La formazione a Cremona
La vita e la produzione di Claudio Monteverdi si articolano in tre fasi corrispondenti alle tre principali città che gli hanno fatto, insieme, da sfondo e da motore: Cremona, Mantova e Venezia.
A Cremona, città natale, si svolge l’apprendistato del giovane musicista all’illustre scuola del compositore veronese Marcantonio Ingegneri. La rete delle conoscenze familiari (il padre Baldassarre era speziale, cerusico e medico affermato, nonché personaggio in vista della comunità cittadina) e la dimensione provinciale consentono di esaltare al massimo, con qualche sproporzione entusiastica, le indiscutibili e precoci manifestazioni del talento di Claudio.
Fra il 1582 e il 1590 (cioè fra i 15 e i 20 anni di vita) vengono infatti stampati ben cinque libri di sue composizioni. La pubblicazione precoce di raccolte monografiche, per di più in vesti tipografiche ricercate, è un privilegio singolare se si pensa ai costi notevoli della stampa musicale, e se si ricorda che molto di rado un compositore poteva ambire alla stampa di un proprio libro prima dei 25 anni (come Orlando di Lasso, Palestrina e Luca Marenzio che aspettarono i 27; o come Orazio Vecchi che stampò intorno ai 30 anni).
I primi tre libri monteverdiani, Sacrae cantiunculae del 1582, Madrigali spirituali del 1583, Canzonette del 1584 (finanziati da mecenati locali, dedicatari delle opere) sono lavori di buona fattura, ma di qualità artistica non singolare; hanno quindi il principale scopo di mostrare nel “theatro del mondo” che il loro giovane autore è in pieno possesso di tutte le conoscenze richieste a un musicista professionista.
Il primo e il secondo libro dei madrigali, rispettivamente del 1587 e 1590, testimoniano invece che intorno ai vent’anni Monteverdi era già pervenuto a un alto livello di maturazione compositiva, e stava già elaborando quella cifra stilistica così particolare e originale che in seguito lo avrebbe caratterizzato.
Specie il secondo libro rivela una nuova attenzione ai contenuti dei testi poetici messi in musica e una concezione estremamente duttile e articolata della costruzione polifonica, che porterà direttamente agli elementi principali dell’idioma musicale barocco (il declamato monodico e lo stile concertato).
Ecco mormorar l’onde del secondo libro, costruito su di un commosso testo di Torquato Tasso che canta l’impalpabile e miracoloso trascolorare della natura nel breve tempo dell’aurora, è già un capolavoro del genere madrigalesco.
Gli ingressi sfalsati e variamente combinati delle cinque voci, con brevi afflati di canto che efficacemente corrispondono alla frammentata meraviglia delle parole di Tasso, introducono l’ascoltatore in un mondo sonoro di sfumature, trasformazioni, echi; una sfera incantata in cui perdono consistenza i confini tra notte e giorno, sonno e veglia, coscienza e incoscienza. È già la poetica del sogno, del magico, dell’impalpabile, che tanta parte avrà nella letteratura del Seicento, da Shakespeare e Calderón in poi.
Monteverdi a Mantova
Tra il 1590 e il 1591 Monteverdi viene assunto come suonatore di viola alla corte di Vincenzo Gonzaga duca di Mantova, dove una tradizione secolare aveva riservato alla musica un posto d’onore, prima con Isabella d’Este, tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento, poi con il duca Guglielmo, egli stesso compositore di non infima qualità.
Ma un impulso decisivo arrivò a Mantova da Vincenzo, che, assunta la signoria alla morte del padre Guglielmo (1587), spese ingenti somme per affermare una rinnovata e magnificente immagine internazionale del suo ducato, patrocinando costosi e raffinati eventi spettacolari incentrati sulla musica.
Contrastati saranno sempre i rapporti fra Monteverdi e l’amministrazione ducale, che riconosce presto le molteplici doti del musicista e se ne avvale largamente, ma non si mostra altrettanto solerte nel remunerarle. In diverse lettere Monteverdi lamenta pagamenti mancati o fortemente ritardati, e l’ossequiosa prosa cortigiana riesce appena a dissimulare rabbia profonda e oscuro risentimento.
Al seguito di Vincenzo, come responsabile di una piccola cappella di quattro musicisti, Monteverdi partecipa a due viaggi: in Ungheria (1595) e ai bagni di Spa nelle Fiandre (1599). Economicamente essi si rivelano per il musicista eventi rovinosi, di cui si lamenterà ancora alcuni anni dopo, perché è costretto a provvedere di tasca propria a ingenti spese personali; musicalmente tuttavia rappresentano occasioni preziose di confronto con altri contesti culturali e con altri professionisti di valore.
Quanto sia stato importante per Monteverdi il viaggio nelle Fiandre è attestato dal fratello Giulio Cesare, anch’egli al servizio del duca Vincenzo, quando in uno scritto del 1607 ricorda come Claudio fosse stato il primo a introdurre in Italia il nuovo “canto alla francese in questo modo moderno che per le stampe da tre o quattro anni in qua si va mirando... di quando venne da li bagni di Spà, l’anno1599”.
Morto nel 1596 Giaches de Wert, maestro di cappella della corte mantovana, Monteverdi aspira legittimamente alla successione, ma gli viene preferito il più anziano concittadino Benedetto Pallavicino.
Probabilmente in seguito a questa delusione egli cerca una sistemazione alternativa presso Alfonso II, duca di Ferrara, ma la morte di questi, nel 1597, blocca ogni cosa. Finalmente alla fine del 1601, morto a sua volta Pallavicino, arriva per lui la nomina a “maestro di musica del serenissimo signor duca di Mantova”, come si legge nel frontespizio del Quarto libro de madrigali (1603). Intanto, nel maggio 1599, erano state celebrate le sue nozze con Claudia Cattaneo, figlia di un collega musicista, anch’essa al servizio del duca come cantante.
Al primo decennio mantovano è legato un episodio importantissimo, che ci permette di osservare da vicino quale straordinario complesso di problematiche accompagnasse l’evoluzione del pensiero musicale agli inizi del barocco: la disputa sulla “seconda prattica”. Protagonisti sono, da un lato Claudio Monteverdi e suo fratello Giulio Cesare, dall’altro il canonico e teorico bolognese Giovanni Maria Artusi.
Nella sua opera intitolata l’Artusi, overo Delle imperfettioni della moderna musica (1600), quest’ultimo si propone “di dimostrare i traviamenti di certe tendenze compositive moderne che contraddicono in modo palese le regole tradizionali”.
Come esempi negativi sono citati nel volume alcuni passi da quattro madrigali, dei quali non è menzionato l’autore, ma che sono appunto composizioni di Monteverdi date alle stampe solo più tardi, due nel Quarto libro de madrigali (1603) e due nel Quinto libro (1605).
Artusi riconosce in essi una certa qualità generale, ma ne critica aspramente l’eccessiva libertà nel trattamento delle dissonanze, nella commistione dei generi, nella disinvolta manipolazione dei modi, che ai suoi occhi appaiono gravi e ingiustificati arbitri.
Monteverdi replicherà solo nel 1605 con un breve scritto in prefazione al Quinto libro; ma la vera risposta ad Artusi arr...