Keplero - Il cosmo come armonia di movimenti
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Keplero - Il cosmo come armonia di movimenti

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A Keplero si devono le famose tre leggi che descrivono il moto dei pianeti. Mettendo a frutto la mole di osservazioni astronomiche ereditate dal suo maestro e predecessore Tycho Brahe, l'astronomo tedesco scopre la forma ellittica (e non perfettamente circolare) delle orbite, la velocità di movimento intorno al Sole e il rapporto tra periodo e distanza dal Sole che caratterizza il moto dei pianeti. Supera l'antica descrizione delle orbite come elementi solidi e considera il Sole non come un punto geometrico, ma come un corpo celeste capace di influenzare le orbite dei pianeti, mossi da una forza che sarà Newton, in seguito, a comprendere appieno con la legge di gravitazione universale. Al crocevia tra scienza moderna, filosofia e religione, Keplero cerca nell'astronomia le tracce dell'armonia divina che pervade ogni aspetto della creazione, e fa dialogare fra loro fisica, astronomia, matematica e perfino teoria musicale: senza però subordinare mai alla sua visione filosofica del cosmo i dati derivanti dall'osservazione scientifica.

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Informazioni

Editore
Pelago
Anno
2021
ISBN
9791280714947
FOCUS

L’IMPORTANZA DI KEPLERO

Sin dai tempi della scuola abbiamo incontrato tre leggi che raccontano di pianeti in moto intorno al Sole: le “leggi di Keplero”. In realtà, nel caso in cui si possano trascurare le influenze di altri corpi, le leggi valgono per qualsiasi coppia di corpi dotati di massa, di cui uno abbia massa trascurabile rispetto all’altro. Perciò esse non riguardano soltanto i corpi celesti, anche se gli esempi più classici di applicazione sono le lune in moto intorno ai propri pianeti o i satelliti artificiali intorno alla Terra.
Il linguaggio in cui ancora oggi le studiamo in realtà è una sorta di fossile culturale. Ci racconta il modo in cui sono state scoperte, appunto studiando il moto dei pianeti, e la principale attività dello scienziato che le ha scoperte, l’astronomia.
L’ordine con cui le conosciamo oggi si è consolidato a partire dalla fine del Settecento. In realtà Keplero scoprì dapprima la cosiddetta seconda legge, poi la prima e infine, molti anni dopo, la terza. Ma, come lo stesso Keplero aveva compreso, la legge nota come seconda non era giustificata se non ammettendo orbite ellittiche (la prima legge) e per questo motivo storicamente l’ordine delle due leggi fu invertito. Qui le presenteremo nell’ordine che conosciamo. Le prime due leggi furono pubblicate all’interno dell’Astronomia nova nel 1609, mentre la terza apparve solo un decennio più tardi nell’Armonia del mondo, un’opera in cui l’astronomia è affrontata a fianco di teorie armonico-musicali.

I legge: Un pianeta in orbita intorno al Sole percorre traiettorie ellittiche, di cui il Sole occupa uno dei due fuochi

