Sullo sviluppo della società italiana
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Gli scritti di Giorgio Ceriani Sebregondi raccolti nel volume rivelano tutta la ricchezza intellettuale e la forza del pensiero di uno dei più grandi esponenti della cultura italiana del Novecento. Esperto di politica economica e di questioni sociali, Sebregondi ha introdotto per primo in Italia la cultura internazionale dello sviluppo. In questi testi (che coprono il periodo della produzione più matura di Sebregondi, dal 1949 alla morte) l'attualità della sua riflessione scaturisce da un'irrinunciabile verità: lo sviluppo non è un concetto ma un processo complesso, che si dirama lungo tre direttrici fondamentali: l'attenzione agli aspetti sociologici, lo studio delle specifiche realtà del territorio, storica¬mente determinate (e ciò significa, per il Mezzogiorno, tenere conto di un'identità articolata e differenziata), e la valorizzazione dei soggetti protagonisti (tra iniziativa privata e iniziativa pubblica Sebregondi sceglie la strada più difficile e lunga, quella dell'iniziativa sociale, perché solo un'iniziati-va sociale dal basso può avere carica di soggetto attivo dello sviluppo). L'esigenza di ancorare gli interventi al territorio si coniuga inoltre alla necessità di legare lo sviluppo delle realtà locali a una più organica politica economica del paese e di inquadrare l'intero processo all'interno dell'espansione economica sia dell'Europa sia dei paesi sottosviluppati, soprattutto quelli mediterranei. La strada per lo sviluppo indicata da Sebregondi è in sostanza quella di un metodo: accompagnare i diversi soggetti sociali in un paziente lavoro di crescita, e praticare quindi un lavoro «tecnico-politico» insieme, scelta oggi scartata dalla banale contrapposizione fra tecnici e politici. Come scrive Giuseppe De Rita, «nella concezione sebregondiana dello sviluppo non ci sono certezze, ma c'è l'impegno collettivo a continuare a crescere in coscienza e dinamica collettiva; non c'è la definizione di un traguardo, ma la responsabilità di camminare collettivamente nella storia, giorno dopo giorno. Perché fare sviluppo significa gestire una storia collettiva».

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788855223232
Argomento
History
Categoria
World History

