Signa autem temporum potestis [indicare?]
Mt 16,31
I segnali dei tempi non li potete [discernere?]
Il genitivo del titolo di questa terza parte è volutamente ambivalente, suggerisce il mio apporto alla riflessione ecclesiale, viva da un certo tempo, sulla convenienza o necessità di un nuovo Concilio (genitivo oggettivo). Sottolineo tuttavia anche che una caratteristica essenziale della Chiesa è quella di essere (essa stessa) Concilio: congregazione, riconciliazione, chiamata, assemblea. Una Chiesa che non sia conciliare non è Chiesa; equivarrebbe a dire che non è comunità.
Un’interpretazione rigidamente monoteista della Chiesa lascia poco spazio a una Chiesa conciliare, a differenza di una trinitaria della Divinità. Forse questa mutazione ecclesiale è riservata al terzo millennio cristiano – anche se la natura conciliare della Chiesa è stata la più tradizionale. Ci limiteremo comunque a dire qualcosa sul genitivo oggettivo – senza perdere di vista quello soggettivo.
1. La situazione del mondo
Quando due terzi del mondo vivono in regime di ingiustizia per opera degli uomini, e ciò non è giustificato da tempo dal punto di vista religioso; quando, dalla Seconda Guerra Mondiale, 2.500 uomini muoiono per atti di guerra ogni giorno; 3.600 bambini periscono per fame giornalmente e milioni di adulti non possono vivere un’esistenza umana; quando il mondo moderno si vanta di possedere i mezzi per rimediare a tale situazione e crede di essere il più avanzato nella storia dell’umanità tanto da definirsi primo mondo e mondo sviluppato di fronte a quelli che insulta, chiamandoli in via di sviluppo; quando la terra già non può più sostenere il peso della razza umana che si distrugge, distruggendo anche il pianeta; quando si vive nella paura gli uni degli altri, con un esercito di 30 milioni di uomini e, ancor peggio, con un certo numero crescente di donne; quando il misereor super turbam di Cristo non può essere più urgente che in queste circostanze, il fatto che coloro che si dicono credenti nelle parole del Sermone della montagna e del Vangelo della giustizia e della pace continuino a preoccuparsi della menta, del cumino e dell’anice2, non smette di essere triste, per non dire che mostra una cecità quasi incomprensibile.
I due primi millenni della Chiesa cristiana sono stati dominati dalla sindrome escatologica. Il primo, con l’aspettativa della venuta imminente del Regno, poi, con una proiezione verso la vita futura. Quando le ingiustizie della società si accettavano in vista di una ricompensa nella vita futura, la Chiesa poteva offrire la consolazione del «sovrannaturale» ed «eterno» predicando pazienza e rassegnazione. Quando però questa credenza ha cessato di essere operativa, in primo luogo perché gli stessi rappresentanti della Chiesa ufficiale non vivono in generale in questa «valle di lacrime», in questa «cattiva pensione» e in questa situazione subumana e, in secondo luogo, perché si è capito che la natura del Regno3 non separa la giustificazione nell’oltre (escatologico) della giustizia umana e si è superata l’interpretazione fatalista del karma, della «volontà di Dio» e del «destino», quel precetto di Cristo di cercare il Regno di Dio e la sua giustizia non può lasciarci indifferenti né consolarci con un palliativo escatologico – in un tempo lineare!
Una Chiesa per il terzo millennio non può più giocare con le carte del passato: non può essere solo un ospedale per i feriti, un asilo per gli invalidi (perdenti), un rifugio per gli oppressori e una dimora comoda per chi accetta irresponsabilmente lo status-quo…
Non difendo un naturalismo desacralizzato. Anzi, al contrario, dico che si deve scoprire il senso sacro del secolare. L’influenza degli spirituali di origine orientale che tornano ad accentuare il nucleo mistico della vita umana sono una prova sociologica che l’uomo non vive, né può vivere, solo di pane. Ciò che dico è che la vera mistica è precisamente la più vicina possibile alla terra. Ogni mistica è per lo meno panteista.
In una parola, quando i problemi degli uomini sono di vita o di morte, vale a dire di salvezza o di dannazione, non appartiene alla Chiesa, in qualunque sua accezione, preoccuparsi per la situazione umana e fare qualcosa per il regno di Dio e della sua giustizia?
Questo è un compito eminentemente ecclesiale. Ne deriva che non si tratta del solo lavoro di individui più o meno carismatici o intelligenti. Dicendo ecclesiale non mi riferisco esclusivamente alla Chiesa romana né tantomeno alle Chiese cristiane, ma a quella Chiesa invisibile sparsa per tutta la terra. Ci dovrebbe però essere qualcuno che convoca, anche se poi si deve eclissare e lasciare la dinamica del Concilio nelle mani dello Spirito. Il compito riguarda tutti «In santa Ecclesia unusquisque et portat alterum et portatur ab altero» («Nella Chiesa santa ognuno sostiene l’altro ed è sostenuto dall’altro»), scrisse Gregorio Magno4.
In questo senso oso fare le considerazioni che seguono.
2. Un Concilio universale permanente
Amici miei chiederanno un Concilio Vaticano III per rendere la Chiesa un po’ più morale, trasparente e tollerante. Preferiranno un Concilio Chicago I per iniettare nella Chiesa romana un po’ più di spirito democratico, prammatico e realista. Corrono voci di un Concilio africano, e immagino che esistano altri desiderata da altri continenti. Mi unisco a tutti proponendo un’assemblea più cattolica, alla quale si convocherebbero tutti gli esseri della terra, senza escludere né animali né piante. Dovrebbe essere prima di tutto un Concilio di Riconciliazione – come la stessa parola Concilio suggerisce. Gloria a Dio in tutti i cuori umani e pace con la terra tra gli uomini che Dio tanto ama5, si dovrebbe incominciare a cantare nei prossimi Natali.
Mi limiterò però ad alcuni punti più concreti.
In primo luogo, un Concilio per porre fine alla guerra fredda, e a volte meno fredda, fra le religioni. É da oltre un quarto di secolo che parlo di ecumenismo ecumenico. Basta scriverne!
Menzionerò solo un corollario. Non risolveremo oggigiorno i nostri problemi domestici se ci limitiamo artificialmente ad essi. Sarvam sarvamkan (tutto è relazionato con tutto), dice la tradizione shivaita, e tante altre. Non si può affrontare il problema del sacerdozio femminile senza tenere in considerazione il cambiamento nell’idea di sacerdozio e l’evoluzione della sensibilità femminile in tutto il mondo. Per questo motivo si devono ascoltare queste voci e invitarle a che parlino – e non solo a parlare di loro. «Parla per coloro che non hanno voce», ci dice la Bibbia6.
Non si può risolvere, nemmeno porre, il problema del celibato sacerdotale senza tenere in considerazione l’esperienza umana del nostro tempo rispetto alla sessualità, le lezioni di altre religioni e altre questioni relative, come sarebbero quelle dei diritti dell’uomo, della libertà dell’individuo, ecc. Non possiamo solo dialogare tra noi a porte chiuse. Si deve uscire sulle piazze e nelle vie del mondo, nei cammini e nelle valli a invitare chiunque voglia venire, sia zoppo, monco, cieco, e specialmente povero, al banchetto della Vita7. In un tempo di emergenza non importa molto chi debba suonare il tamburo della convocazione. Gli echi provengono dalle quattro direzioni del mondo ed è secondario sapere da dove escono.
La ...