La prima legge di Keplero descrive la forma dell’orbita. Fin da Aristotele gli studiosi di astronomia ritenevano che i corpi celesti, nel loro moto eterno e immutabile, dovessero percorrere orbite perfettamente circolari, essendo il cerchio la forma perfetta, immagine del divino e adatta pertanto ad abitare i cieli. Quando le osservazioni mostrarono che i pianeti non “ubbidivano” a tale precetto, pur di non rinunciare ad una forma tanto semplice e ideale avevano introdotto gli epicicli, combinazioni di più cerchi in moto uno sull’altro, una struttura complicata ma in grado di fornire previsioni ragionevolmente accurate sulla posizione che un pianeta avrebbe occupato in una determinata data. Gli stessi Copernico e Galilei, pur protagonisti della nascita dell’astronomia moderna, non seppero mai rinunciare alle orbite circolari.
Il giovane Keplero ebbe invece la fortuna, come primo incarico astronomico, di essere posto di fronte al problema del moto di Marte, il pianeta che più di ogni altro sembrava non seguire le regole aristoteliche. Non solo la sua orbita non è propriamente circolare, ma oltretutto esso compie in cielo una vera e propria danza, cambiando anche periodicamente il verso del moto così da disegnare come dei cappi, in quello che viene detto moto retrogrado. Keplero osa compiere una vera e propria rivoluzione: decide di rinunciare a una forma ideale da applicare a priori al moto del pianeta, per lasciare che siano le osservazioni, i calcoli e la geometria a rivelare quale sia la curva effettivamente percorsa. Alla ricerca della forma corretta, egli si avvicina alla soluzione approssimandola con i più disparati tentativi, tra strani ovoidi e quelle che egli chiama le «vie paffute».
Dopo interi anni passati a scrivere «se solo fosse un’ellisse…», ha infine l’illuminazione decisiva: tutte le misure osservative prese per Marte vanno corrette, perché anche noi, dalla Terra, lo osserviamo come astronauti, spostandoci nello spazio non su un cerchio perfetto ma a nostra volta su un’ellisse.
Corretti i dati, a Keplero si mostra l’ellisse di Marte, che apre la strada da lì a poco alle ellissi degli altri pianeti e delle lune di Giove.
Anche la posizione del Sole viene determinata dalla prima legge di Keplero. Nel sistema di Copernico il Sole aveva preso il posto della Terra al centro del cosmo. Ma già Copernico si era accorto che le osservazioni non concordavano con precisione. Al centro del suo cosmo aveva perciò messo il Sole medio, ovvero un punto matematico attorno al quale il Sole vero sembrava oscillare. Keplero, che desidera costruire una fisica dei cieli, riprende a considerare il Sole vero, scoprendo che, se l’orbita è un’ellisse, il Sole si trova in uno di quei due punti che definiscono matematicamente l’ellisse, e che proprio lui battezza “fuochi”. Il protagonista del sistema solare diviene quindi il Sole vero e proprio, con la sua massa. Pertanto la distanza di ciascun pianeta dal Sole non è un valore costante, ma varia da un minimo (e si dice che il pianeta è al perielio) a un massimo (e si dice che il pianeta è all’afelio).
Sarà poi Newton a mostrare come questa legge si possa dedurre dalle leggi della meccanica classica. In particolare, possiamo mettere in relazione la prima legge di Keplero con la conservazione della quantità di moto del sistema.

II legge: Il raggio vettore che unisce un pianeta al Sole spazza aree eguali in tempi eguali

La seconda legge di Keplero descrive la velocità con cui un pianeta si muove intorno al Sole. Secondo l’astronomia aristotelica il moto eterno ed immutabile dei pianeti avveniva con un movimento regolare e costante. Anche in questo caso già le osservazioni antecedenti a Keplero avevano evidenziato come i pianeti non rispettassero questo principio. Per non abbandonare un sistema coerente e radicato, gli astronomi avevano introdotto un nuovo complicato oggetto: l’equante. Se il moto non si mostrava regolare rispetto al centro dell’orbita, essi avevano ipotizzato che esistesse almeno un punto, l’equante, rispetto al quale lo fosse, almeno relativamente alla scarsa approssimazione delle osservazioni dell’epoca.
Keplero, sempre nel tentativo di dare conto dell’orbita di Marte, decide di rinunciare all’ipotesi del moto uniforme, tanto semplice quanto arbitraria e falsa.
È come affrontare un tunnel oscuro e sconosciuto. Se si ammette un moto regolare, è piuttosto semplice prevedere dove si troverà un oggetto dopo un dato intervallo di tempo. Ma se si accetta che il moto sia variabile, allora il problema diventa molto più complicato. Anche perché Keplero non ha a disposizione né le leggi della dinamica classica, né la matematica differenziale. Dalla sua ha solo i dati dell’astronomo danese Tycho Brahe, un vero e proprio tesoro. Utilizzando una tecnica rubata ad Archimede, che consiste nel dividere in sottili fettine il percorso compiuto dal pianeta, Keplero mima i moderni concetti di limite e di integrale e arriva a scrivere quella che oggi chiamiamo seconda legge. Come si è accennato, in realtà essa è stata la prima ad essere scoperta, ma Keplero dimostra che è valida solo nel caso di orbite ellittiche, e quindi arriva a considerarla una legge vera e propria solo dopo che ha scoperto che l’orbita è proprio una ellisse, cioè dopo aver individuato l’altra legge.
La seconda legge di Keplero dice che le aree spazzate in intervalli di tempi eguali sono eguali. Quando il pianeta è vicino al Sole, il raggio vettore è più corto e per spazzare una determinata area percorrerà una certa distanza. Quando il pianeta è invece più lontano, il raggio vettore è maggiore e per spazzare un’area equivalente dovrà percorrere una distanza minore. Se nello stesso intervallo di tempo percorre una distanza minore, significa che la sua velocità è minore. Ecco allora cosa ci dice la legge: il pianeta non si muove con una velocità costante, ma accelera quando è più vicino al Sole e rallenta quando ne è distante.
Possiamo mettere in relazione la seconda legge con la conservazione del momento angolare (quel principio fondamentale della fisica per il quale quando una pattinatrice stringe le braccia aumenta la sua velocità di rotazione). Inoltre, essa è una conseguenza del fatto che la forza gravitazionale, responsabile delle orbite dei pianeti attorno al Sole, è una forza di tipo centrale, diretta verso il Sole e dipendente dalla distanza da esso.
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III legge: Il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta è proporzionale al cubo della sua distanza media dal Sole