1. Natura e portata della pianificazione nelle regioni meridionali*

L’impostazione dei piani economici comporta la necessità di chiarire alcuni fondamentali concetti relativi sia alla natura del piano, sia alle caratteristiche economiche delle aree nelle quali si vuole intervenire.
Quando si è affrontato il problema di formulare dei piani per le diverse regioni meridionali ci si è trovati di fronte a incertezze ed esigenze spesso contrastanti, se non dal punto di vista degli obiettivi, almeno da quello delle direttive di marcia.
È sorto in primo luogo il quesito se si dovesse dare precedenza a opere la cui prevalente giustificazione fosse di carattere sociale, o si dovesse puntare invece sull’attuazione di iniziative redditizie. Poi, nell’ambito delle iniziative capaci per natura propria di produrre reddito, ci si è chiesto se si dovesse dare la preferenza agli interventi di acceleramento (che assecondassero, tra l’altro, i naturali fattori agglomerativi) o si dovesse dar luogo a iniziative a più lunga scadenza quanto ai risultati, ma capaci di trasformare strutturalmente il sistema economico considerato e di procurare, innanzitutto, la conservazione di una ricchezza naturale e umana (conservazione del suolo, lotta contro la degradazione sociale e intellettuale) non valutabile immediatamente dal punto di vista del reddito. Analogamente, si è posta l’alternativa fra la convenienza di dare priorità all’industrializzazione, e quella di favorire lo sviluppo agricolo o lo sviluppo ambientale generale (comunicazioni, trasporti ecc.).
Infine, ci si è posto il problema di quale dovesse essere il livello da definire come traguardo del piano e in base al quale si dovessero delimitare l’entità e la graduazione degli investimenti e organizzarne il finanziamento.
In realtà tutti questi problemi hanno una loro fondamentale validità e pongono, qualunque sia la loro impostazione, un complesso di serie difficoltà nell’operare la scelta tecnico-economica che costituisce il contenuto del piano.
Si può tuttavia ritenere che alla difficoltà intrinseca di questi problemi se ne sia aggiunta un’altra di carattere esterno, derivante dal fatto di non aver chiaramente definito dal punto di vista economico che cosa si debba intendere per area depressa o arretrata.
In realtà lo stesso concetto di depressione o arretratezza ha in sé un carattere di relatività, in quanto la depressione o l’arretratezza si possono misurare: o con riferimento a un diverso livello della stessa unità economico-sociale considerata in un tempo precedente; oppure con riferimento ad altre comunità che godono attualmente di un maggiore livello economico e civile. Pertanto il concetto di depressione non è generalmente definito per se stesso, ma soltanto con riferimento a un termine di paragone.
Nella sua essenza, la depressione si potrebbe definire come basso reddito, ma anche questa qualificazione non è sufficiente, di per sé, a definire il concetto in termini assoluti, richiedendo anch’essa l’esistenza di termini di confronto1.
Evidentemente il comune modo di concepire la depressione ha un valore descrittivo, in quanto si limita a registrare alcuni fenomeni che si presentano come sintomi della depressione, ma non ne esprimono l’essenza e le cause. Ciò induce facilmente a considerare i problemi delle aree depresse da un punto di vista esterno ed empirico che, nella misura in cui venisse trasferito nell’impostazione del piano, potrebbe imprimergli un carattere di arbitrarietà e, comunque, non fornirebbe di per sé un criterio valido per la scelta dell’indirizzo e per la priorità delle opere da attuare.
Ponendosi pertanto di fronte alla necessità di formulare un piano per il Mezzogiorno, sembra necessario passare, da questa fase descrittiva e di giudizio empirico, alla considerazione della natura economica dell’area depressa, ossia alla considerazione di quelle disfunzioni e deficienze strutturali del sistema economico che hanno come risultato i fenomeni propri della depressione. Si tratta cioè di considerare il sistema economico nella sua dinamica interna e di individuare quegli interventi che si presentano atti a eliminare le disfunzioni e le deficienze del sistema.
Sembra possibile affermare che si debba porre a base della depressione di una determinata regione la sua insufficiente capitalizzazione, che lascia sussistere fattori produttivi inutilizzati. È evidente che l’inutilizzazione di fattori produttivi può derivare: in parte da disfunzioni cicliche di un sistema economico già formato; in parte da situazioni congiunturali di più lungo momento; infine (in molti casi nella massima parte) da sproporzioni strutturali dei fattori disponibili, che non possono essere eliminate se non nell’ambito di un sistema economico più vasto di quello della regione depressa considerata.
Se così stanno le cose, è evidente che il piano non deve tanto prefiggersi il raggiungimento di un determinato livello, rispetto al quale si è misurata empiricamente la depressione, quanto proporsi quegli interventi anticiclici e quelle provvidenze anticongiunturali che si presentino capaci di realizzare la migliore combinazione dei fattori produttivi esistenti, con riferimento all’esistente livello tecnico. Evidentemente l’eliminazione delle disfunzioni cicliche e la spinta verso la realizzazione della massima capitalizzazione possibile nella zona considerata non costituiscono un limite chiuso o estrinsecamente determinato (come sarebbe il raggiungimento di un determinato livello), ma costituiscono soltanto delle direttrici di marcia che incontreranno, in un punto forse difficilmente determinabile, il limite degli squilibri strutturali tra i fattori disponibili. Attribuendo al piano questa caratteristica dinamica di studio per la migliore combinazione dei fattori produttivi disponibili, rimane naturalmente facilitato il compito di superare quelle antitesi e incertezze fra interventi «assistenziali» e iniziative redditizie, e fra industrializzazione e sviluppo dell’agricoltura (o sviluppo dell’ambiente), cui si faceva cenno in precedenza.
