Musica e poesia della Commedia di Dante
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Musica e poesia della Commedia di Dante

Contiene "La milonga di Paolo e Francesca"

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Musica e poesia della Commedia di Dante

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La vicenda di Paolo e Francesca fornisce l'occasione per interpretare in modo originalissimo e in chiave contemporanea alcuni dei versi più celebri della Commedia ed è lo spunto per riflettere sulla scelta di Dante Alighieri di scrivere in lingua volgare, sul ruolo della musica e della retorica in poesia e sullo stile comico del poema dantesco. Un poema che vuol parlare a tutti, a cominciare dalle donne, e che vuol parlare di tutto, in uno stile che sia capace di descrivere l'abisso del male, l'altezza del cielo e la profondità dei sentimenti umani.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788868615741
Argomento
Literature

La musica della poesia

Nel proemio del commento antico alla Commedia tramandato dal codice Ashburnham 832, il compilatore paragona il lavorio esegetico e l’esposizione del testo all’operazione di masticazione di un seme aromatico: «La natura di le cose aromatiche è questa: che molto maggiormente peste che integre rendono odore, e’l grano de la senape par lieve cosa ma trito e fra denti modifica il gusto più fortemente; et cusì la scriptura quando è intesa. La scorza de fuore sola non à sapore, la quale veramente nel caso di la isposicione sarà macinata, spanderà di la sua soavità l’odore che è dentro. Onde spesso colui che’l testo solo considera non fa il senno di sua lecitone, non in forma d’amastramento ma co’ dubitare sé ispesso confonde» (Ash. 832, c. 1 r.).
Il proemio continua affermando che se le cose di pubblica utilità sono da antimettere alle private, così la «isposizione» di un testo è da privilegiare. Attraverso la disamina e l’esposizione, infatti, il testo sprigiona il suo sapore e il suo odore.
Tutta l’esegesi antica si è occupata di spiegare il titolo del poema dantesco 1. Nei prologhi del commento di Jacopo della Lana, capostipite tra gli antichi, in quello del giurista Alberico da Rosciate che lo traduce e impreziosisce, e in quello delle Chiose sopra la Comedia di Dante Alleghieri fiorentino tracte da diversi ghiosatori, ultima forma del così detto Ottimo commento 2, come pure nel proemio tràdito dai codici Ash 832 e Conventi Soppressi 113 della Biblioteca Laurenziana di Firenze 3, il problema del titolo della Commedia 4 è discusso a partire da Isidoro di Siviglia 5. L’importanza del Conventi Soppressi 113 risiede nella annotazione apposta da una mano successiva sulla carta di guardia del codice C. S. 113 che recita: «Il comento sopra lo Inferno di Dante Alaghieri senza nome dello autore» è stato scritto nel 1339 come si vede in almeno due punti del testo individuati e segnalati nel codice con due rimandi grafici ( manicule), da persona «che dee haver parlato con Dante e domandatolo di alcune cose». Sulla carta di guardia del codice C. S. 113, una mano successiva annota che «il comento sopra lo Inferno di Dante Alaghieri senza nome dello autore» è stato scritto nel 1339, come si vede in almeno due punti del testo individuati e segnalati nel codice con due rimandi grafici ( manicule), da persona «che dee haver parlato con Dante e domandatolo di alcune cose».
Jacopo della Lana, nel suo proemio generale dal quale gli altri dipendono, aveva scritto che l’opera può essere considerata in due modi, il secondo dei quali è la forma poetica «la quale è fittiva» e dalla quale forma è tolto il titolo «cioè Comedia che è quasi a dire villano dittato, cioè che anticamente li villani sonando sue sestole overo pive si ritimavano». Sulla stessa questione si diffonde il proemio in latino di Alberico da Rosate (1290 -1360) 6. Certo è che per quanto concerne la spiegazione del titolo della Commedia il commento del Lana, quello di Alberico, che traduce il Lana, e quello dell’Ottimo, nella sua ultima forma, come pure il proemio tràdito dai due codici laurenziani sopra citati, presentano una chiosa comune che ha come fonte di riferimento il libro VIII delle Etimologie di Isidoro. Si tratta di una chiosa che si è consolidata a partire da Jacopo della Lana ed è diventata «canonica».
Nel De vulgari eloquentia, trattato nel quale Dante cerca di individuare un volgare illustre adatto al «giardino dell’impero», definirne la natura rispetto al latino e descriverne le varietà regionali, dopo aver stabilito il primato della canzone sulle altre forme poetiche e aver affermato che gli argomenti degni del volgare più elevato devono essere trattati nelle canzoni, conclude:
«Riesaminando dunque quanto è stato detto, ci viene in mente che spesso coloro che compongono versi volgari li abbiamo chiamati poeti: e non c’è dubbio che abbiamo osato pronunciare questa parola a ragion veduta, perché poeti certamente sono, a considerare la poesia nella sua giusta essenza: la quale poesia non è altro che invenzione poeticamente espressa secondo retorica e musica ( fictio rethorica musicaque poita7.
