EMIRATI ARABI UNITI
Gli Emirati Arabi Uniti - Abu Dhabi, Dubai, Ajman, Fujairah, Ras Al Khaimah, Sharjah, Umm Alquwain - occupano, col Sultanato di Oman, la penisola che da questo prende il nome. Siamo all’estremità meridionale della ben più vasta Penisola Araba (che comprende anche Arabia Saudita, Yemen, Oman, Qatar, Bahrain e Kuwait), dove il lungo e relativamente stretto Golfo Persico (che qui preferiscono chiamare Golfo Arabico) incontra l’Oceano Indiano.
Complessivamente, i sette emirati coprono una superficie di 83.600 chilometri quadrati, confinando a sud-est con il Sultanato di Oman, a sud-ovest con l’Arabia Saudita e a nord con il Qatar.
Il deserto e il mare la fanno da padroni negli Emirati. Il deserto copre ben 78.000 chilometri quadrati, cioè oltre il 90% dell’intero territorio, ma, a dispetto dell’ambiente difficile, negli ultimi decenni qui si è assistito a uno sviluppo eccezionale che ha portato con sé architetture modernissime, megacentri commerciali, alberghi e residenze favolosi nel vero senso della parola, incredibili complessi ricreativi che fanno nevicare anche a queste latitudini, serre che permettono la coltivazione di ortaggi propri piuttosto delle nostre parti.
Sono queste attrattive da «Mille e una notte» del terzo millennio che richiamano schiere di visitatori: il deserto, poi, è sempre alle porte, con le sue suggestive dune di sabbia finissima che arrivano fino al mare e le numerose attività che suggerisce.
Il deserto
I panorami più spettacolari sono al sud, attorno all’Oasi di Liwa, dove le dune raggiungono i cento metri di altezza, e fra i rilievi della catena dei Monti Hajar. L’ambiente, pur affascinante, è inospitale, e il clima è soggetto a forti sbalzi di temperatura: freddo di notte e caldissimo nelle ore diurne. Tuttavia le popolazioni nomadi vi hanno da sempre trovato il loro sostentamento e, ancora negli anni Settanta del secolo scorso, i beduini piantavano le loro tende nere dove avevano la possibilità di trovare cibo per i cammelli e le greggi di pecore e capre, o dove potevano trovare animali selvatici (gazzelle e antilopi) da cacciare.
Oggi queste popolazioni sono diventate sedentarie e vivono in moderne case raggruppate in piccoli villaggi ai limiti del deserto o nelle oasi. Nel deserto si incontrano più frequentemente cammelli in libertà, capre e pecore incustodite pure se hanno comunque un proprietario, volpi (del deserto appunto), bisce, lucertole, topi e alcuni tipi di animali notturni.
La vegetazione è prevalentemente composta da basse piante dalle foglie spinose, oleandri e straordinari giacinti gialli, parassiti delle radici altrui. I cespugli che riescono a vivere nelle aride distese di sabbia hanno radici che scendono anche per sessanta metri nel terreno fino a trovare l’acqua.
Nelle aree dove l’acqua è più abbondante e superficiale, per contro, si sono formate rigogliose oasi affollate di piante dal verde intenso che le popolazioni arabe hanno sempre coltivato con cura. Molte oasi si trovano ai piedi delle montagne, altre sono state sapientemente irrigate per millenni da perfetti sistemi di canalizzazioni sotterranee chiamate falaj.
Rub al-Khali, il «Quarto Vuoto»
Il deserto dell’Arabia meridionale (Rub al-Khali), che inesorabilmente spinge anche gli ultimi beduini verso le fasce costiere, è un mare di sabbia rossastra con dune che superano anche i 200 metri di altezza, situato all’altezza del Tropico del Cancro. Coi suoi 650.000 chilometri quadrati di superficie è il più vasto deserto sabbioso del mondo: in passato era considerato un territorio invalicabile e per questo venne anche detto il «Quarto Vuoto».
Solo alcuni gruppi di beduini hanno avuto la tenacia di vivere in un habitat tanto difficile, grazie alla loro incredibile resistenza al suo clima estremo e alla lealtà nei confronti della propria tribù.
Il grande deserto, poi, si è rivelato uno scrigno di enormi ricchezze. La loro origine risale a centinaia di milioni di anni fa, quando un oceano copriva queste terre. Il materiale organico che si era andato depositando sul fondo del mare, sottoposto a fenomeni di decomposizione e di gigantesche compressioni nel corso dei millenni, si è trasformato in una immensa riserva di idrocarburi liquidi e gassosi. Nel 1933 il re Abdulaziz bin Abdulrahman Al Saud (1880-1953), dopo aver unificato tribù e città rivali della Penisola Araba nel regno dell’Arabia Saudita, si accordò con la statunitense Standard Oil Company, californiana, per avviare ricerche petrolifere che ebbero successo. Il suo esempio venne imitato da altri emiri e sceicchi e in breve tempo ogni Stato della penisola araba trovò la sua parte di oro nero.
La ricchezza derivata dal petrolio ha avuto un effetto lacerante sulla società araba, conservatrice e islamica, ma gli Emiri, un po’ seguendo e un po’ utilizzando le regole del Corano, e anche un po’ distribuendo parte dell’enorme ricchezza piovuta dal cielo inaspettatamente, hanno riscattato la millenaria miseria delle popolazioni arabe, così garantendosi il potere ... e la fetta più grande della torta.
