La formazione a York e il mito della scuola
Carlomagno
Epistula de litteris colendis
In questi ultimi anni da numerosi monasteri ci sono state mandate comunicazioni per informarci che i fratelli che vi vivevano si impegnavano per noi con le loro preghiere devote, e abbiamo riscontrato che nella maggior parte quelle comunicazioni contenevano intenzioni e pensieri eccellenti, ma una lingua incolta, poiché quel che veniva loro suggerito dalla religiosità non poteva essere espresso senza errori a causa della loro trascuratezza nell’istruzione. Questo ci ha fatto temere che, col diminuire della capacità di scrivere, sarebbe peggiorata anche la qualità dell’interpretazione della Bibbia. Sappiamo benissimo che gli errori di lingua, anche se pericolosi, sono meno pericolosi degli errori di comprensione, e per questo vi esortiamo non solo a non trascurare gli studi letterari ma anzi ad applicarvi ad essi con la massima umiltà e la migliore intenzione di piacere a Dio, per poter capire più facilmente e profondamente il significato spirituale delle Scritture divine. Poiché nella sacra Scrittura infatti troviamo schemi, tropi e figure retoriche, è certo che chi la legge ne comprende meglio il senso profondo se ha studiato con maggiore accuratezza la scienza delle lettere.
Carlomagno, “Epistula de litteris colendis”, in Monumenta Germaniae Historica, Capitularia Regum Francorum
Alcuino di York
La corte di Carlo Magno
Descrizione dei personaggi di corte mascherati da nomi “d’arte” di origine biblica o classica.
[…] Presto i medici si affollano nella sala d’Ippocrate; l’uno apre le vene, l’altro rigira i farmaci sul fuoco, un terzo cuoce le sue poltiglie, un altro presenta la bevanda; ma somministratela gratuitamente, o medici, perché la benedizione di Cristo accompagni le vostre mani. Questo zelo mi piace e quest’ordine è lodevole. Ma quale delitto ha commesso a corte il poeta Marone? Questo padre dei poeti non era degno di trovare un maestro in grado di far ammirare ai ragazzi il fascino della sua musa? Che fa Beleseel [Eginardo], esperto nei versi omerici? Perché, mi chiedo, non ha assunto la direzione della scuola in nome di suo padre? Che fa il vecchio Drance, carico di anni, così incanutito? Il piccolo Zaccheo si issa come meglio può per osservare la truppa degli scribi […]. Ogni maestro è al suo posto […]. L’ordine dei chierici ti ha per guida, Jesse. La tua parola risuona nella sala, simile al verso del toro, così come conviene al ministro che, dall’alto dell’ambone, legge al popolo di Dio la Parola divina. Poi Sulpicio guida la candida truppa dei lettori: è compito suo condurli e insegnar loro a non spostare gli accenti. Idito educa al canto sacro i fanciulli che imparano come la musica consista nella combinazione di numeri e misure perché con le loro voci facciano sentire dolci armonie. Che mia figlia Gisela contempli di notte le stelle del cielo e apprenda a lodare senza pausa il Dio potente che ornò il firmamento di costellazioni e la terra di verzura. Gli zufoli di Flacco [Alcuino] intoneranno un canto per voi, Omero [Angiberto], quando farete ritorno al sacro palazzo.
in P. Riché, Le scuole e l’insegnamento nell’occidente cristiano dalla fine del V secolo alla metà dell’XI secolo, trad. di Niccolò Messina qui modificata da F. Stella, Roma, Jouvence, 1979
Eginardo
Sugli studi di Carlo Magno
Vita di Carlo Magno
[Carlo Magno] parlava con fluidità e facilità e sapeva esprimere in modo molto chiaro ciò che voleva. Non accontentadosi della sola lingua materna imparò anche le lingue straniere, tra le quali apprese così bene il latino da usare abitualmente e con ugual padronanza sia questa lingua sia quella materna; gli riusciva invece meglio capire che parlare il greco. Egli era così facile di parola da sembrare addirittura prolisso. Coltivò con passione le arti liberali e, pieno di venerazione per chi le insegnava, li colmava di onori. Per lo studio della grammatica egli ascoltò le lezioni del diacono Pietro di Pisa, allora già vecchio; per le altre discipline [ebbe come maestro] Alcuino, soprannominato Albino [anche lui diacono], un sassone della Britannia, veramente coltissimo. Sotto la sua guida spese moltissimo tempo e fatica nell’apprendimento della retorica, della dialettica, ma soprattutto dell’astronomia. Imparava la tecnica del computo e indavaga con estrema curiosità il corso degli astri. Tentava anche di scrivere e aveva l’abitudine di mettere tavolette e foglietti di pergamena sotto i guanciali del letto per approfittare dei momenti liberi per esercitarsi nella scrittura, ma questa applicazione intrapresa troppo tardi ebbe scarso successo.
Eginardo, Vita di Carlo Magno, a cura di G. Carazzali (con correzioni di F. Stella), Milano, Bompiani, 1993
Nato fra il 730 e il 740 nella zona di Deira in Northumbria (Inghilterra centro-orientale) viene affidato dalla famiglia al monastero di York, dove diventa maestro: alla vita di quel luogo Alcuino dedica il più importante dei suoi poemi, il De sanctis Euboricensis ecclesiae (I santi della chiesa di York), narrando con partecipazione personale la storia della città e della sua comunità ecclesiastica, e inaugurando un nuovo genere letterario: l’epica di un’istituzione come itinerario di individuazione dell’identità personale all’interno di un’identità collettiva.
Nella scuola Alcuino assorbe il culto per i libri e la parola scritta, che trasmette poi a tutta la riforma carolingia ripetendo instancabilmente che è la scrittura a comunicare il sapere e unire le persone in un vincolo umano e spirituale. Ed è la valorizzazione della scrittura a creare una rete che collega i tanti monasteri, episcopii, parrocchie, scrittorii, corti e palazzi sorti o restaurati in età carolingia, in uno scambio permanente di libri, doni, informazioni e commissioni. I nodi di questa rete si misurano dalle circa 200 iscrizioni in versi destinate a chiese e abbazie di mezza Europa (fra le quali l’epitaffio per papa Adriano I che ancora possiamo leggere in Vaticano) e dalle quasi 300 lettere che Alcuino ha scritto a oltre 270 destinatari, lettere che restano a lungo un modello di composizione epistolare e ci consegnano il quadro vivo di un’epoca in parte inesplorata.
La corte carolingia
Negli anni di Carlo Magno la corte carolingia, nelle sue sedi mobili (come Aquisgrana, cioè Aachen, o Compiègne), è una specie di accademia internazionale, dove a ondate successive vengono chiamati intellettuali dall’Italia (Paolino d’Aquileia, Paolo Diacono, Pietro da Pisa), dalla Spagna (Teodulfo), dall’Inghilterra (oltre ad Alcuino, Wigbodo e Giuseppe di Exeter), dall’Irlanda (Dungal, Dicuil, Clemente), gettando le basi di quella che sarà chiamata “rinascita carolingia”. Il leader della prima generazione è Alcuino, che per la scuola – la cosiddetta Accademia Palatina – scrive probabilmente i suoi trattati più fortunati (di grammatica, retorica, dialettica, problemi di matematica, forse anche sull’ortografia), e nella scuola forma alcuni dei suoi allievi più importanti, che andranno a dirigere abbazie e vescovati (come Rabano Mauro di Magonza e Arnone di Salisburgo).