FOCUS L’IMPORTANZA DI FERMAT
Cosa fa un matematico? A questa domanda ingenua si risponde di solito che un matematico risolve problemi, inventa teoremi e crea teorie. Sono le opinioni di chi ricorda soprattutto la “matematicuzza” scolastica.
In realtà i (grandi) matematici, come i filosofi, gli scrittori, gli artisti e i riformatori, creano soprattutto strutture di pensiero.
Aristotele ha indirizzato la cultura occidentale per oltre duemila anni, come Shakespeare ha fissato alcune forme della nostra rappresentazione della realtà. Possiamo non aver letto una riga della Fisica o non aver mai visto Romeo e Giulietta, e tuttavia quando studiamo un ragionamento astratto seguiamo le regole fissate nella Grecia antica e quando assistiamo a una storia d’amore al cinema assorbiamo frammenti shakespeariani di cui neppure lo sceneggiatore si era accorto.
Veniamo a Fermat. Nel seguito esamineremo una per una le sue scoperte (compreso un certo teorema scritto nel margine di un libro) e scopriremo l’importanza di una sua formula per lo sviluppo di Internet. Qui, più in generale, vogliamo occuparci del suo ruolo storico. In che modo Fermat ha contribuito a cambiare le nostre concezioni scientifiche? Per capirlo, dobbiamo vedere come si faceva matematica all’inizio del Seicento.
Scordiamoci innanzi tutto delle facoltà di matematica moderne, con i loro corsi specialistici e i grandi professori. Le università scientifiche sono un’invenzione della Rivoluzione francese. Prima di allora, a scuola si imparava quasi soltanto matematica elementare, e i professori erano più che altro degli insegnanti. Ai tempi di Fermat, la conoscenza della matematica avanzata passava per altre vie. Si imparava da un maestro, come nelle botteghe di pittura. Descartes aveva imparato da Isaac Beeckman, Frans van Schooten da Descartes, Christiaan Huygens da van Schooten, Leibniz da Huygens. Fermat, per quanto ne sappiamo, si era formato sui classici e sugli scritti di François Viète.
Anche allora la matematica si suddivideva in diversi rami.
C’era la matematica del far di conto, ovvero la matematica cossista. Il tedesco Coss deriva dall’italiano cosa, che indicava l’incognita in un problema. Era la matematica dei mercanti. Ancora oggi ne troviamo un riflesso nei problemi elementari per le scuole medie, alcuni dei quali sono molto antichi. Fibonacci e il suo Liber abaci (1202), Luca Pacioli e la sua Summa de arithmetica (1494) provengono sostanzialmente dalla tradizione cossista. La risoluzione delle equazioni algebriche di terzo e quarto grado pubblicata da Girolamo Cardano nella Ars magna (1545) ne è il frutto più maturo.
Un altro esempio di matematica applicata era la matematica degli ingegneri. Si occupava di problemi di navigazione, di cartografia, di idraulica di balistica e di fortificazioni. Galileo attinse molto da questa tradizione. Ricordiamo l’inizio dei Discorsi sopra due nuove scienze (1638): «Largo campo di filosofare a gl’intelletti speculativi parmi che porga la frequente pratica del famoso arsenale di voi, signori Veneziani, ed in particolare in quella parte che meccanica si domanda; atteso che quivi ogni sorta di strumento e di macchina vien continuamente messa in opera da numero grande d’artefici, tra i quali, e per l’osservazioni fatte dai loro antecessori, e per quello che di propria avvertenza vanno continuamente per se stessi facendo, è forza che ve ne siano dei peritissimi e di finissimo discorso». Non si può esprimere più chiaramente l’influenza dell’ingegneria sulla speculazione teorica. Infatti il teorico Galileo non disdegnò di costruire compassi, vendere cannocchiali e progettare fortezze.
