Volta - L'era dell'elettricità
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Volta - L'era dell'elettricità

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In un'epoca di fermento della conoscenza, Alessandro Volta inaugura l'era dell'elettricità, l'ancora poco compreso fenomeno su cui si interrogavano chimici, filosofi naturali, matematici e anatomisti del tempo. Dopo lunghi esperimenti realizza la famosa pila, la prima sorgente di elettricità stabile, continua e disponibile a comando: un'invenzione rivoluzionaria che contribuisce a fondare fisicamente l'elettricità, a unificare fisica e chimica e a mettere a disposizione dell'umanità una delle interazioni fondamentali della natura. Ma il suo contributo non si limita alla pila e agli esperimenti: Volta dà anche la prima formulazione matematica relativa all'elettricità e definisce sperimentalmente l'unità di misura della tensione, poi battezzata volt in suo onore, razionalizzando così la nuova scienza. Infine, è il primo a capire che l'elettricità può, in teoria, essere trasmessa molto velocemente a qualsiasi distanza, aprendo così la strada a una serie infinita di applicazioni (telegrafo, telefono, radio, televisione) che poi l'elettricità avrebbe permesso.

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Informazioni

Editore
Pelago
Anno
2021
ISBN
9791280714794
Categoria
Physique
FOCUS

L’IMPORTANZA DI VOLTA

«Dopo un lungo silenzio, del quale non proverò nemmeno a discolparmi, ho il piacere di comunicarvi, Signore, e attraverso voi alla Royal Society, alcuni risultati impressionanti ai quali sono arrivato perseguendo nelle mie esperienze con l’elettricità eccitata dal semplice contatto reciproco tra metalli di tipo differente, e persino attraverso il contatto di altri conduttori ancora differenti tra loro, sia liquidi, sia contenenti qualche umore, al quale devono propriamente il loro potere conduttore». È il 26 giugno 1800 quando gli occhi di Sir Joseph Banks, presidente della Royal Society, si posano sulle prime parole della nuova lettera del Signor Alessandro Volta, professore di Filosofia naturale all’Università di Pavia e membro della Royal Society.
La lettera Sull’elettricità generata dal mero contatto tra sostanze conduttrici di natura diversa, scritta in francese a Como, nel Milanese il 20 marzo dello stesso anno e da cui è tratto il testo citato, contiene la descrizione della pila elettrica, l’invenzione rivoluzionaria con la quale il filosofo naturale comasco avrebbe contribuito a fondare fisicamente l’elettricità, a unificare sostanzialmente fisica e chimica, a innescare una rivoluzione senza precedenti nella storia della chimica e, in ultima analisi, a imbrigliare e a mettere a disposizione dell’umanità una delle interazioni fondamentali della natura.
La pila di Volta è concepita in un momento storico scientificamente fecondissimo, un periodo in cui, in particolare, illustri sperimentatori e teorici (chimici e filosofi naturali, com’era costume all’epoca definire i fisici) mettevano la testa e le mani in una varietà ancora nebulosa di fenomeni elettrici, al tempo concepiti come evidenze di “diverse elettricità” (l’elettricità da sfregamento o triboelettricità, l’elettricità atmosferica, l’elettricità animale): lo statunitense Benjamin Franklin aveva sperimentato sulla propria pelle la potenza dell’elettricità atmosferica con il suo parafulmine, il francese Charles-Augustin Coulomb aveva pubblicato la propria legge sulla forza elettrostatica a seguito degli esperimenti con la bilancia di torsione, l’inglese Henry Cavendish aveva studiato nel segreto e nel silenzio la composizione dell’aria attraverso combustioni elettriche, gli olandesi Pieter van Musschenbroek e Martin van Marum avevano ideato la bottiglia di Leida, il primo oggetto sperimentale in grado di immagazzinare carica elettrica e di scaricarla in modo potente e roboante, e in Italia Luigi Galvani stava sbalordendo il mondo con gli incredibili movimenti, generati da fenomeni elettrici, che osservava nelle gambe delle rane.
Chimici, filosofi naturali, matematici e anatomisti affrontavano singoli fenomeni elettrici e si interrogavano sulla natura delle elettricità e sulla possibilità di dar loro una base matematica.
La strada della sperimentazione e quella della costruzione teorica ed epistemologica avanzavano con invenzioni tecnologiche e teorie fisico-chimiche spesso in fiera competizione tra loro.
La visione più comune dell’elettricità, all’epoca, era quella di un fluido di tipo newtoniano (secondo, in particolare, le opere del tedesco Franz Aepinus e Henry Cavendish), che agisce nell’attrarre sostanze non elettriche o nel respingere sostanze elettriche e che può essere eccitato per sfregamento, nei mezzi elettrici o conduttori, o per contatto, nei mezzi non elettrici (secondo la categorizzazione che aveva ideato la scuola francese, da Charles-François de Cisternais du Fay a Jean-Antoine Nollet).