La terza legge individua la relazione tra la distanza di un pianeta dal Sole e il suo periodo, cioè il tempo che un pianeta impiega per compiere un intero giro attorno al Sole. Sin dall’antichità si era cercata una legge che regolasse la dipendenza tra questi due parametri, tenendo conto che, a mano a mano che ci si allontana dal centro, il percorso da compiere cresce. Eppure nel sistema tolemaico, con la Terra immobile al centro, c’erano ben tre corpi celesti, il Sole, Mercurio e Venere, con lo stesso identico periodo di un anno.
Nel suo capolavoro, il De Revolutionibus orbium coelestium, Copernico aveva sottolineato che invece nel sistema da lui proposto i periodi crescevano con le distanze. Ma la legge esatta con cui i parametri crescevano non era semplice da trovare. Intanto perché finché la Terra è ferma al centro del Sistema solare risulta impossibile misurare le distanze dei pianeti.
Solo con una Terra che come un’astronave può spostarsi nel cielo, l’astronomo può compiere osservazioni in momenti e posizioni differenti e, con la potenza della geometria e del calcolo, ricostruire le distanze assolute.
Inoltre la relazione cercata non è una proporzionalità diretta, ma una dipendenza con un inedito esponente frazionario, che la matematica di allora ancora faticava a gestire. La ricerca richiese a Keplero oltre vent’anni di duro lavoro, una fiducia incrollabile che una simile legge dovesse esistere, l’utilizzo di modelli ai nostri occhi poco scientifici, la mole di dati sperimentali di Tycho Brahe. Keplero la pubblica nel testo l’Armonia del mondo (Harmonices Mundi), perché ai suoi occhi la legge riassume l’intero suo progetto di raccontare attraverso leggi e proporzioni l’armonia dei fenomeni naturali. E l’armonia è celata proprio in quello strano esponente, 3/2, lo stesso rapporto con cui i Pitagorici avevano costruito la scala musicale. La terza legge, come la scriveva Keplero, è:
T = kR3/2
dove T è il periodo di rivoluzione di un pianeta, R è la distanza media del pianeta dal sole e k una costante che dipende dal corpo celeste attorno al quale avviene l’orbita (e che lo stesso Keplero calcolò).
Oggi la scriviamo in una forma leggermente diversa, ma perfettamente equivalente:
T2/R3 = k

