Il giorno della nascita: gli dèi e i neonati, i riti di protezione e di ringraziamento
Quando nasce un bambino è un giorno di festa. A sancirlo non bastano le felicitazioni e gli auguri di amici e parenti: per un momento così importante è necessaria la presenza degli dèi, numerosi, chiamati a partecipare all’evento con riti e preghiere, probabilmente anche con offerte e sacrifici, a proteggere e favorire il buon esito del travaglio e un felice avvio della nuova vita. Purtroppo nessuna delle fonti a nostra disposizione ci descrive compiutamente cosa accade in quel giorno, né quali cambiamenti intervengano da un’epoca all’altra e nelle diverse classi sociali. Di conseguenza possiamo ricostruirne solo un quadro frammentario.
La puerpera è assistita dall’ostetrica e confortata dal supporto di altre donne a lei vicine, solitamente la madre, la zia, non di rado anche la suocera. E dopo Fluvonia, la dea che ha bloccato il flusso mestruale per tutta la gestazione, e Alemona, che si è occupata di far crescere e alimentare (alere) il feto, è ora il tempo di invocare le numerose divinità del parto: Numeries, perché la nascita avvenga velocemente (numero); i tre dèi Nixi, per aiutare la partoriente a spingere (niti); Candelifera, alla quale all’inizio del travaglio si accende una candela, che protegge madre e bambino dagli spiriti maligni e aiuta il piccolo a venire alla luce; e naturalmente la dea maggiore, Giunone Lucina, la dea per eccellenza del dare e venire alla luce, lux appunto. Nel suo tempio, per volere del re Servio Tullio, i genitori depongono una moneta per ogni nuovo nato.
Dionigi di Alicarnasso
Antiquitates Romanae, Libro IV, 15, 5
Come scrive Lucio Pisone nel primo libro dei suoi Annali, volendo poi conoscere il numero di coloro che abitavano nella città, e di quelli che nascevano e di quelli che morivano e di quelli che (raggiungendo la maggiore età) venivano registrati fra i viri, stabilì che per ciascuno i congiunti versassero una certa somma: al tesoro di Ilizia, che i Romani chiamano Giunone Lucina, per ogni nato; a quello di Afrodite nel bosco, che chiamano Libitina, per chi moriva; al tesoro di Juventas per coloro che entravano a far parte dei viri.
Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae, trad. it. di M. Monteleone
Al parto sono presenti anche due gruppi di divinità profetiche: le due Carmente Postvorta, da post e vertere “volgere indietro”, e Antevorta o Porrima, da porro “in avanti”, vaticinatrici rispettivamente di ciò che deve ancora avvenire e di ciò che è già avvenuto. Esse sono inoltre protettrici rispettivamente del parto “rivoltato”, cioè podalico, e di quello cefalico. Nona e Decima, dee dei mesi “giusti” per partorire, rappresentano invece insieme a Parca, il cui nome deriva da partus, i Tria Fata: esse sono divinità della nascita e della profezia perché enunciano (fari) il destino (fatum) del neonato. Il bambino, protetto da tale schiera di divinità, appena nato, è immediatamente poggiato per terra dalla levatrice, che ne controlla le funzioni vitali.
È nel momento del contatto con la terra che secondo i Romani il bimbo saluta la vita emettendo il primo vagito, primo e più importante segno di vitalità e omen, presagio del suo futuro. Altri dèi presiedono a questo delicato momento, Vitumnus che dà il via alla vita, Ops, dea della terra e della prosperità, invocata ad accogliere nel suo seno il nuovo nato, Vaticanus ad aprirgli la bocca per il primo vagito e Sentinus, a dotarlo dei sensi, delle prime percezioni. In un secondo momento, verificato lo stato di buona salute del piccolo, l’ostetrica, sotto la protezione della dea Levana, lo solleva. Tollere infantem (“alzare il bambino dal suolo”) è un gesto che si ripete più di una volta nel giorno della nascita, ogni volta con diverso significato. Dapprima, come abbiamo visto, lo compie la levatrice, e al gesto materiale corrisponde anche simbolicamente l’auspicio che il neonato si alzi per bene da terra, raggiungendo con la crescita la posizione eretta, e dunque stabilità e robustezza. Successivamente invece, quando la levatrice lo avrà dichiarato in buona salute, lavato e avvolto nelle fasce, a sollevare l’infans sarà il padre, prendendolo in braccio per la prima volta, ma spesso anche solo dichiarando di volere tollere liberum, cioè di voler tenere presso di sé e “tirare su” il bambino come suo figlio legittimo. Si tratta di un atto senza alcun valore giuridico, ma di grande importanza simbolica e morale, il primo riconoscimento del neonato da parte del padre. La levatrice taglia il cordone ombelicale, lava il bambino e avvolto in fasce lo depone nella culla (cuna), su cui ora veglia la dea Cunina, per tenere lontani il malocchio e l’invidia, a cui i più piccoli, indifesi, sono costantemente esposti.
