I Grandi filosofi
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Platone, vissuto a cavallo tra il V e il IV secolo avanti Cristo, è un filosofo centrale per l'antichità: basti pensare che fu allievo di Socrate, di cui ci testimonia il pensiero, e maestro, tra gli altri, di Aristotele. Compose principalmente dialoghi, nella convinzione che la verità dovesse essere raggiunta per gradi, attraverso il confronto e il ragionamento, dopo aver messo da parte gli errori del pensare comune. I suoi scritti ancora oggi ci accolgono e ci affascinano.

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Informazioni

Editore
Pelago
Anno
2021
ISBN
9791280714008
FOCUS

IL PENSIERO E LE OPERE

Quanto Socrate abbia influito sulla formazione di Platone è difficile dirlo, non perché non si sappia o non si intuisca dagli scritti, ma perché è talmente profonda, intima e durevole la sua influenza che non ha termine di paragone: è un unicum. Basti pensare che, da quando Socrate finì la sua vita così tragicamente, il suo pensiero si è fuso con quello del discepolo, in modo che distinguerli costa una gran fatica e neppure l’esito di questa fatica è garantito. Comunque, la parte maggiore della filosofia di Platone è sulla bocca di Socrate, come per una sorta d’identificazione. Forse un plagio? No, perché l’eredità del maestro fu sostanzialmente di metodo, potremmo dire embrionale, e poi lo sviluppo dell’embrione non toccò al maestro ma quasi per intero al discepolo.
In sostanza Socrate volse gli occhi di Platone nella direzione giusta, al punto giusto dell’orizzonte: cioè non verso la natura a cui guardavano tutti i filosofi di allora, ma verso l’uomo. Socrate, infatti non amava la scienza del cosmo perché la riteneva fuori dalla portata dell’uomo; invece si riteneva detentore «di una certa sapienza umana» (come si legge nell’Apologia). Questa portava a identificare l’essenza dell’uomo con la sua anima personale e razionale e poi deduceva da essa alcuni imperativi di portata generale («conosci te stesso»; «abbi cura di te stesso»), e da ultimo alcune fondamentali virtù.
Ma non può bastare, perché presto Platone si rese conto che in tal modo tutto il sapere si sarebbe esaurito a un livello operativo, appunto nel mostrare come l’uomo “funziona”, ossia come si comporta, e come “deve funzionare”, cioè come dovrebbe comportarsi. L’essenza di cui è fatto l’uomo, cioè l’anima, non può ridursi a una funzione, ma ha bisogno di qualcosa di più stabile. Per dirla in modo brutale, vale per l’uomo quello che vale per un qualsiasi meccanismo: se ne conosciamo il funzionamento ne conosciamo lo scopo, ma non possiamo prevederne la durata, perché questa dipende dalla sostanza con cui è costruito. A Socrate era noto il primo ma non la seconda, come le parole conclusive dell’Apologia stanno a dimostrare:
“MA È ORMAI VENUTA L’ORA DI ANDARE IO A MORIRE E VOI INVECE A VIVERE. MA CHI DI NOI VADA VERSO CIÒ CHE È MEGLIO È OSCURO A TUTTI TRANNE CHE AL DIO.”
Ecco il mandato di Socrate al discepolo: dissolvere questa oscurità, cercando una causa talmente stabile da sciogliere ogni dubbio in proposito.

