Omaggio al Rojava
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Omaggio al Rojava

Il fronte siriano, la rivoluzione confederale e la lotta contro il jihadismo raccontati dai combattenti internazionali YPG

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Omaggio al Rojava

Il fronte siriano, la rivoluzione confederale e la lotta contro il jihadismo raccontati dai combattenti internazionali YPG

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Informazioni sul libro

Arrivano nella Siria del Nord da ogni parte del mondo per contribuire — qui e ora — a quella causa che eternamente si batte per cambiare lo stato di cose presente.
Sono i combattenti internazionali delle Ypg: le milizie popolari divenute celebri in occidente per essere riuscite a opporre all’avanzata dell’Isis una forza in grado di ricacciare la marea nera dello jihadismo ben oltre i confini del Rojava.
Nella vita “precedente” erano persone diverse: studenti, lavoratori del braccio e del pensiero, precari di un Occidente che affoga nelle sue contraddizioni e giovani che lo stesso Occidente sembra escludere da qualunque ruolo.
Al servizio di un’idea — di più, di un’utopia concreta — hanno messo la loro stessa vita, a volta perdendola in battaglia.
In questo libro rendono la loro testimonianza. Affinché accanto alle parole fascismo, sessismo, razzismo, sfruttamento senza limiti dei territori e delle risorse naturali, oppressione di classe e assassinio della democrazia reale, costruita e vissuta dal basso, si possa finalmente scrivere «mai più».

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788867183234
Argomento
Storia

KARKER, GERMANIA (YPG)

