel Libano si sovrappone una rapida prosperità economica, determinata dall’importanza che Beirut riveste nel Vicino Oriente quale centro finanziario e commerciale. Le riforme e la modernizzazione, insieme con l’amministrazione efficiente che il presidente Fu’ad Shihab tra gli anni Cinquanta e Sessanta riesce a imporre, fanno del Libano il centro economico-finanziario, ma anche culturale, dell’intera area mediorientale, e fulcro di scambi commerciali con i principali Paesi europei, sempre in particolare Francia e Italia.

La guerra civile
Tra il 1975 e il 1990 il Paese sprofonda in un conflitto fratricida. I contendenti sono numerosi e frequenti sono i capovolgimenti di alleanze. In ogni caso si può dire che a fronteggiarsi sono, da una parte, le milizie composte da cristiani maroniti – la principale con riferimento al partito falangista di Pierre Gemayel – e, dall’altra, una coalizione di palestinesi alleati con libanesi musulmani sunniti, sciiti (Amal) e drusi. Nel 1976 la guerra sembra volgere a favore dei musulmani, quando la Lega Araba, dopo l’accordo di Riyād del 21 ottobre 1976, autorizza l’intervento di una Forza araba di dissuasione (Fad) a maggioranza siriana, che riesce a restaurare con la forza una provvisoria e fragile pace. Il 14 marzo 1978 Israele lancia l’Operazione Litani, occupando con più di 25.000 soldati l’area a sud del Paese, eccetto Tiro, con l’obiettivo di spingere i gruppi militanti palestinesi, in particolare l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), lontano dal confine con Israele. Nasce allora la Forza di interposizione in Libano delle Nazioni Unite (Unifil) per rafforzare il mandato e ridare pace e sovranità al Paese.
Parlando con i libanesi, si capisce che non possono non ricordare soldati e civili che in tempo di guerra non hanno abdicato alla loro idea di convivenza umana. Sono i militari sconosciuti che hanno pagato caro, spesso con la vita, il loro attaccamento assoluto alla convivenza tradizionale delle comunità e il rifiuto di obbedire ad alcuni diktat dei loro capi sulle loro comunità; che hanno pagato anche con la vita la loro opposizione a qualsiasi suddivisione del Paese, la loro ostinazione, tra il 1975 e il 1990, a rifiutare i ghetti comunitari quando si attraversavano le linee del fronte. Il prezzo è stato molto pesante: 18.000 scomparsi, 600.000 persone espulse con la forza per aver rifiutato di lasciare i loro villaggi o i loro quartieri, senza contare le decine di migliaia di morti a causa dei bombardamenti indiscriminati di obiettivi civili e le molte vittime dei franchi tiratori. I parenti di tutte queste persone ripetono a gran voce di aspettare ancora che la giustizia internazionale, in mancanza di quella libanese, si occupi di quei crimini contro l’umanità.

L’invasione israeliana del 1982
Il 1982 è segnato dall’invasione del Libano da parte di Israele. L’operazione militare – che gode del sostegno dei cristiano maroniti – viene denominata da Tel Aviv “Pace in Galilea” e ha per obiettivo di sradicare dal Libano la presenza armata palestinese. Gli storici la annoverano come prima guerra israelo-libanese. Le forze israeliane si spingono oltre il sud del Libano, dove le unità della resistenza palestinese si erano insediate, arrivando fino a Beirut, dove l’Olp aveva posto la sua sede.
Il neo-eletto presidente della Repubblica, Bashir Gemayel, il 14 settembre 1982, nove giorni prima dell’investitura ufficiale, cade vittima di un attentato attribuito al Partito nazionalista sociale siriano: perde la vita, assieme ad altri 25 dirigenti, nell’esplosione del quartier generale falangista ad Ashrafiyyeh, nella parte orientale di Beirut.