La natura di questa forza non era chiara, né era chiara la causa dell’azione della stessa: Aepinus e Cavendish precederanno Coulomb nel parlare di una forza attrattiva agente in modo universale, con una possibile dipendenza dell’intensità della stessa dal quadrato della distanza. Alessandro Volta, nel suo primo scritto a tema elettrico destinato a Giovanni Battista Beccaria, parlerà di una forza attrattiva agente in ragione delle caratteristiche intrinseche dei corpi, ma la distinguerà da una forza propriamente newtoniana, legata alla massa e all’inverso del quadrato della distanza, e sarà sempre attento a non speculare su teorie generali di difficile sperimentazione pratica.
Volta è dunque pienamente parte di questo fecondo momento scientifico, corrisponde e si incontra con i principali scienziati dell’epoca e si pone al centro più o meno volentieri delle principali dispute scientifiche: è attore tenace nella polemica contro gli anatomisti della scuola bolognese di Galvani, propugnatori dell’esistenza dell’elettricità animale (o fluido galvanico), mentre è protagonista riluttante nella disputa tra l’inglese Joseph Priestley, assertore della teoria chimica del flogisto, il principio di infiammabilità che era ritenuto uno degli elementi fondamentali e imponderabili della natura, e Antoine-Laurent de Lavoisier, che arriverà a fondare la moderna chimica degli elementi, priva di flogisto.
L’approccio voltiano al problema filosofico naturale posto dall’elettricità è eminentemente sperimentale.
Lo scienziato comasco insiste infatti sulla via privilegiata delle «mille e variate sperienze», variate per incrementi e approssimazioni successive e ripetute fino ad ottenere un campione significativo di risultati e fino a una soddisfacente resa del suo apparato sperimentale: «Il principale di questi risultati, che si può dire comprenda tutti gli altri, è la costruzione di un apparecchio che assomiglia, per i suoi effetti, ossia per le sensazioni che è in grado di far provare nelle braccia eccetera, alle bottiglie di Leida, e meglio ancora alle batterie elettriche debolmente caricate, che qui però agiscono senza fermarsi o nelle quali la carica, dopo ogni esplosione, si ristabilisce da sé stessa».
La pila gode, nelle parole di Volta, di una carica inconsumabile e di un’azione sul fluido elettrico che è perpetua e rassomiglia, in ultima analisi, all’organo elettrico naturale delle torpedini o delle anguille, una rassomiglianza tale che Volta propone, per la sua invenzione, il nome di «Organo elettrico artificiale».
L’apparecchio è di preparazione e d’uso molto facili: Volta impila dischetti di zinco e di rame (nella versione più comune della sua pila: lo scienziato comasco produrrà diverse configurazioni della propria pila, sia utilizzando metalli diversi, come il piombo e l’argento, sia disponendo i dischetti in una corona di tazze, collegandoli a recipienti pieni d’acqua) delle dimensioni di un pollice o di una moneta, intercalati da dischetti di cartone o di pelle, o di qualsivoglia materiale spugnoso, ben imbevuti d’acqua salata: la struttura della colonna vede, dal basso all’alto, un dischetto di zinco, uno di rame e un «dischetto umido», sopra il quale riprende il posizionamento di un dischetto di zinco, uno di rame, e di un dischetto umido, fino a 20-30 elementi massimo per colonna, onde garantirne il mantenimento in posizione eretta.
Volta osserva sperimentalmente, spesso toccando con le proprie mani, la generazione e il passaggio di elettricità nel proprio apparato sperimentale. Nelle sue parole, discerne l’eccitazione dell’elettricità generata dal contatto tra metalli diversi: la diversità dei metalli instaura un «disequilibrio motore» per il fluido elettrico in essi contenuto e ne permette il passaggio dall’uno verso l’altro. La pila è, dunque, un apparecchio elettromotore, nel quale il contatto tra metalli di natura diversa instaura una tensione in grado di eccitare il movimento dell’elettricità. Volta utilizza in prima persona il termine tensione che, accompagnato dall’aggettivo “elettrica”, sarebbe diventato sinonimo di “voltaggio”.
Quello che Volta aveva creato è una cella galvanica (o cella voltaica, è curioso constatare ancora la coesistenza di questi due termini), il cuore della moderna batteria elettrica, un apparecchio in cui l’energia chimica, legata al diverso potenziale di riduzione dei metalli, a sua volta connesso alla struttura atomica dei diversi metalli e alla capacità più o meno spiccata di cedere o attrarre elettroni da legame, viene convertita in energia elettrica.
Mettendo a disposizione della comunità scientifica, nelle parole della lettera a Banks, «l’apparecchio di cui vi parlo e che senza dubbio vi sbalordirà», lo sperimentatore Volta giunse a dare una svolta fondamentale alle ricerche sull’elettricità e a indurre un cambiamento sostanziale nella tecnologia e nelle teorie scientifiche dell’epoca. E dunque, nelle sue parole in una lettera del 1775 all’illustre chimico Joseph Priestley: «Mettiamolo ormai alle prove, e veggiamo come gli effetti corrispondono alle promesse».