OLTRE SOCRATE

Questo puntualmente si realizzò grazie alle numerose prove dell’immortalità dell’anima, le quali però necessitano, per essere risolutive, di una nuova “sostanza”, tutta da inventare, alla quale si arriva con un avventuroso viaggio intellettuale, che Platone chiama “seconda navigazione” per indicare la navigazione che si fa con le proprie forze e non sulla spinta del vento. Essa così viene annunciata nel Fedone: «Vuoi che ti esponga o Cebete, la seconda navigazione che intrapresi per andare alla ricerca di questa causa [cioè sostanza]?».
D’ora innanzi, se pure con la maschera di Socrate, il pensiero espresso è quello di Platone.
Nel bel mezzo di una serie di dimostrazioni dell’immortalità dell’anima Platone evoca un filosofo della natura, Anassagora. Lo cita per lodarlo, perché aveva osato affermare che «è l’intelligenza a ordinare e causare tutte le cose». Ma subito dopo ritratta: Anassagora usa l’intelligenza come un primitivo userebbe la clava, cioè rozzamente, secondo una logica materiale e meccanica, quasi fosse il motore che in principio ha dato impulso alla rotazione universale. Fu, per il nostro filosofo, una grande delusione. Dice nel Fedone:
“IO CREDEVO CHE ANASSAGORA MI AVREBBE INSEGNATO SE LA TERRA SIA PIATTA O ROTONDA E DOPO QUESTO ANCHE LA CAUSA PER CUI È COSÌ, MOSTRANDOMI IL MEGLIO, E CIOÈ MOSTRANDOMI PERCHÉ PER LA TERRA IL MEGLIO ERA APPUNTO ESSERE COSÌ COM’ERA.”
Ma perché non accontentarsi di conoscere la forma della Terra, e pretendere di sapere se per essa sia meglio essere in un modo o nell’altro? Quando mai un astronomo si chiederebbe se per il Sole è meglio essere più caldo o più freddo? Gli basterà domandarsi quale sia la sua temperatura e poi semmai cercare la causa di essa.
Platone, però, non fa lo scienziato, ma il filosofo e ragiona come tale: non è quindi interessato a scoprire la causa immediata di un evento, ma la causa ultima. Se fosse un uomo di scienza avrebbe una sapienza fisica, ma siccome è un filosofo, un filosofo socratico, cerca una sapienza umana. Per questo il mondo verso cui si dirige a passo spedito non è quello che la natura offre, ma quello che l’uomo offre. La conoscenza della natura conduce alle cause prossime, che a loro volta rimandano ad altre cause prossime e così via all’infinito, proprio come avviene nel mito in cui si cerca un «Atlante [il dio che secondo il mito sorreggeva il mondo] più potente, più immortale e più capace di reggere l’universo». Però è evidente che a tali condizioni non si capirà mai dove si appoggi quest’ultimo Atlante. Invece, chiedersi che cosa sia meglio per la Terra – per esempio se avere forma rotonda piuttosto che piatta – è porre un limite definitivo alla ricerca. È «come se uno dicesse che Socrate […] sta seduto qui in cella perché il suo corpo è fatto di ossa e di nervi» e di altre innumerevoli parti e processi, invece di riconoscere che la sua condizione attuale dipende «dall’opinione del meglio», cioè dal fatto di aver preso una decisione sulla base del «più giusto e più bello». Allora questa, e non una qualche condizione fisica, sarebbe la causa del fatto che Socrate, «al posto di svignarsela e scappare in esilio [dal carcere in cui era rinchiuso], ha preferito pagare alla città qualsiasi pena gli avesse inflitta». C’è dunque una distinzione netta fra le due cause perché una libera decisione non può essere conseguenza necessaria di una condizione o di un evento precedente. Però, nel voler paragonare la situazione umana a quella naturale (il “meglio” di Socrate al “meglio” per la natura), ovviamente, non si crede che la Terra “voglia” per sé la condizione d’essere rotonda come Socrate vuole per sé la condizione d’essere prigioniero, ma che le due condizioni si assomiglino perché trovano un’unica spiegazione a un livello superiore.
Il fatto è che Platone parte dal postulato che esista «un Bello in sé e per sé, un Buono in sé e per sé, un Grande in sé e per sé» e che ogni cosa bella sia così «perché partecipa di questo Bello in sé», e se è buona è «perché partecipa di questo Buono in sé», e così si dice di tutte le altre cose.
Ecco finalmente unificato il mondo interiore dell’uomo con quello della natura («due specie: la prima visibile e la seconda invisibile»), nel fatto che ambedue partecipano di un terzo mondo, quello delle Idee, in cui si trovano tanto le cause dell’agire umano (per esempio i valori come la giustizia) quanto quelle dei fenomeni e degli esseri di natura (per esempio gli archetipi degli elementi fisici e le forme geometriche).
In tal modo la Fisica diventa Meta-fisica, cioè una scienza delle realtà che stanno sopra (che in lingua greca si dice meta) alla sfera naturale e la determinano, nel modo in cui il modello archetipico determina la copia, o, se si vuole, il sigillo definisce la forma della cera a cui si applica. A tal punto, alla causa fisica dei fenomeni, cioè quella efficiente, se ne deve aggiungere un’altra diversa: la causa paradigmatica o esemplare, la quale ha come caratteristica il fatto di non essere dello stesso livello dell’effetto. Questo porrà problemi di compatibilità che affronteremo in seguito, ma per ora sviluppa in senso cosmologico la socratica sapienza umana da cui abbiamo preso le mosse. Tanto la giustizia di Socrate quanto l’intera Terra hanno ora il medesimo tipo di causa: l’Idea.
Ma anche il problema dell’immortalità dell’anima e il dubbio finale di Socrate sul destino dopo la morte parrebbero risolti, non solo sul fondamento della logica, ma pure e ancor più stabilmente su un fondamento sostanziale, perché l’anima è «affine alle Idee» e appartiene alla loro stessa dimensione.