È chiaro che la realtà non offre la possibilità di tracciare distinzioni così nette come quelle che si possono concepire da un punto di vista logico; e non è possibile, per esempio, rinviare al momento in cui la combinazione dei fattori produttivi incontrerà il limite delle sproporzioni strutturali l’intervento atto a compensare, trasformare o assorbire queste stesse sproporzioni in un ambiente economico, come si è detto, più vasto. Si ritiene tuttavia utile adottare la linea di ragionamento sopra indicata per evitare di cadere nell’errore di chi, trovandosi di fronte a un albero che dà pochi frutti, invece di provvedere a curare la malattia dell’albero provvedesse ad appendere dei frutti sui rami.
Sulla base del ragionamento economico che si ritiene di dover porre a fondamento del piano, sembra evidente che molte delle alternative che si sogliono porre fra i vari tipi di intervento, potranno in pratica risolversi secondo il criterio che qualifica gli interventi e le possibilità di sviluppo come interventi e possibilità di più o meno lungo momento; pertanto molte delle alternative potranno tramutarsi e risolversi in graduazioni ed espressioni di priorità o di combinazioni economiche. Inoltre, ove le provvidenze intese a eliminare le strozzature e a creare nuove combinazioni dei fattori produttivi lasciassero prevedere la permanenza di fattori inutilizzati e inutilizzabili nella regione, ci si troverebbe necessariamente indotti a considerare e individuare quelle soluzioni extraregionali che possono porre rimedio allo squilibrio strutturale2.
Altra considerazione da fare è che un piano economico che non sia impostato sulla pura necessità di procurare apporti esterni (che conserverebbero in certa misura un carattere puramente assistenziale nei confronti dell’area depressa), non dovrebbe contemplare soltanto l’esecuzione di determinate opere pubbliche o private, ma dovrebbe spingersi anche a indicare le necessarie provvidenze normative atte a facilitare la conservazione e la migliore combinazione possibile dei fattori produttivi nella regione considerata.
Un programma concepito come combinazione dei fattori e sviluppo della capitalizzazione comporta, anche sul piano tecnico della progettazione e dell’esecuzione delle singole opere e provvidenze, alcune importanti conseguenze metodologiche.
Il caso più tipico è quello che si riferisce alla realizzazione di grandi progetti di bonifica e di valorizzazione delle risorse naturali in determinate zone (per esempio bacini fluviali). La necessità di creare opere capaci di una reale e duratura combinazione di fattori produttivi porta alla considerazione, da un punto di vista unitario, dei prevedibili costi e ricavi delle singole opere, nonché delle necessarie combinazioni delle iniziative dei vari imprenditori interessati (agricoltori, industrie elettriche, enti gestori di acquedotti, strade ecc.), in modo da ottenere una concatenazione e successione logica – così dal punto di vista tecnico, come dal punto di vista economico – delle varie opere3.
I criteri di progettazione tecnico-economica, ormai generalmente adottati nell’affrontare i problemi di bonifica e valorizzazione, si presentano del più grande interesse anche dal punto di vista di una nuova configurazione del concetto di opera pubblica e dal punto di vista della considerazione tecnico-giuridica delle forme, dell’estensione e degli strumenti istituzionali propri di un più adeguato e moderno intervento dello Stato nel campo infrastrutturale.
Ci siamo limitati qui ad accennare sommariamente ai problemi che si pongono in ordine alla configurazione e all’esecuzione di un piano regionale, problemi che peraltro meriterebbero una trattazione a sé stante. L’accenno vale solo a richiamare l’attenzione sulla vitalità e sull’ampiezza del lavoro che, anche in settori diversi da quello economico (come è il campo degli studi giuridici) si profila in rapporto alla formulazione dei piani.
È da tener presente a tale proposito che un piano, per la sua stessa natura, non può esaurirsi nella stesura di un semplice rapporto, ma deve considerarsi come una direttiva in sviluppo, suscettibile di successivi adattamenti, arricchimenti e correzioni, capace quindi di stimolare sempre nuove e più ampie ricerche ed elaborazioni.
L’impostazione di un piano di carattere regionale, per così dire «aperto», comporta necessariamente l’avvio di due tipi di ricerche collegate e complementari. Il piano infatti potrà presentarsi in concreto come uno studio composto essenzialmente di due parti: la prima, di carattere più generale, che contenga la diagnosi della situazione economica della regione considerata (reddito, consumi, risparmi, investimenti, fattori produttivi utilizzati ecc.), nonché le linee di massima da seguire per realizzare la valorizzazione della zona depressa (convogliamento di risparmio pubblico e privato alla valorizzazione del suolo e del sottosuolo, all’eliminazione delle strozzature, alla creazione delle condizioni di sviluppo dei traffici ecc.). Una seconda parte che, sulla base delle direttive generali contenute nella prima, configuri in concreto e nelle singole situazioni regionali le opere da eseguire, gli istituti da creare, le provvidenze da adottare, per risolvere i vari problemi tecnici, finanziari, giuridici ecc. Questa parte dello studio fornirà, in particolare, l’indicazione reale della spesa da sostenere, della manodopera occupabile, delle materie prime e dei macchinari occorrenti per l’esecuzione delle opere, e rappresenterà quindi l’elemento indispensabile per valutare in sede economica gli effetti della spesa prevista dal piano.
Appendice