LE OPERE SCIENTIFICHE

La massima parte della produzione scritta di Alessandro Volta consiste in memorie e in lettere: attraverso queste ultime, in particolare, lo scienziato comasco intratteneva relazioni con i principali scienziati e dell’epoca, italiani o “oltremontani”, e con le principali istituzioni scientifiche europee. Nelle Memorie e nella sua notevolissima produzione epistolare è possibile ricostruire passo per passo l’evoluzione del suo pensiero e della sua tecnica: pensiero e tecnica, ragionamento e sperimentazione, sono due aspetti concatenati e impossibili da scindere per lo scienziato comasco, moderno uomo di scienza nella sua visione della prevalenza dell’osservazione della natura e della sperimentazione sulla speculazione. È attribuita ad Alessandro Volta la frase:
IL LINGUAGGIO DELL’ESPERIENZA È PIÙ AUTOREVOLE DI TUTTI I RAGIONAMENTI; I FATTI POSSONO DISTRUGGERE I NOSTRI RAZIOCINII, NON VICEVERSA.
L’attitudine aperta e cordiale di Alessandro Volta, il suo rigore e la sua chiarezza, resero inoltre facilmente leggibile, consultabile e replicabile la sua opera in tutta Europa: in questo senso, Volta non potrebbe essere più diverso da alcuni suoi illustri contemporanei come Cavendish e Priestley, l’uno per la riservatezza estrema, da alcuni ritenuta segno di un’evidente fobia sociale, che lo porterà a non comunicare né pubblicare alcune scoperte rivoluzionarie nell’ambito della chimica e della stessa teoria dell’elettricità, e l’altro per l’attitudine altezzosa e l’approccio dogmatico e teoretico che prevaleva spesso rispetto a una rigorosa sperimentazione.
Volta è uomo di sperimentazioni e di relazioni umane, di invenzioni e di viaggi, che ha dimestichezza nello scrivere in latino, in italiano e in francese, e che coltiva con piacere profondo la possibilità di essere parte del fecondo clima di profonda innovazione della seconda metà del XVIII secolo e dell’inizio del XIX.
Dirà di lui Georg Christoph Lichtenberg, fisico e scrittore dell’Università di Gottinga: «Volta ha una grandissima conoscenza e una grande abilità di farne uso, è sopra ogni cosa un raisonneur, un “uomo di ragione”».
Considerata inoltre l’importanza, la varietà e gli effetti delle invenzioni e delle sperimentazioni di Alessandro Volta, è quindi indispensabile trattare anche gli strumenti inventati dallo scienziato comasco come parte imprescindibile della sua opera, del suo contributo e della sua eredità. La produzione scritta di Alessandro Volta, in particolare per quanto concerne le lettere, è inoltre notevolissima: nel seguito verranno trattate soltanto le principali opere dello scienziato comasco, quelle particolarmente sostanziali per il loro carattere innovativo, o quelle in cui per la prima volta presenti un concetto chiave della sua visione scientifica o uno strumento da lui ideato o perfezionato.