Le relazioni tra ingegneria e matematica durante la Rivoluzione Scientifica sono ricche di collegamenti imprevisti. Le questioni di cartografia portarono a nuovi problemi geometrici, la pratica dell’idraulica accompagnò la nascita della dinamica teorica. La misura delle grandezze fisiche condusse il fiammingo Simon Stevin all’invenzione dei numeri decimali (1585). La necessità di svolgere calcoli complicati indusse lo scozzese John Napier alla scoperta dei logaritmi (1614).
Esisteva fin dall’antichità una geometria applicata, studiata da artisti e architetti. La scoperta della prospettiva nel Rinascimento condusse l’architetto Girard Desargues, un contemporaneo di Fermat, a creare la geometria proiettiva.
Alla fine del Cinquecento nacque anche l’algebra letterale. La si trova nella Introduzione all’arte analitica (1591) di François Viète. Intendiamoci: in forme diverse, l’algebra esisteva da millenni. La stessa Aritmetica di Diofanto (circa 250 d.C.) può essere descritta come un trattato sulla risoluzione di sistemi di equazioni, in cui i passaggi sono spiegati verbalmente. Viète aggiunse le nostre incognite x e y (lui usava A ed E, ma non cambia nulla) e le regole per la manipolazione delle formule.
Questo ribollire di nuove idee contrasta nettamente con la serena perfezione della geometria ereditata dai Greci. Durante il Cinquecento ci si era poco a poco familiarizzati con i classici antichi. L’umanista italiano Federico Commandino aveva tradotto in latino Euclide, Apollonio, Archimede, Pappo e Tolomeo. Il francese Claude Bachet de Meziriac tradusse in latino la Aritmetica di Diofanto, che tanta parte ebbe nella vita di Fermat.
All’inizio del Seicento era diventato necessario unificare le nuove scoperte e fondarle con un rigore paragonabile a quello degli antichi. La strada per questa rifondazione passava attraverso l’algebra simbolica di Viète.
Fermat, assieme a Descartes, realizzò questo programma. Creò la geometria analitica traducendo Apollonio in relazioni algebriche, delineò le basi del calcolo differenziale e integrale applicando la teoria delle equazioni al problema delle tangenti e l’algebra alle quadrature di Archimede e fondò la moderna teoria dei numeri insistendo sulla necessità di dimostrare algebricamente classi di teoremi. Insomma, cambiò il modo di fare matematica. Se oggi l’algebra ci appare tanto naturale da essere quasi una seconda natura, il merito è di Fermat e Descartes.
L’accettazione dell’algebra letterale fu rapida. Nel 1654, Blaise Pascal raccontava a Fermat di aver dimostrato la relazione
(N + 1)3 – N3 – 1 = 6 (1 + 2 + 3 + … + N)
semplicemente svolgendo i calcoli algebrici. Quando aveva presentato la dimostrazione agli altri appassionati di matematica, la reazione non era stata quella che si aspettava. «Non mi hanno fatto difficoltà – scriveva Pascal – ma mi hanno detto che non me ne facevano perché ormai tutti si sono abituati a questo metodo. Ma io pretendo che non mi si faccia una concessione. Si deve ammettere questa dimostrazione come di un genere eccellente». Secondo il giovane Pascal non c’era modo migliore per provare un teorema. Solo vent’anni prima, l’algebra simbolica cominciava appena ad essere accettata.
Se descriviamo lo sviluppo storico in termini di generazioni successive, la situazione diventa più chiara. La generazione precedente a Fermat aveva come guida quasi soltanto i classici. Fermat e Descartes conoscevano bene i classici ma anche l’algebra letterale. La generazione successiva, quella di Newton e Leibniz, per intenderci, iniziò direttamente leggendo Descartes e Fermat.
A metà del Settecento, gli storici della matematica (già esistevano) riconobbero chiaramente questo succedersi di generazioni. Mancavano i dettagli. Finalmente, negli ultimi anni dell’Ottocento, fu pubblicata l’edizione definitiva delle Opere (Œuvres) di Fermat, compresa la corrispondenza, e gli studiosi ebbero a disposizione tutti i documenti per apprezzare pienamente il suo genio.