La definizione di poesia quale fictio retorica musicaque poita potrebbe essere ulteriormente indagata alla luce di quello che scrive Agostino in una esemplificazione fornita nel secondo libro del dialogo De musica, caput II De versu judicat grammaticus ex auctoritate, musicus ex ratione et sensu, allorché si serve di un celebre verso dell’ Eneide, evidentemente e volontariamente sbagliato, per spiegare come tanto la grammatica quanto la musica servono a valutare il verso sulla base della brevità o lunghezza delle sillabe. Il maestro chiede al discepolo se in un verso, che egli ha ascoltato con diletto, sia possibile che le sillabe si allunghino o abbrevino là dove la regola del verso medesimo non lo richiede. Quindi il maestro chiede al discepolo di stabilire quale differenza egli percepisca nell’udire prima «Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris» e poi con la seconda parte del verso modificata: «Qui primis ab oris» e questi risponde che non può negare di essere infastidito per un qualche difetto del suono.
«Arma virumque cano. Trojae qui primis ab oris, D. Nunc vero negare non possum, nescio qua soni deformitate me offensum. M. Non injuria: quamquam enim barbarismus factus non sit, id tamen vitium factum est, quod et grammatica reprehendat et musica: grammatica, quia id verbum, cujus novissima syllaba producenda est, eo loco positum est ubi corripienda poni debuit; musica vero tantummodo quia producta quaelibet vox est eo loco, quo corripi oportebat, et tempus debitum quod numerosa dimensio postulabat, redditum non est» 8.
Dante definisce la poesia «fictio retorica musicaque poita» ma, a giudizio di Roncaglia, con il termine musica egli intende riferirsi alla nozione medievale: non all’attività pratica del far musica, quanto piuttosto a una disciplina teorica cioè alla scienza dei rapporti proporzionali. Gli stessi musicologi riconoscono che in questa affermazione «“Dante non ha inteso mai parlare di musica nel senso specializzato”, bensì nel senso di pura “musicalità del discorso poetico”, e più in generale di qualsiasi discorso verbale, giacché, come osserva Guido d’Arezzo, “canitur (…) omne quod dicitur”» 9. Nino Pirrotta non concorda con Roncaglia. Egli afferma che da questo concetto di musica verbale, nasce «anche la disponibilità delle parole in se stesse armonizzate a ricevere l’ulteriore musicalità di una melodia» 10. Non esiste un divorzio tra l’alta poesia e la musica, come invece sosteneva Contini che ricavava la superiorità dei siciliani sui poeti provenzali proprio dall’aver, i primi, «in tutto disgiunta la poesia dalla musica».
Tale divorzio non pertiene al genere “commedia” e neppure è consono alla scelta linguistica della Commedia nella quale Dante mescola vocabula yrsuta et reburra ad altri pexa et lubrica 11 secondo un’operazione che si è voluta chiamare plurilinguismo dantesco.
Se consideriamo la trattatistica più vicina a Dante, da Agostino 12, a Boezio 13, a Marziano Capella 14, a Rabano Mauro, a Isidoro di Siviglia 15 fino a Vincenzo Bellovacense 16 constatiamo che il minimo comune multiplo di questa trattatistica, come d’altri accessus alle scienze medievali, è il carattere bifronte della musica: dall’una parte considerata come ars teorica in senso scolastico alias scienza delle proporzioni, facente parte del quadrivio, dall’altra come prassi musicale e dunque strumentale, propria ai musici. Per Agostino, in verità, la musica globalmente considerata, teorica o pratica che sia, «est scientia bene movendi» 17 e, per esser scienza, deve essere regolata secondo una misura ritmica, un numero. Infatti ex mutabilium numerorum in inferioribus rebus consideratione evehitur animus ad immutabiles numeros, qui in ipsa sunt immutabili veritate 18, cioè in Dio che secondo numero-ritmo produce il mondo. La commistione tra teoria e prassi, tuttavia, non è in nessun modo scongiurata se Brunetto Latini, nel suo Tesoro, dopo aver indicato la musica come parte della scienza matematica, scrive che essa «… nous ensegne faire vois, sons en chant et en cytoles, et en orghenes et en autres estrumens acordables uns contre les autres, pour delit des gens, u en eglise por le service Nostre Signeur» 19.
Che Dante si riferisse solo a uno di questi tipi di musica, cioè alla scienza delle proporzioni, non è evidente. Nello spazio poetico medievale, creatori di versi e abbellitori di pulzelle...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Musica e poesia della Commedia di Dante
  3. Indice dei contenuti
  4. Premessa
  5. La Corte d’Amore
  6. Il profumo della pantera
  7. La musica della poesia
  8. L’armonia della disarmonia
  9. Sulla milonga di Paolo e Francesca
  10. La milonga di Paolo e Francesca
  11. Ringraziamenti
  12. ​Collana iSaggi