La lenta vita del fronte

Seduto qua in Germania mi chiedo da dove cominciare a scrivere sulla mia esperienza nelle Ypg dopo che un amico che ho incontrato laggiù mi ha chiesto di contribuire a questo libro.
Potrei cominciare da vari momenti. Io che guardo Jordan Matson, il primo straniero volontario che ha ricevuto parecchia attenzione dai media, in un documentario online potrebbe essere un esempio.
Essere ansioso di finire il mio servizio militare volontario ma non così ansioso di andare all’università nonostante sembrasse abbastanza logico da fare, così che c’è voluto un secondo per pensare “voglio fare anche questo”.
Fu all’inizio del 2015. Pochi mesi più tardi avevo finito il mio servizio militare e un mese dopo stavo a Sulaymaniyah, una città del Kurdistan del sud. O Iraq del nord. Dipende a chi chiedi. A quel tempo veniva molta più gente come me per unirsi alle Ypg. Spesso ispirata dai racconti di chi già si era unito nella lotta contro Daesh. Si può dire che gli stranieri nelle Ypg possono essere divisi in tre categorie.
Naturalmente ci sono ex soldati. E naturalmente persone spinte da motivi politici che vogliono supportare la rivoluzione. Ma anche persone senza esperienza militare o motivazioni politiche.
«Qualcuno dovrà pur combattere l’Isis. Potrei benissimo essere io» è stata la frase che ho sentito da un altro volontario. Questa può essere usata per sommare le motivazioni di tante persone andate là.
E di qualunque gruppo facessimo parte, abbiamo avuto qualcosa in comune. Parecchi di noi avevano strane biografie o erano insoddisfatti delle loro vite. Non che ci fosse sempre qualcosa da cui scappare ma spesso non c’era molto da tenere nei posti dove eravamo prima. Almeno dalle nostre prospettive.
Sebbene ci sia stata gente che scappava dal suo Paese perché aveva problemi con la legge, parecchi avrebbero potuto vivere una vita normale. Suppongo che qualcuno semplicemente voleva fare qualcosa di significativo. O volevano solo combattere. Ci sono tante differenti ragioni per unirsi alle Ypg.
E a quel tempo lasciavano che chiunque si unisse. Bastava solo inviare loro un messaggio sulla loro pagina Facebook, volare fino a Sulaymaniyah e ti avrebbero portato alla fine al di là della frontiera. Sì, una pagina Facebook. Non chiedevano molto. Dopo aver detto chi fossi e che volevo arruolarmi l’unica domanda fu se ero d’accordo di non stare per poco tempo. Dovevi anche firmare un contratto riguardo allo stare non meno di sei mesi nelle Ypg. Parecchia della gente che venne non fece neanche quello. Problemi di lingua, cattive condizioni di vita e naturalmente l’incertezza di vedere dell’azione hanno fatto mollare tanta gente. E le Ypg non li hanno fermati. Parecchi invece sono rimasti, hanno fatto i loro sei mesi o più, sono tornati a casa per una pausa e ritornati. In alcuni casi parecchie volte. Alla fine sarei rimasto più di un anno, incluso il tempo per attraversare illegalmente la frontiera. Ma non era quello che mi aspettavo all’inizio. Un anno è tanto tempo e mi potrei concentrare su tante cose. Ma mi concentrerò su un periodo di tempo all’inizio del 2016.
Alla fine del 2015 le Ypg presero la diga di Tishrin e la città vicina. Anche se non significava che avessimo preso parecchio terreno, era comunque molto importante perché significava che le Ypg erano seriamente intenzionate a connettere i cantoni di Cizre, Kobane e Afrin. Ho anche partecipato a quell’operazione. Fu piuttosto veloce e a sorpresa Daesh non fece molta resistenza. I miei sei mesi stavano anche per finire. La situazione era simile per parecchi degli altri stranieri del mio gruppo. Ma diversamente da molti altri mi sentivo come se non avessi fatto abbastanza. «È stato preso terreno. Solo che non avevamo molto da farci» aveva detto un altro straniero, nome di battaglia Cudi. Mi aveva anche detto che chi viene coinvolto in combattimento e chi no è spesso determinato da fattori casuali. E siccome non potevo influenzare ciò, dovevo semplicemente non pensare che fosse colpa mia.
Nonostante vedessi che quello che diceva era ragionevole, non cambiava il fatto che volessi fare di più. Così ho deciso di rimanere e ho chiesto di essere assegnato a qualche unità del cantone di Kobane che avrebbe magari partecipato alla successiva hamle, che è la parola kurda usata per le grandi operazioni nelle quali si prende terreno. Il modo normale di farlo sarebbe stato andare in un posto vicino Qaratcho.
Anche la totalità di noi, chi entrava e chi lasciava il Paese, stava ammucchiata là. La parte ideologica non fu fatta per il mio gruppo. Non avevano trovato qualcuno che parlasse inglese abbastanza bene da spiegare concetti politici. E dire «capitalism is not good» con quell’accento al mio gruppo sarebbe stata abbastanza una perdita di tempo. Ad ogni modo dovevamo andare là ma non pensammo fosse una buona idea. Così decidemmo di chiedere in giro. Allora la persona responsabile per gli stranieri nel cantone di Kobane, un americano chiamato Aghid, venne e mi disse che potevo unirmi all’unità mobile che volevo. Non ci ho pensato su molto, ho acchiappato la mia roba e sono montato in macchina.