In ordine di tempo, la prima lettera a tema elettrico di Alessandro Volta è quella redatta in latino, nel 1769, e inviata a Giovanni Battista Beccaria, intitolata De vi attractiva ignis electrici, ac phaenomenis inde pendentibus (Sulla forza attrattiva del fuoco elettrico, e sui fenomeni ad esso correlati): in questa memoria epistolare un Alessandro Volta ventiquattrenne prende posizione contro l’affermato professore torinese, a sua volta molto interessato ai fenomeni elettrici, riguardo la natura dell’elettricità, rifiutando il concetto beccariano dell’elettricità «vindice», un concetto che vedeva la «rivendicazione» del proprio fluido elettrico da parte di corpi di diversa elettricità se messi a contatto tra di loro, in una visione preliminare e parzialmente distorta del concetto di induzione elettrostatica.
In questa lettera Volta afferma che tutti i corpi possiedono elettricità («la forza attrattiva del fuoco elettrico»), in proporzione tale da essere in equilibrio elettrico, come dai risultati osservabili a seguito degli esperimenti sullo sfregamento. Quando i corpi sono portati in contatto l’uno con l’altro questo equilibrio muta e se ne instaura uno nuovo (quel «disequilibrio motore» che sarà principio chiave della pila e in generale della teoria elettrica voltiana): una perturbazione dell’equilibrio elettrico avviene durante il progresso dell’azione chimica.
La forza elettrica, per Volta, è una forza connessa alle caratteristiche intrinseche dei corpi e agisce in perpetuo, ma non è newtoniana nel senso di dipendere da una massa e dall’inverso del quadrato di una distanza.
Nel suo scritto a Beccaria, Volta ammette inoltre, da sperimentatore accorto, la necessità di nuovi esperimenti che comprovino la sua teoria, e sostiene che anche l’elettricità atmosferica, studiata da Beccaria stesso e da Benjamin Franklin, debba rispondere alle stesse leggi universali che governano ogni altra forma di elettricità.
È del 1775 la prima lettera di Alessandro Volta a Joseph Priestley, uno scritto che inaugurerà una lunga e feconda relazione di colleganza e amicizia personale tra i due eminenti scienziati. In quest’opera, Volta presenta a Priestley il suo elettroforo perpetuo: «Io vi presento un corpo che una volta sola elettrizzato per brevissim’ora, né fortemente, non perde mai più l’elettricità sua, conservando ostinatamente la forza vivace dei segni a dispetto di toccamenti replicati senza fine».
L’elettroforo perpetuo di Volta, considerato la prima macchina elettrostatica a induzione, si compone di una piastra metallica di ottone (o di legno dorato, o di peltro), definita «scudo» e dotata di un manico isolante, e di una piastra di forma e dimensioni analoghe di materiale non conduttore, chiamata «schiacciata» o «stiacciata» di mastice. Se si carica la stiacciata per strofinamento e si avvicina lo scudo, la prima induce il «fluido elettrico» sulla superficie del secondo: questo procedimento, considerata la natura non conduttrice del mastice, garantisce una grande durevolezza della carica sulla stiacciata, e la possibilità di ricaricare lo scudo «in modo perpetuo». Nelle parole di Volta a Priestley, l’elettroforo descritto conservava la carica, inalterata, da oltre un mese. L’elettroforo, notevole per l’entità e la durata degli effetti elettrici, è un precursore della pila come strumento in grado di immagazzinare e di produrre elettricità.