PERCHÉ LE IDEE FORMANO UN MONDO

Indubbiamente il primo rischio da evitare è quello di prendere l’Idea come una realtà inconsistente, dotata di labile esistenza: questo può forse valere per l’idea nel senso corrente del termine (il contenuto della nostra mente), ma non per le Idee di Platone, il quale, anzi, le considera come oggetti più reali e stabili di quelli sensibili.
Innanzitutto è convinto della loro realtà perché le Idee sono colte da un occhio – quello dell’intelletto – molto più perspicace di quello fisico (l’idea, infatti, è intelligibile), e poi perché a differenza delle cose sensibili che mutano in continuazione, ogni singola idea «permane sempre identica» e quindi non passa mai dall’essere al non essere ed è molto più facile da afferrare. Per convincersene, basta considerare le proprietà del triangolo ideale che sono sempre identiche, mentre i triangoli materiali si deformano, per esempio per effetto del calore. Le Idee, pertanto, sono «essere in sé» e sono «la ragion d’essere delle altre cose». Platone esprime questa nozione con il termine «paradigma», quello che con linguaggio moderno si potrebbe chiamare la “normatività ontologica dell’Idea, ossia il modo in cui le cose devono essere, il dover essere delle cose”. A questo punto non ci sembra più stravagante la richiesta rivolta da Platone ad Anassagora perché spieghi cos’è il meglio per la Terra; si tratta semplicemente della richiesta di riportare la Terra all’essenza, all’idea, cioè, di pretendere per essa una definizione ultimativa che non rimandi più ad altre ulteriori cause.
Allo stesso modo si capisce bene che se ogni cosa (umana o naturale) ha un corrispettivo perfetto, paradigmatico, nelle Idee, allora non solo la causa del mondo fisico è nelle Idee, ma anche la ragione e la spiegazione del mondo fisico vanno cercate in quel mondo. Come osserva Hans Georg Gadamer, se la prima scoperta di Platone è l’Idea-paradigma, la seconda consiste nell’affermare «l’inseparabilità di certe idee l’una dall’altra». Ciò equivale a dire che esse, tutte insieme, formano un ordine – in greco kosmos – esplicativo di questo mondo, tanto nei particolari, perché ogni oggetto ha una idea che gli corrisponde, quanto nell’insieme, perché le Idee sono fra loro legate da nessi e regole precise, le quali si estendono anche alle cose; però, in questo caso, in una forma piuttosto imprecisa e confusa. Insomma, le Idee, mentre restituiscono l’essenza degli individui “terreni”, entro certi limiti spiegano anche le loro relazioni.
La scienza che riconosce tali leggi si chiama Dialettica e permette di cogliere un’idea in ogni sua implicazione (un tale significato è ben reso dal termine esplicare, che vuol dire sia spiegare sia dispiegare, cioè estendere in tutte le connessioni). Tale scienza consiste nell’inseguire il nesso fra un’idea e l’altra lasciandosi portare da esso, in un «procedimento con le idee e per mezzo delle idee» (Repubblica), il quale mette bene in luce che esse si aggregano e disgregano secondo un ordine preciso. Potremmo anche immaginarlo a forma di piramide, con al vertice l’idea che ha la massima universalità possibile e alla base quelle con la massima particolarità (cioè l’individuo). Questa traccia può essere percorsa in due sensi: o verso l’alto, nella direzione dell’unità e dell’universale, o verso il basso, verso la molteplicità e la specificità, secondo un metodo che in un caso si chiama generalizzante, nell’altro elementarizzante, o più semplicemente ascensivo (dalle idee più particolari a quelle più universali) e discensivo (dall’Idea suprema alle idee più particolari). La forma più nota in cui Platone cerca di esporre un tale metodo è la diairesi, cioè la suddivisione del concetto più ampio nelle sue modalità fino alle idee “ultime” non ulteriormente divisibili. Platone, nel Sofista, esprime in questi termini la corrispondenza della diairesi con la dialettica:
“IL DIVIDERE PER GENERI E NON RITENERE DIVERSA UNA IDEA CHE È IDENTICA E NON RITENERE IDENTICA UN’IDEA CHE È DIVERSA, NON DIREMO CHE QUESTO SIA CIÒ CHE È PROPRIO DELLA SCIENZA DIALETTICA?”