Noi citeremo liberamente dalle Opere. Perché, a distanza di tre secoli, la matematica conta quanto gli uomini che l’hanno prodotta.
LE OPERE SCIENTIFICHE
In un’epoca di matematici singolari, Fermat spicca fra gli altri. Noi oggi facciamo fatica a metterci nei panni di un Descartes; a quei tempi, Descartes impiegò mesi per decifrare Fermat.
Fermat pubblicò molto poco, e quel poco gli fu strappato a fatica dagli amici. Per spiegare la sua riluttanza a mettere nero su bianco le proprie scoperte, invocava ironicamente una pigrizia congenita. In realtà il lavoro di magistrato gli lasciava poco tempo, certo non abbastanza per scrivere trattati completi.
Per quanto sia difficile a credersi, Fermat non andò mai a Parigi e non incontrò quasi nessuno dei propri corrispondenti matematici. La sua corrispondenza seguiva la complessa etichetta dell’epoca barocca. Tutte le lettere passavano attraverso il suo amico e collega Pierre de Carcavi, oppure tramite padre Marin Mersenne [matematico, teologo e musicista, che ebbe il ruolo di centro di aggregazione degli scienziati, non solo francesi, dell’epoca – ndr]. Una descrizione accurata degli scambi epistolari di Fermat sarebbe complicatissima. Per scrivere a Descartes, ad esempio, Fermat inviava una lettera a Mersenne, pregandolo di comunicare certe informazioni a Descartes. Il buon Mersenne meditava alcune settimane su cosa fosse opportuno far sapere al suscettibile Descartes, e nel frattempo mostrava la lettera ai suoi amici matematici Gilles Personne de Roberval ed Étienne Pascal (il padre del filosofo), ammiratori di Fermat e nemici di Descartes. La risposta di Descartes seguiva una trafila simile, in direzione opposta.
A causa di questi complicati minuetti epistolari, Fermat si trovò involontariamente coinvolto in una serie di scontri accademici. Bisogna ammettere che il magistrato Fermat si dimostrò piuttosto ingenuo nel valutare a distanza situazioni delicate. Il fatto che avesse quasi sempre ragione non è una scusante.
Sappiamo poco della sua prima formazione matematica. Studiò a fondo i classici della matematica antica, soprattutto Apollonio, Archimede, Pappo e Diofanto. A ben guardare, tutte le sue maggiori scoperte hanno radici nella matematica greca. Conobbe presto l’algebra simbolica di Viète. L’uso di questo nuovo formalismo caratterizza tutte le sue opere.
Conviene dividere la sua attività in periodi. Tra il 1629 e il 1636 lavorò in completo isolamento. Nel 1636, grazie a Carcavi, entrò in contatto con i matematici di Parigi. Tra il 1637 e il 1644 corresse e raffinò le proprie teorie. Per il periodo che va dal 1644 al 1654 abbiamo poche lettere: problemi di salute e complicazioni politiche lo avevano nuovamente isolato. Dal 1654 in poi cercò nuovi contatti all’estero.
La prima lettera che spedì a Parigi lasciò tutti stupefatti. Questo sconosciuto gentiluomo di provincia aveva risolto alcuni tra i più difficili problemi matematici della sua epoca. E, invece di vantarsene, chiedeva se recentemente fosse stato pubblicato qualche libro interessante.
CURVE ED EQUAZIONI
Una delle scoperte con cui Fermat stupì i parigini fu quell’unione di algebra e geometria che, a partire dall’inizio dell’Ottocento, va sotto il nome di geometria analitica.
Lo stupore si ripeté l’anno successivo, quando Descartes pubblicò una teoria molto simile nella Geometria (1637). Non è facile dire chi sia stato il “vero” scopritore. Descartes ebbe l’idea per primo e la diffuse nel mondo, ma Fermat inviò il suo manoscritto a Parigi già nel 1636 e, cosa più importante, il suo sistema è quasi identico al n...