Come tante altre volte in Rojava, mi portarono in una casa in un villaggio vicino l’Eufrate, che veniva usato come magazzino per i rifornimenti di cibo o bombole di gas. Molti camion venivano da là ogni giorno. La gente non aveva idea di chi fossi e dove dovessi andare. Questo è il punto in cui dovrei spiegare come avviene un trasferimento in un’altra unità normalmente.
In pratica vieni mandato con un piccolo pezzettino di carta chiusa con del nastro adesivo, così nessuno può aprirlo senza che si noti. Poi vai a una navenda, una specie di caserma dietro al fronte. Consegni la tua nota che contiene informazioni su di te, e basandosi su queste sarà deciso cosa succederà.
Normalmente vai in un nuovo tabur, un’unità di circa 30 o 40 persone sparse tra differenti nokte, che significa basi, su un fronte statico o in movimento. Almeno così dovrebbe succedere. Per me successe diversamente. Non avevo una nota. Aghid mi aveva solo messo in macchina.
Comunque, mentre in altri Paesi e corpi militari stare da qualche parte senza documenti, buona conoscenza della lingua o un’idea di dove sei e dove devi andare sarebbe una situazione abbastanza infelice, in Rojava e nelle Ypg era molto diverso. Con il poco kurdo che conoscevo e un libricino di lingua provai a spiegare che dovevo andare al fronte. Il comandante del punto logistico, un uomo anziano e rilassato con i tipici baffi usò la sua radio per chiedere in giro e mi inviò in un altro punto giù verso il fiume. Ci volle qualche giorno che passò bevendo çay e provando a parlare con le altre persone della nokta. Non riesco a contare quante volte la gente là mi chiedeva da dove venissi e da quanto tempo stavo in Rojava e quanto mi piacesse. La cosa si è ripetuta un po’ di volte fino a quando ho raggiunto una navenda a Tishrin che era il centro del piccolo lembo di terra a ovest dell’Eufrate che le Ypg avevano conquistato nell’ultima operazione. La casa aveva bei mobili sui quali i nuovi abitanti avevano messo bandiere delle Ypg e Ypj e anche foto di Abdullah Öcalan. Era a sud dell’area controllata dalle Ypg e si potevano vedere le colline dove le Ypg avevano la loro postazione avanzata. Come nelle precedenti tappe sul mio cammino verso il fronte chiesi al tipo vicino a me, che sembrava sapesse qualcosa, se potevo essere assegnato a qualche unità. Mi disse di aspettare fino a che un tipo chiamato Dersim che era chepe comitan , tradotto alla buona “comandante del fronte”, si fece vedere. Il giorno seguente della gente venne alla navenda . Tra loro c’erano alcuni comandanti di tabur e di fronte. Uno di loro era un uomo sulla quarantina con tipici baffi che mi avevano detto essere heval Dersim. La parola heval è un mix di “compagno” e “amico”.
Sono sicuro di non dover spiegare che significa questa parola. Qualcun altro in questo libro dovrebbe averlo fatto. Quando tutti quanti si erano seduti per cena semplicemente andai da lui e spiegai la mia situazione, con il kurdo che conoscevo e i piccoli miglioramenti degli ultimi giorni. Come tante altre volte prima mi chiese da dove venivo e così via. Quando chiesi di essere assegnato a un tabur disse qualcosa del tipo «ti puoi unire al tabur di heval Piling, è quello là». Heval Piling era un uomo sulla trentina con la pelle e i capelli molto più chiari degli altri curdi nella stanza, poteva essere scambiato facilmente per un europeo. Quando ricevette il messaggio che la nuova aggiunta al suo tabur sarebbe stato un tipo dalla Germania di poco più di venti anni che sembrava più giovane di quanto lo fosse e non parlava kurdo molto bene, sembrò abbastanza ottimista. Era come dire «ok, dai, ti puoi unire al mio tabur». Parlammo del servizio militare nel mio Paese, mi chiese se ero stato in qualche combattimento in Rojava, e quanto addestramento avevo ricevuto dalle Ypg. Risposi che non avevo molta esperienza in combattimento.
Mi avevano sparato a volte, anche con dei mortai, ma fino ad allora non ero arrivato vicino a nessun nemico. A parte quelli morti, non ne avevo mai visto uno. Quelli che avevo visto sembravano sempre gli stessi. Tizi barbuti, più grassi che magri, pieni di buchi di proiettile o devastati dagli attacchi aerei.
Allora mi chiese se conoscevo Ashti, che veniva dagli Usa. Un mio amico che venne in Rojava nel mio stesso periodo e stava nel mio gruppo d’addestarmento. Quando risposi che lo conoscevo Piling chiamò la nokta di Ashti e mi fece parlare con lui. Era bello parlare con qualcuno di familiare.
Parlammo di cosa avevamo fatto dall’ultima volta che ci eravamo visti quattro o cinque mesi prima. A differenza mia era stato in un tabur tutto kurdo per la maggior parte del tempo e aveva imparato la lingua abbastanza bene.