L’IDEA DEL BENE APRE A UN ALTRO MONDO

Dunque anche il mondo delle Idee ha i suoi poli: ma se l’uno, come abbiamo detto, è costituito dalle idee individuali, l’altro quale è? Non parrebbe l’idea dell’essere, perché l’essere in senso proprio non può neppure definirsi (per definirlo occorre dire che cos’è e, dunque, si è costretti a far uso dello stesso verbo che si vuole definire) e un’idea indefinita è un controsenso. È invece l’Idea del Bene. Essa, da quanto abbiamo finora appreso, si potrebbe pensare come l’ordine universale secondo cui ogni idea si collega e si distingue dall’altra: il posto giusto per ciascuna di esse. Facciamo un esempio: se noi nella seguente serie di inclusione delle Idee CARLO -> UOMO -> ANIMALE -> VIVENTE -> SOSTANZA, cambiassimo l’ordine, mettendo “Carlo” a includere “uomo” e “uomo” a includere “vivente”, noi faremmo qualcosa di “male” (cioè di contrario al Bene che corrisponde alla giusta collocazione), perché il posto che ciascuna Idea occupa nel suo mondo non solo vale a “tenerla in ordine”, ma anche, addirittura, a farla esistere. Infatti, un’idea “fuori posto”, ossia fuori della giusta relazione (come sarebbe quando si dice che “uomo” è “Carlo”), è incomprensibile, e un’idea incomprensibile finisce nel nulla. È in questo senso che nella Repubblica si fa intendere che dall’Idea del Bene viene alle altre Idee non solo la conoscibilità, ma anche «l’essere e l’essenza» cioè la possibilità di esistere. Ma allora questa Idea del Bene non può mettersi alla pari delle altre Idee (infatti Platone ne parla come separata dalle altre). E se, come già sappiamo, le altre Idee sono essere, questa che è capace di fare essere l’essere sarà al di sopra dell’essere: «superiore a esso in dignità e potenza».
Superiore all’essere per Platone è l’Uno, inteso da lui non come un numero ma come un principio – diciamo pure una forza – che sa dare ordine e unità a un altro principio antitetico che si chiama Diade, una forza dirompente che moltiplica, divide e confonde le realtà, e che, all’estremo livello, si identifica con la materia. Tutto ciò che esiste (Idee e cose) è formato da questi due principi che l’Idea del Bene rappresenta, ma a diversi livelli: nel mondo fisico prevale la divisione (diade) e infatti un singolo oggetto tende a cambiare in continuazione (in un certo senso si moltiplica passando da uno a molti), e invece nel mondo ideale predomina l’Uno, in quanto ogni Idea non cambia mai. Ma neppure qui l’Uno prevale in senso assoluto, perché in ciascuna idea possono esserci molte altre Idee e dunque nessuna è completamente unitaria. E del resto è l’intero mondo ideale nel suo convergere in una sola Idea a mostrare questi principi all’opera, rivelandosi come una molteplicità di Idee unificata dall’Idea del Bene. In verità, i due principi hanno fra loro un rapporto polare – cioè simile a quello dei due poli di una batteria – in cui l’uno esiste solo se c’è l’altro e nessuno dei due sarà mai da solo. Forse