Il risultato più evidente di tale processo sociale è stato che la maggior parte degli abitanti del deserto ha abbandonato il nomadismo per insediamenti più comodi e il panorama è cambiato: le tende sono state sostituite dalle trivelle petrolifere e i cammelli hanno ceduto il posto alle potenti land rover.
Membri della tribù Al-Murrah vivono ancora oggi fra le dune coi loro cammelli e le greggi di pecore e capre, percorrendo migliaia di chilometri per trovare acqua e cibo, e cacciando coi falconi e i cani saluki, levrieri del deserto. Rappresentano la testimonianza vivente delle tradizioni più radicate che oggi per i beduini urbanizzati rivivono per lo più in hobby, sagre e gare sportive. Edulcorato fin che si voglia, il Quarto Vuoto continua a esercitare una forte attrazione sull’arabo che non potrà mai spezzare questo atavico legame.
La costa
La costa occidentale si allunga per 770 chilometri dalla penisola del Qatar alla punta dell’exclave omanita di Musandam.
I litorali sono sabbiosi e piatti, con bassi fondali. Privi di porti naturali, sono incisi da profonde insenature (khor, note anche come creek) che si insinuano nell'entroterra e costituiscono ottime vie d'acqua per le tradizionali barche arabe (dhow) dalla stazza e dal pescaggio modesti, a vela triangolare che è più efficiente di quella quadrangolare (europea) per prendere il vento da entrambi i lati. Il termine dhow è una variante inglese mutuata dallo swahili daw, cioè semplicemente «barca».
Qualche decina di anni fa, ancora la fascia costiera si presentava melmosa, impregnata di acqua salmastra che, a breve distanza dal mare, creava uno strato di terreno duro, secco e screpolato, infido e pericoloso nei tratti nei quali veniva periodicamente sommerso da un velo d’acqua.
Poi è iniziato un lungo processo di bonifica del litorale che ha permesso la nascita di nuovi centri costieri e lo sviluppo di grandi città. I khor urbanizzati non sono più solamente percorsi da barconi commerciali, che un tempo andavano a vela, ma da una miriade di piccole imbarcazioni e dagli abra, piccoli vaporetti che trasportano le persone da una sponda all’altra. Enormi impianti di desalinizzazione dell’acqua marina garantiscono la fornitura di acqua dolce a un sempre maggiore numero di residenti e la possibilità di irrigare giardini e rendere coltivabili terreni prima aridi.
Lo scavo dei fondali, infine, ha permesso la realizzazione di porti adatti ad accogliere le navi moderne, cargo e da crociera, grandi e grandissime.
La tradizione mercantile e marinara degli Emirati, d’altra parte, è lunghissima. Già nel V secolo, Julfar, nell’odierno emirato di Ras Al Khaimah, era un grande porto perché i traffici, ostacolati nell’entroterra dal deserto, percorrevano appena possibile le vie del mare.
La costa che si affaccia sul Golfo Persico, dall’odierno Qatar allo stretto di Hormuz, poi, venne chiamata «Costa dei pirati» dai Britannici perché da tempo immemorabile le tribù della regione, intraprendenti e aggressive, approfittando della posizione strategica erano dedite alla pirateria.
Oggi le ricchezze naturali, dalle spiagge ai fondali corallini e all’abbondanza di pesce, sono sfruttate non più solo dai pescatori, ma anche dalla moderna industria turistica.
Le montagne
Nella parte nord-orientale della penisola, la dorsale montuosa dei Monti Hajar si allunga dalla punta estrema, la piattaforma rocciosa e frastagliata di Musandam, creando paesaggi spettacolari.
Formatisi sotto il mare, i rilievi sono stati sospinti in superficie da fenomeni sismici. Le rocce sedimentarie contengono fossili di antichissime origini e sono ricche di minerali.
Il miscuglio di pietre laviche e rocce sedimentarie conferisce ai monti Hajar colorazioni suggestive e l’ambiente diventa ancor più fascinoso quando i suoi picchi si stagliano sopra le dune di sabbia.
La zona montagnosa ha un clima più variabile di quello del deserto. Qui la vegetazione è più abbondante, favorita dai numerosi torrenti (wadi). A paesaggi con cascatelle, alberi e fiori, si alternano campi coltivati e fattorie modello dove si allevano perfino le mucche frisone. Ai piedi delle montagne, infine, si trovano alcune delle oasi più importanti, dove crescono rigogliose piantagioni di palme da datteri.
La palma da datteri
La coltivazione più importante di tutte le oasi, fin dai tempi più antichi, è quella della palma da datteri. Datteri pietrificati sono stati trovati negli scavi del sito archeologico di Hili (Abu Dhabi), segnalato UNESCO.
La produzione di datteri, frutti fra i più nutrienti, richiede una notevole destrezza da parte dell’uomo che deve occuparsi della fecondazione delle palme femmine. Queste, infatti, producono i fiori che devono essere impollinati a mano e l’uomo deve arrampicarsi in cima agli alberi ed eseguire l’operazione fiore per fiore.
La palma, poi, per secoli ha fornito diversi materiali basilari per la vita dei villaggi tradizionali. Dai tronchi si ricavavano pali per realizzare l’intelaiatura delle case ti...