Sfortunatamente quando la hamle di Tishrin cominciava qualcuno comandò che la sua unità non partecipasse. Rispettarono l’ordine e dissero che erano solo venuti ad allenarsi. Ma dal momento che solo i combattenti più giovani e con meno esperienza rimasero ad aspettare, vide che non era vero e montò sul retro della Toyota che partiva per il fronte comunque. Semplicemente rifiutò di rimanere e allora lo lasciarono partecipare. Ora, la ragione per la quale qualcuno aveva detto che lui non doveva partecipare non è perché Ashti era visto come non adatto per il compito o perché non parlava abbastanza bene la lingua. Ma ci arriverò dopo. Ad ogni modo a me non successe, l’intera vicenda era probabilmente per vedere se ero affidabile. Così, dalla loro prospettiva probabilmente era strano. Ma il Rojava e le Ypg erano e probabilmente ancora sono in qualche misura posti caotici dove devi solo fare del tuo meglio, e non semplicemente seguire le regole, che peraltro spesso non sono realmente osservate. Questo tipo non ha unità? Non parla kurdo molto bene? Ma sembra a posto e Ashti, questo altro straniero che sta facendo bene qui, lo conosce. A posto, non è che abbiamo troppa gente in questo momento, così perché non lo lasciamo unirsi a noi? Era già scuro e mi avevano mostrato una piccola luce su una grande collina, a sud, qualche chilometro più avanti. C’erano dei proiettori improvvisati che stavano sul fronte sulle posizioni avanzate. È dove stiamo andando, mi dissero. La stessa notte stavo seduto ancora in una Toyota. Guidammo fino a una posizione sulla collina. C’erano prevalentemente Ypj, che significa combattenti donne, là sopra. Allora Piling mi diede un piccolo sommario della situazione. Guardavamo a sud. Prima di noi e alla nostra sinistra c’era un’altra collina, direttamente sull’Eufrate, con una postazione del nostro tabur . Prima di noi e alla nostra destra c’era un’altra collina con una postazione. Quello era un altro tabur . Nella landa piatta tra la nostra collina e la loro c’era una coppia di case anch’esse occupate dal nostro tabur . C’era anche una piccola postazione sul fondo della nostra valle, molto vicina alla costa del fiume.
Naturalmente l’intera spiegazione durò un po’ di tempo a causa di problemi di lingua.
La prima notte non feci il nubat, che significa turno di guardia. Infine andai a dormire nella camera da letto degli uomini. Vale la pena ricordare che l’area che il mio tabur sorvegliava era piena di rovine di tempi antichi. Nella postazione in cui ero c’erano due entrate per grandi camere le quali potevano essere state cantine di qualche costruzione più grande che probabilmete stava là da migliaia di anni. Sembravano una sorta di caverne. Ora venivano usate come dormitori e magazzini per i rifornimenti.
Il giorno seguente andammo alle altre nokte del nostro tabur, inclusa quella sul fondo della nostra collina. Piling visitò la sua postazione per controllare tutti e mi portò con lui. Incontrai il tabur che consisteva in 24 persone, me incluso. Visitai anche la postazione in fondo alla collina, gli alloggi erano completamente inseriti in altre rovine che sembravano un misto di grotte e qualcosa costruito dagli umani molto tempo fa. Quando ci sedemmo insieme per il çay Piling mi chiese se mi piecesse quel posto. Dissi che era abbastanza bello e al contrario di dove eravamo stati prima le due colline sul fiume che tenevamo erano abbastanza gradevoli all’occhio. Gran parte del Rojava consiste solamente in un’infinita landa piatta che non sembra finire, interrotta solamente da villaggi occasionali nel mezzo del nulla. Per qualche ragione mi chiese anche in quale postazione volevo stare. La prima risposta che diedi fu che non mi importava realmente. In qualche modo fui assegnato alla postazione sulla cima della collina che era vicina all’Eufrate.
La vita divenne quella che era più o meno ovunque, su tutti i fronti statici. Eravamo circa otto persone. Parecchi erano arrivati solo un po’ prima di me e sembravano spesso più giovani di me. Ogni notte quando diventava scuro cominciavamo a controllare il fronte in due turni. La prima metà del gruppo stava sveglia e controllava il fronte, poi l’altra. Avevamo sempre come minimo un mirino termico per postazione. All’inizio avevamo un M16 con il mirino termico, ma poi chi lo stava usando, un ragazzo calmo chiamato Dijwar che era un po’ più giovane di me, fu trasferito da un’altra parte e ricevemmo un piccolo visore notturno che si usava come un binocolo. Avevamo poi tipiche armi: mitragliatori Pkm che venivano chiamati bixie e Rpg lanciarazzi che venivano chiamati bisfing, ognuno aveva un Ak47 chiaramente, chiamato kalash. Il terreno che controllavamo era abbastanza piatto per un bel po’.
Quando guardavamo alla sinistra della nostra posizione vedevamo una piccola collezione di case contadine e dietro di esse una striscia di alberi lungo il fiume. Al di là il terreno era abbastanza piatto e ancora oltre c’era un villaggio controllato d...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Omaggio al Rojava
  3. Indice
  4. INTRODUZIONE
  5. IN MEMORIA DI IVANA HOFFMANN AVAŞIN TEKOŞIN GÜNEŞ
  6. REZAN (YPG), STATI UNITI
  7. AZAD, ALBANIA (YPG)
  8. AZ, GERMANIA (YPG)
  9. CEKDAR, ITALIA (YPG)
  10. CIYA, PAESE BASCO
  11. CIWAN, CATALOGNA (YPG)
  12. DILSOZ, ITALIA (YPG)
  13. DILSOZ, ITALIA (YPG)
  14. FIRAT, FRANCIA (YPG)
  15. GABAR TOLHILDAN, QUÉBEC (YPG)
  16. ILYAS, RUSSIA (YPG)
  17. KARKER, GERMANIA (YPG)
  18. KEMAL, SPAGNA (YPG)
  19. KEMAL, PAESE BASCO (YPG)
  20. KEMAL, PAESE BASCO (YPG)
  21. KENDAL, IRLANDA (IFB)
  22. TIREJ, ITALIA (YPG)
  23. SHIAR, FRANCIA (IFB)
  24. TEKOSHER, ITALIA (YPG / IFB)