La forza multinazionale
Un intervento internazionale con forze statunitensi, francesi e italiane – Missione Italcon – consente la fuga della dirigenza dell’Olp e di molte unità armate palestinesi nei Paesi confinanti. La dirigenza dell’Olp, in particolare, si rifugia a Tunisi. Atrocità vengono perpetrate contro la popolazione civile, come la strage di Damur nel 1976 e il massacro nei campi-profughi di Sabra e Shatila nel 1982. Nel primo caso la responsabilità è attribuita a miliziani palestinesi del campo di Tell al-Za’tar; nel secondo, a unità che si definivano cristiane guidate da Elie Hobeika, comandante delle milizie denominate Falangi libanesi. L’origine “fenicia” rivendicata da esponenti della comunità maronita proponeva un’identità pura, ostile all’idea di un’appartenenza complessa. Proprio questa corrente definita fenicismo rappresenta la base ideologica del partito delle Falangi libanesi ( al-Kata’ib al-ubnaniyya) e di altri partiti di destra molto vicini al fascismo spagnolo e italiano, che si rendono responsabili, assieme a elementi dell’esercito israeliano, delle stragi di Sabra e Shatila.
Il 23 settembre 1982 l’Assemblea nazionale elegge presidente della Repubblica Amin Gemayel, fratello di Bashir. Resterà presidente fino al 1988. Un anno dopo, il 23 ottobre 1983, un duplice attentato dinamitardo di Hezbollah alle basi della forza multinazionale causa la morte di 241 marines statunitensi e 56 soldati francesi. Pochi mesi dopo viene deciso il ritiro delle truppe di pace, abbandonando il Libano a una strisciante guerra civile.

L’influenza siriana
La guerra termina con gli Accordi di Ta’if del 1989 e nasce la seconda Repubblica libanese. Amin Gemayel e alcuni dei suoi sostenitori si oppongono e scelgono l’esilio dopo la nomina di un governo, presieduto dal generale Michel Aoun, che nel 1990 verrà poi deposto dai siriani. La presenza siriana diventa preponderante sotto le insegne della Forza araba di dissuasione. Ma con la fine della guerra inizia anche un periodo di ricostruzione. Nel 1994 viene messo al bando il movimento Forze libanesi e le attività dei suoi militanti vengono severamente limitate dai governi filo-siriani. Nel 1999 viene eletto Émile Lahoud alla presidenza della Repubblica. Nel 2000 Amin Gemayel torna dall’esilio.

Michel Aoun e i rapporti con Hafiz al-Asad
In tema di rapporti con la Siria, è interessante soffermarsi sulla figura di Michel Aoun, artefice di una carriera militare che lo porta sino al grado di generale e, nel 1984, a rivestire la carica di comandante delle Forze armate libanesi. Entrato nella vita politica, diventa ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Fortezza Libano
  3. Indice dei contenuti
  4. Prefazione
  5. Introduzione
  6. Prima parte
  7. Tra verità e ragioni
  8. La Repubblica libanese
  9. Tracce di storia
  10. Dal mare a Beirut ai cedri
  11. Il contesto regionale
  12. Seconda parte
  13. Fragilità e forza del Patto Nazionale
  14. La questione rifugiati
  15. Giovani a cavallo delle frontiere
  16. Lo sguardo dei libanesi all’estero
  17. Il Libano oltre lo Stato fortezza
  18. Terza parte
  19. Origini e peculiarità delle comunità religiose
  20. Il Libano, i papi e il santuario di Harissa
  21. Nel giardino dei Giusti senza identitarismi
  22. Una scommessa vinta da difendere
  23. Un potenziale in bilico
  24. Il Libano e il documento di Abu Dhabi
  25. Quarta parte
  26. La sfida del turismo da rilanciare
  27. Nell’archeologia un piano di pace
  28. Lo spessore vitale della cultura e dell’arte
  29. L’Oriente di Fedhan Omar che conquista Guttuso
  30. Tra i tanti talenti artistici
  31. La perla della cucina araba
  32. Ringraziamenti
  33. ​Collana Orienti