L’ellenismo: premessa
Con il termine ormai tradizionale di “ellenismo”, coniato nel XIX secolo da Johann Gustav Droysen, si indica lo sviluppo storico-culturale della grecità a partire dalla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) fino alla battaglia di Azio (31 a.C.) o, in una prospettiva più ampia, fino a tutta l’età imperiale, arrivando a Giustiniano.
In questo periodo il mondo greco conosce una grande espansione, spingendosi fino all’India; mentre alle tradizionali strutture politiche si vanno sostituendo i grandi regni dei successori di Alessandro, l’orizzonte della polis è soppiantato dalle metropoli come Alessandria, Antiochia e, in misura minore, Pergamo. Presso le corti dei sovrani ellenistici sono condotti importanti studi scientifici in ambito medico, matematico e ingegneristico che conducono a risultati spesso sorprendenti (in alcuni casi, come è stato mostrato di recente, eguagliati solo nell’età moderna). Il sapere circola e nell’atmosfera di cosmopolitismo che caratterizza il periodo si diffondono culti iniziatici o misterici, spesso di origine orientale o egiziana. I dialetti greci tendono a dissolversi (salvo eventuali recuperi letterari da parte di eruditi) nella “lingua comune”, la koiné. Le vecchie scuole filosofiche resistono, affiancate però da nuovi indirizzi (lo stoicismo, l’epicureismo...) che privilegiano l’individuo, e non più lo stato, come oggetto primario del loro interesse.
Dal punto di vista della letteratura, nascono nuovi generi (come l’epigramma e il romanzo), mentre quelli vecchi vengono reinterpretati e rielaborati. Il rapporto con le opere del passato, però, rimane molto stretto: l’epoca ellenistica vede lo sviluppo delle grandi biblioteche, come quella di Alessandria, e la nascita di una nuova scienza, quella filologica, dedita allo studio delle opere letterarie e alla preparazione di edizioni affidabili, che sono alla base, per esempio, del testo dell’Iliade e l’Odissea, delle tragedie e delle commedie attiche, delle opere di Erodoto e Tucidide come le leggiamo oggi. E non è un caso che molti dei più importanti autori di epoca ellenistica siano anche filologi.
Una poesia per iniziati: Callimaco e i poeti elegiaci
Il poeta simbolo dell’epoca ellenistica è sicuramente Callimaco di Cirene, attivo ad Alessandria e in stretti rapporti con la dinastia dei Tolomei e con i circoli eruditi che gravitano intorno al Museo per tutta la prima metà del III sec. a.C.
Celebre anche come filologo, cura personalmente l’edizione della propria opera e, soprattutto, si distacca programmaticamente dalla tradizione, soprattutto da quella epica, per costruire un codice nuovo.
A Omero viene preferito Esiodo, visto anche come maestro di veridicità; i cardini della nuova poetica sono la leptotes, la “finezza”, e la ricerca dell’originalità. Nella celebre conclusione dell’Inno ad Apollo il poeta contrappone il grande fiume assiro, imponente ma dall’acqua torbida e fangosa, alle purissime gocce d’acqua stillate da una sorgente sacra; in un epigramma altrettanto famoso dichiara di non voler bere alla “fontana comune”, e di disprezzare tutte le cose popolari. Callimaco, poeta dotto, gode di grande fortuna in età romana; la sua opera, sopravvissuta a Costantinopoli fino al disastro della quarta crociata nel 1204, è oggi ricostruibile (salvo che per gli Inni e gli epigrammi) sulla base di frammenti e di riassunti papiracei.
Pur nel naufragio della produzione callimachea, quello che resta è comunque sufficiente per apprezzare le peculiarità dell’autore. Sono rimasti per intero i sei Inni, che, pur prendendo le mosse dagli Inni omerici, arrivano a differenziarsene profondamente. Gli ultimi due, ad esempio, sono in dialetto dorico; il quinto è in distici elegiaci, e anche gli altri, pur essendo in esametri, presentano una metrica che obbedisce a una serie di regole caratteristiche. Anche dal punto di vista del contenuto, il distacco dalla tradizione è evidente: si fanno notare le digressioni erudite, i quadretti di vita quotidiana (spesso ironici), l’ispirazione che si rifà anche agli inni in metro lirico e alla prassi dell’elegia. Di particolare rilievo risultano l’Inno ad Apollo (II), dove si descrive la fondazione di Cirene e I lavacri di Pallade (V), con la narrazione dell’accecamento di Tiresia, colpevole di aver visto Atena nuda mentre si bagnava.
Dei quattro libri della raccolta di elegie nota come Aitia (letteralmente “cause”, nel senso di “origini” di luoghi, tradizioni, costumi) restano un centinaio di frammenti, molti dei quali papiracei. L’opera, che si apre con un prologo in cui il poeta si scaglia contro gli avversari della sua poetica, definiti Telchini (demoni malvagi che si riteneva abitassero nell’isola di Rodi) gode di grandissima fortuna presso i poeti latini. Nel III libro è trattata la storia dei due innamorati Aconzio e Cidippe, che sarà ripresa da Ovidio; nel IV compariva la celeberrima Chioma di Berenice, in seguito rielaborata da Catullo, storia del catasterismo (trasformazione in costellazione) di un boccolo offerto ad Afrodite dalla regina Berenice come auspicio per il ritorno del marito dalla guerra.
Callimaco
Il prologo degli Aitia
Il prologo degli Aitia
Da ogni dove i Telchini gracidano contro il mio canto,
ignari della Musa, cui non nacquero cari,
perché non un unico poema continuo ho concluso
o i re in molte migliaia di versi celebrando
o gli antichi eroi, ma per breve tratto volgo il mio carme,
come un bambino, e ho non pochi decenni.
Ma ai Telchini questo io rispondo: “Razza
che sa rodere solo il suo fegato!
… andate in malora, progenie di Malocchio funesta: da ora con l’arte
la poesia giudicate, e non con lo scheno persiano.
E non chiedete a me che un canto di grande fragore
produca. Tuonare non è compito mio, ma di Zeus!
… tra quelli cantiamo che il suono acuto
della cicala amano e non degli asini il grido.
Callimaco, Aitia, giambi e altri frammenti II, a cura di G.B. D’Alessio, Milano, BUR, 1997
Nell’edizione curata dall’autore, gli Aitia sono seguiti dai Giambi, 17 componimenti in metro vario. Dai frammenti e dai riassunti che ne restano, sembra che la varietà contenutistica fosse molto grande; nel primo componimento è evocata come ispiratrice la figura del poeta Ipponatte.
Di grande rilevanza era poi l’Ecale, un “epillio” (letteralmente, “piccolo poema epico”), che costituisce una narrazione continua in esametri molto distante, però, dalla tradizione epica precedente. Lo spunto è offerto infatti da un episodio marginale della vicenda di Teseo, nel quale l’eroe, in viaggio per combattere il toro di Maratona, viene ospitato da un’umile vecchietta, Ecale, che morirà il giorno dopo. In suo onore Teseo istituisce il demo di Ecale e il tempio di Zeus Ecaleio: si tratta del consueto motivo eziologico (riferito alle origini, in questo caso di un toponimo e di un luogo di culto) così caro al poeta.
Callimaco scrive anche varie opere erudite e filologiche in prosa, come i Pinakes, le “Tavole”, in 120 libri, un immenso catalogo ragionato degli scritti conservati nella Biblioteca di Alessandria e non solo.
Tra gli altri poeti dotti alessandrini che si dedicano in particolare all’elegia occorre ricordare innanzitutto Filita (o Fileta) di Cos, più anziano di Callimaco, autore tra l’altro di una raccol...