Anche il primo pasto del bambino è un passaggio tutelato dagli dèi, da Rumina per la precisione, che fa sì che le mammelle (rumae), producano buon latte fino allo svezzamento, quando per la prima volta il bambino mangerà (edere) e berrà (potare), sotto lo sguardo delle dee Educa e Potina. Solo quando nella stanza del parto tutto si è concluso, nei riti della nascita viene coinvolto il resto della casa, ovvero gli uomini, padre per primo. A lui tocca ornare porte e stipiti con corone di alloro, pianta sacra, purificatrice e benefica, simbolo di pace e vittoria. La prima notte di vita del figlio, con l’aiuto di altri due uomini il padre deve stare a guardia della domus e compiere un rito per impedire al dio agreste Silvano di entrarvi a vessare e tormentare madre e bambino: gireranno intorno al perimetro della casa, uno percuoterà la soglia con la scure, uno la batterà col pestello, uno la spazzerà con la scopa. Con questo rito saranno presenti i tre dèi Intercidona, Pilumno e Deverra, dèi delle attività umane che si svolgono negli spazi domestici, preposti alla potatura delle piante e al taglio della legna con la scure (intercisio), la macina col pestello (pilum) per fare la farina, la pulizia del pavimento, ovvero lo spazzare (deverrere). Grazie alle loro attività il selvatico e incultus Silvano non avrà accesso allo spazio “civilizzato” della casa.
Nel giorno della nascita e nei nove a seguire inoltre Pilumno non sarà presente solo fuori dalla casa, ma sarà accolto dentro, invitato a dormirvi e mangiarvi. Subito dopo il parto infatti per lui e per un altro dio, Picumno, nell’atrium, lo spazio più centrale e pubblico della domus, viene allestito un lectisternium, un banchetto imbandito ricco di vivande e offerte. Ciò in ragione del fatto che i due sono dii coniugales e infantium, dèi protettori del matrimonio e dei bambini, tanto che i Romani fanno derivare il nome Pilumno ora dal pestello (pilum) ora dal verbo pellere, “scacciare”, perché terrebbe lontani i mali che minacciano i neonati; Picumno invece altro non sarebbe se non il picchio (picus) l’animale che insieme alla lupa si prese cura di Romolo e Remo appena nati (l’una li allattava, l’altro li imbeccava). Non sempre tuttavia il lectisternium è dedicato a Pilumno e Picumno. Nelle case nobili e lontane dall’ambiente agricolo esso è offerto ad altre due divinità altrettanto rappresentative di matrimonio e procreazione, Giunone Lucina ed Ercole. A Giunone ci si rivolge non solo in quanto dea che aiuta il parto, ma come ipostasi della madre stessa, della madre che allatta, della matrona. Sulla sua mensa le amiche della partoriente che vengono in visita portano offerte e celebrano sacrifici. Dal canto suo invece Ercole viene chiamato in causa come protettore del neonato: forse perché l’eroe è venuto alla luce felicemente dopo un parto molto travagliato, o forse perché si spera che il bambino sia “adottato”, cioè protetto, da Giunone, come nel mito lo è stato Ercole, dietro preghiera dello stesso Giove. Pare inoltre che nel tempio di Giunone vi fosse una mensa offerta a Ercole e che i genitori vi portassero i bambini, perché mangiando anche loro da lì acquistassero la sua stessa forza. Forse il lectisternium offerto nell’atrio della casa il giorno della nascita assolve la stessa funzione, cioè trasmette la fortitudo ercolina al neonato.
Sicuramente però Ercole è lì presente insieme a Giunone in qualità anche lui di deus coniugalis: nell’ultima notte da vergine la sposa, come tutte le spose...