un esempio ci aiuterebbe a capire: un uomo, finché ha il principio vitale, è un individuo unico pur essendo composto da innumerevoli parti, potremmo dire che in lui prevale l’Uno sulla Diade. Ma se il principio vitale viene meno è come se il vincolo fra le parti si rompesse, infatti l’uomo, ridotto a cadavere, presto si corrompe in un processo di sfaldamento graduale in cui per un po’ ci sarà sempre un Uno dominante e una Diade, ma in rapporti di forza diversi, finché il suo potere si dissolve completamente.
La realtà, in questo nuovo mondo di cui l’Idea del Bene è sovrana, appare come uno straordinario farsi e disfarsi di armonie (cioè di equilibri fra l’Uno e la Diade) che però non rompe mai l’unità dell’insieme, come ben mostra la scienza dialettica, ogni volta in cui rivela «come i molti siano l’Uno e l’Uno sia i molti». Bisogna però tener conto che una siffatta dottrina non si trova esposta in alcun dialogo, pur essendo suffragata da molte testimonianze di altri filosofi (soprattutto di Aristotele) e da accenni negli stessi scritti di Platone. Essa, in verità, non è mai stata affidata allo scritto, anche per il fatto che il nostro filosofo viveva in un momento storico di transizione dall’oralità alla scrittura, quindi le due possibilità di comunicazione erano ancora per lui disponibili. In ogni caso questa è la teoria che più ha influenzato il Platonismo successivo. Può sembrare difficile e anche astrusa: ma Platone non ne ha colpa, perché, come diceva Hegel, il sapiente non è padrone dei propri pensieri, ma sono questi che possiedono lui. Il nostro filosofo si è incamminato sulla via indicata da Socrate per mettere insieme la sapienza umana con quella del mondo. E per far ciò si è imbarcato nella seconda navigazione su una rotta sconosciuta in cui i problemi, man mano che sorgevano, lo portavano ora di qua ora di là per vie impreviste, ma comunque a livelli sempre più alti.
Intanto, affannosamente rincorrendo Platone su questa strada, siamo riusciti a comprendere che cosa vuol dire «mostrare ciò che è meglio» riguardo a ciascuna realtà: significa precisare in quale rapporto essa stia con l’Idea del Bene, ossia in quale punto esatto del “reticolo” delle Idee vada collocata. E ciò corrisponde a darne l’esatta definizione.

DALLA NATURA ALLA MATERIA, VERSO IL DUALISMO

Una volta realizzata la seconda navigazione, sembrerebbe che l’universo abbia trovato una sua sistemazione nel mondo ideale e che quest’ultimo l’abbia a sua volta trovata nel mondo dei Principi. Ma è il concetto di natura (ovvero l’oggetto di cui i primi filosofi si occupavano) a soffrirne, sia per quanto concerne l’uomo sia in riferimento alle cose. Prima di Platone la natura era la sintesi di tre concetti: quello di causa, quello di principio e quello di ragione. In que...

Indice dei contenuti

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. PANORAMA
  6. FOCUS a cura di Roberto Radice
  7. APPROFONDIMENTI
  8. Il piano dell'opera