Dalle vite dei filosofi all’autobiografia romanzesca
Alle spalle del prototipo di autobiografia filosofica settecentesca premono i modelli della memoria scientifica che avevano scandito, sotto la penna di Bacone, Hobbes e Cartesio, le tappe del procedere collettivo della conoscenza sotto gli auspici della modernità.
Individuando un percorso e un ordine faticosamente ricostruito a posteriori, Cartesio scrive le pagine del Discorso sul metodo nelle quali le metafore del viaggiatore e dell’architetto si integrano allegorizzando l’immagine di un sapere che, una volta faticosamente posseduto, illumina sia il percorso svolto, sia il metodo dell’indagine. Gli chemins individuati dal razionalismo cartesiano confinano con la brevità della vita, che obbliga a confessare quanto si è conosciuto dopo aver esposto analiticamente i dubbi ai quali risponde la presa di coscienza del cogito.
L’esame di coscienza di impostazione gesuitica viene riproposto davanti all’autorità della ragione che domina un cammino di conversione che è la parafrasi laica degli esercizi spirituali di sant’Ignazio. Dal Seicento al Settecento, mediata dal Caloprese, si diffonde, soprattutto nell’area meridionale, l’influenza di Cartesio, non soltanto per il Discorso, quanto per quelle Passioni dell’anima, che costituiscono, con la loro analitica dei moventi affettivi, un importante modello d’introspezione psicologica per gli autori delle autobiografie del Settecento.
In ambito napoletano, mentre il D’Andrea degli Avvertimenti fornisce il modello per una memorialistica borghese fondata sull’ ethos della modestia e della fatica, si afferma la Vita di Vico (1728) che, dispiegata in “piccoli capitoletti e parti brevi e gustosissime”, resiste alla tentazione del discontinuo per celebrare il processo escatologico della glorificazione del filosofo nelle pagine della Scienza nuova. Nei drammatici dilemmi di redenzione e riscatto, fatiche e avversità, Vico – abbandonando il pacato dialogare del racconto cartesiano – investe il récit della Vita del significato tragico di un destino anticipato dalla mitizzata descrizione degli avvenimenti che rivelano con l’umore collerico il carattere eroico della sua esistenza, prossima al martirio di un novello Socrate.
Il modello vichiano, consolidato in Italia dagli esempi delle autobiografie del Giannone e del Muratori, si stempera, quando si passi alla Mia vita di Hume (1776), nell’ understatement di un succinto racconto che rimanda il lettore a verificare la verità dello scritto nella realtà dei fatti. Cogliendo nell’ultimo tempo della sua malattia l’occasione per un breve autoelogio funebre, Hume afferma la dignità del filosofo nel carattere ben temperato e nel sobrio distacco tanto dalle sirene del successo mondano quanto dal terrore dell’ exitus vitae.
Nel rievocare la breve storia dei suoi scritti l’autore della Storia naturale della religione si prepara a spegnersi contendendo il suo tempo fra le partite di wist e la lettura dei Dialoghi dei morti di Luciano, senza tacere la sua soddisfazione di homo oeconomicus per il buon successo commerciale delle sue opere.
Dalla dignitas eroica del Vico, passando per il positivo senso della vita di Hume, si giunge, secondo il ritmo di un anticlimax, alla desacralizzazione delle Confessioni di Rousseau (1782), che fanno subentrare al coerente disegno delle opere e dei giorni dell’uomo di lettere il capriccio affabulatorio, la volontà inclusiva di eventi privati al limite del pornografico, l’indugio (siamo in epoca di sensismo) nella descrizione delle proprie emozioni, spesso rielaborate sulla base di episodi dell’infanzia. Rivolgendosi al pubblico dei romanzi, in tempi nei quali il giornale intimo sta assurgendo con il Lavater del Diario segreto di un osservatorio di se stesso (1771-1773) alla dignità letteraria, le Confessioni riscrivono le regole del genere memorialistico nei termini della moderna autobiografia: “Mi impegno in un’impresa senza esempio e la cui esecuzione non avrà imitatori. Voglio mostrare ai miei simili un uomo nella nuda verità della sua natura”.
Il paradigma dell’originalità subentra dunque a quello dell’esemplarità. L’ imitatio vitae ha lasciato il posto alla vita inimitabile, la cui condotta assolutamente unica si rappresenta nell’irripetibile intreccio di quei fatti ai quali Hume accredita semplicemente la funzione di controllo delle proprie affermazioni memorialistiche. Contrariamente a quanto gli suggerisce il suo ego letterario, Rousseau sarà imitato nella tensione all’esperienza personalissima dello scrivere au gré du vent, cioè abbandonato al capriccio del caso, da letterati e avventurieri che percorreranno l’Europa, scandendo le tappe del loro Grand Tour nelle sapide pagine delle autobiografie.
Il pathos della memoria
Nell’ultimo ventennio del Settecento sull’esempio di Rousseau la narrazione autobiografica, dispersa come forma di coscienza in tutti i generi letterari, dal sonetto alla lettera, dalla relazione di viaggio al romanzo, si coagula con straordinaria fortuna stilistica nelle memorie di uomini che fanno allo stesso tempo parte delle gens du monde e della repubblica delle lettere. Avventura e viaggio, erotismo e gloria letteraria, melanconia e comicità picaresca sono i soggetti di uno scrivere che, se è confinato negli anni della vecchiaia, recupera il ritmo di un mouvement ora forsennato, ora cupo e languoroso nelle contrade d’Europa.
Nel 1789, quando in Francia dilaga l’evento della Rivoluzione, Giacomo Casanova nel ritiro boemo del castello di Dux comincia la narrazione della Storia della mia vita dando forma, con l’inesauribile récit della sua esistenza, al ritratto dei protagonisti dell’ ancien régime. L’Europa dei sovrani e dei filosofi, delle dame e degli avventurieri entra nelle pagine delle sue memorie quando sta tramontando sull’orizzonte della storia.
Caterina II, Federico II, Cagliostro, Haller, Voltaire parlano con il sapido narratore che tenta, con procedimento picaresco, di volgere il dialogo a favore del riconoscimento dei meriti della propria vita en philosophe. Allo svelamento erotico della scrittura casanoviana fa eco Monsieur Nicolas (1794-1797), romanzo autobiografico di Restif de la Bretonne, che dichiara, come il picaro veneziano, di volere stabilire con i suoi lettori un rapporto complice fondato sul riconoscimento di “tutte le mie debolezze, tutte le mie imperfezioni e ogni turpitudine”.
Giacomo Casanova
La relazione con la signorina Denis
Storia della mia vita
Furono Dall’Oglio e la sua graziosa moglie che, con i loro discorsi, mi fecero pensare che, se il re di Prussia non mi avesse impiegato come volevo avrei potuto recarmi in Russia. Tra l’altro...