LE OPERE SCIENTIFICHE

IL MISTERO COSMOGRAFICO

Il primo libro di Keplero presenta un modello cosmologico molto originale. Il titolo, Mistero cosmografico (Mysterium cosmographicum – 1596), significa Mistero sulla forma del mondo e lo scopo dell’autore è proprio quello di svelare per quali cause il sistema solare abbia una certa struttura e non un’altra. Basato sui solidi regolari, il suo modello è denso di significati ed influssi filosofici e per questo motivo di primo impatto appare poco scientifico al lettore moderno. Ad un esame meno superficiale emergono però aspetti davvero significativi nel percorso verso la scienza moderna, quali la scelta del sistema copernicano, l’importanza assegnata alla massa nel modello del sistema solare, la ricerca di una corrispondenza tra modello teorico e dati sperimentali. Keplero resterà legato a quest’opera per l’intera vita tanto che, vent’anni più tardi, dopo aver fatto carriera e scritto i suoi lavori più significativi, si preoccuperà di stilarne una nuova edizione nel 1621.
Il Mistero viene alla luce a Graz, quando Keplero è ancora un giovane supplente. I sogni del brillante allievo della facoltà di Tubinga sono stati appena stravolti: a poche settimane dal conseguimento del prestigioso titolo di teologo, il giovane studente è stato mandato come supplente di matematica in una scuola superiore, a dieci giorni di viaggio dalle terre in cui aveva sempre vissuto e senza una precisa prospettiva per il futuro.
La scuola dove insegna consente agli studenti di scegliere i corsi da seguire e non sono molti quelli che si avventurano nel corso di matematica. Nelle molte ore libere, Keplero si interroga sulla struttura del cosmo, con gli strumenti culturali ed intellettuali che gli hanno fornito gli anni di Tubinga. Alla facoltà di teologia egli ha assorbito l’idea di un Dio che è armonia, che per realizzare la propria creazione utilizza la geometria e che con le stesse proporzioni regola i cieli, l’uomo e i fenomeni naturali. Keplero è deciso a rintracciare queste proporzioni, queste leggi, come impronte della sua creazione.
In particolare, è interessato a due ambiti, quello astronomico e quello musicale. E le domande che si pone sono simmetriche. Keplero vuole dimostrare perché esista un ben preciso numero di consonanze in musica (ovvero di combinazioni di note che suonate insieme provochino una sensazione piacevole all’udito) e perché quelle note vengano prodotte quando il dito sulla corda viene premuto a precise distanze dal capotasto. Contemporaneamente, si chiede perché esistano proprio sei pianeti (questo era il numero dei pianeti noti allora: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove e Saturno) e perché essi si trovino a precise distanze dal centro del cosmo.
Ci accorgiamo subito che dal nostro punto di vista, immersi nella meccanica newtoniana, queste ultime domande risultano prive di significato. Eppure, nelle mani di Keplero, esse si trasformano in armi di una potenza straordinaria. In quegli anni l’astronomia viene concepita semplicemente come la scienza capace di scandire il tempo. Per questo motivo, un modello cosmologico viene considerato alla stregua di uno strumento tecnico per effettuare i calcoli, e non come una reale rappresentazione del cosmo.
Le domande di Keplero, al contrario, esigono una scelta tra i diversi sistemi cosmologici, ed implicano la ricerca di connessioni di causa-effetto a cui attribuire i fenomeni.
È lo stesso Keplero a raccontarci la folgorazione decisiva, nel luglio 1595. Keplero si trova in aula e sta spiegando ai suoi alunni il fenomeno periodico delle congiunzioni tra Giove e Saturno, quando si accorge di aver disegnato sulla lavagna una figura geometrica molto particolare. Si tratta di una serie di triangoli equilateri intrecciati fittamente, che vanno a individuare due cerchi, uno inscritto ed uno circoscritto. Se si immagina che la circonferenza interna corrisponda all’orbita di Giove e quella esterna a quella di Saturno, allora forse il triangolo equilatero è la figura geometrica che regola la proporzione tra le orbite dei due pianeti.
A differenza degli astronomi precedenti, Keplero non crede più che le orbite siano veri e propri gusci sferici solidi, che permettono ai pianeti, come pietre preziose incastonati al loro interno, di rimanere sospesi nei cieli. Ma, in un mondo ancora sprovvisto del concetto di forza e di inerzia, cosa poteva costringere un corpo celeste in una certa posizione? Ecco che forse la geometria, le sue figure regolari, possono costruire un’impalcatura, non più concreta ma metafisica, che sostenga le orbite dei pianeti in cielo e ne giustifichi numero e dimensioni.
In quegli anni le figure regolari, ovvero con tutti i lati eguali, inscritte nel cerchio hanno risonanze filosofiche e matematiche molto importanti. Dal punto di vista filosofico, Keplero si rifà alla metafora del suo «divino Cusano», il filosofo tedesco Nicola di Cusa (Nikolaus Chrypffs) che nel XV secolo aveva paragonato i poligoni regolari inscritti alla conoscenza umana che sempre più cerca di approssimare la sapienza divina, rappresentata dal cerchio. Dal punto di vista matematico, il problema dell’approssimazione del cerchio con una successione di poligoni inscritti è detto quadratura del cerchio.
Keplero inizia ad approfondirne lo studio ed è entusiasta quando, dalle relazioni tra quelle figure, riesce ad elaborare un modello che funziona in ambito musicale. Ma l’euforia scompare quando, provando ad applicarlo in campo astronomico, scopre che l’idea non si rivela altrettanto efficace. Le figure piane regolari sono infinite: con quale regola è possibile selezionarne solo cinque, a determinare gli intervalli tra le orbite dei sei pianeti?
La soluzione non tarda a venire. Keplero osserva che, poiché i pianeti si spostano in uno spazio tridimensionale, basterà considerare i solidi regolari, al posto delle figure. I solidi regolari sono chiamati anche platonici perché Platone nel Timeo li considerava gli atomi costituenti della materia. Essi da sempre avevano incuriosito i ...

Indice dei contenuti

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Il filosofo realista
  6. PANORAMA
  7. FOCUS di Anna Maria Lombardi
  8. APPROFONDIMENTI
  9. Piano dell'opera