LA SCOPERTA DEL METANO

Del 1777 sono le lettere di Alessandro Volta Sull’aria infiammabile nativa delle paludi, nelle quali viene presentata la scoperta del metano, riconosciuto da Volta nelle paludi costiere dell’area del lago Maggiore: «La scoperta che ho fatto nel mese di settembre scorso di questa specie di aria infiammabile che si nasconde in quantità prodigiosa sul fondo delle acque dormienti e nel fango delle paludi».
La scoperta del metano è di particolare rilievo per gli esperimenti di Volta sulla combustione delle arie attraverso un innesco di tipo elettrico, in quanto il metano entrerà presto nelle sperimentazioni voltiane, nonché per il contributo di Volta alla stechiometria e alla chimica moderna, nell’approccio quantitativo e incrementale alla sperimentazione in campo chimico e nell’intuizione delle proporzioni definite tra i reagenti in una reazione, o combinazione come si sarebbe detto all’epoca, chimica.
In particolare, negli esperimenti di combustione del metano (con la produzione della sua caratteristica fiamma bluastra) con altre “arie”, Volta nota come una misura di «aria infiammabile» nativa delle paludi bruci completamente da otto a dieci misure di aria, producendo «aria fissa» (anidride carbonica, CO2) e acqua.
Volta mancò di riconoscere l’importanza della produzione di acqua, ma contribuì comunque a fondare la moderna chimica stechiometrica attraverso l’approccio quantitativo alla sperimentazione sulla combustione delle arie.
Interessante è, nuovamente, l’atteggiamento scientifico assolutamente moderno di Alessandro Volta, esplicitato anche negli esperimenti con il metano: la spiegazione data ai fenomeni osservati non è che la più plausibile, considerati i dati osservativi, ed è di per sé falsificabile, ossia è vera sino a prova contraria.
Gli esperimenti sulla combustione delle arie, e la particolare attenzione di Alessandro Volta alla «respirabilità» delle arie, condussero lo scienziato comasco a perfezionare l’eudiometro, strumento dedicato allo studio della salubrità o respirabilità delle arie.
Strumenti analoghi all’eudiometro voltiano erano già utilizzati da Joseph Priestley stesso e dal chimico Marsilio Landriani, ma la struttura moderna, nonché l’effettivo utilizzo sperimentale e l’innesco elettrico dell’eudiometro si devono ad Alessandro Volta.
Diverse sono le configurazioni dell’eudiometro studiate e sperimentate dallo scienziato comasco, ma nella sua struttura più comune l’eudiometro è costituito da un tubo di vetro, con un’imboccatura chiusa da un turacciolo di mastice attraverso cui penetrano due elettrodi ed una aperta posta in un recipiente conte...

Indice dei contenuti

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Il fermento della conoscenza
  6. PANORAMA
  7. FOCUS di Gianluca Lentini
  8. APPROFONDIMENTI
  9. Piano dell'opera