In che senso ed entro quali limiti i piani di spesa pubblica si possono e si devono configurare come piani «regionali»

Nel proporsi di stabilire la possibilità e l’entità di una spesa pubblica addizionale non sarebbe buon procedimento quello di basarsi sulla considerazione del fabbisogno di una singola regione o, ciò che sarebbe equivalente, sulla semplice sommatoria dei fabbisogni di più regioni.
I fabbisogni di una o più regioni non sono determinabili in via assoluta e, d’altro lato, l’azione che ci si può proporre nei confronti di una regione depressa non è quella di assegnarle contributi di carattere essenzialmente «assistenziale».
È evidente che l’intervento a favore delle regioni depresse deve essere concepito come sforzo di attivazione, nei limiti delle disponibilità nazionali, del sistema economico produttivo della regione considerata. Si pone pertanto la necessità di impostare il programma di spesa aggiuntiva a favore di una zona depressa non come piano regionale, ma come piano nazionale. Uno sviluppo dell’economia regionale non potrebbe aversi al di fuori del contesto più ampio dell’economia nazionale anche perché, d’altro lato, l’entità della spesa aggiuntiva deve essere determinata in ragione dell’entità dei fattori produttivi disponibili, della capacità tecnica di espansione dell’apparato produttivo nazionale e dei riflessi della spesa stessa, prevedibili nell’ambito dell’intera economia nazionale.
Peraltro si può e si deve concepire il piano dal punto di vista regionale, in quanto è la situazione complessa della regione – secondo le esigenze e secondo le possibilità – che deve orientare nella scelta delle opere, nella determinazione delle priorità e modalità, la spesa volta a correggere la depressione attraverso un’attivazione del sistema economico regionale. Con ciò si intende dire che una visione più realistica e funzionale del grado di depressione, dei fattori disponibili, delle loro possibili combinazioni, degli effetti di tali combinazioni, è meglio rilevabile in base all’esame di una determinata regione che non attraverso la considerazione di separati settori economici.
La considerazione dei settori non può essere trascurata: essa però interviene soprattutto per l’indicazione del limite entro il quale la capacità tecnica e produttiva esistente consente ai diversi settori di partecipare alla distribuzione della spesa complessiva. Essa rientra, cioè, nell’ambito della composizione dei cosiddetti bilanci «reali», sui quali deve fondarsi l’effettiva possibilità tecnica e la dosatura degli elementi dei programmi formulati, in via generale, sulla base delle regioni.

Criteri di impostazione del piano

Per l’impostazione di un programma di spesa a favore di un’area depressa sembra possibile considerare tre vie:
a) partire dalla valutazione del reddito e del risparmio attuale nel paese e nella zona depressa;
b) considerare e valutare i fattori inutilizzati nel paese e nell’area depressa e studiarne le possibili e più efficienti combinazioni;
c) considerare il livello dei consumi da incrementare nell’area depressa.
Appare evidente che seguire la prima via, quella di determinare e distribuire la spesa fra le regioni depresse in base al reddito e al risparmio attuali, è la meno giustificabile e opportuna, in quanto: da un lato considera come base, ossia come «variabile indipendente» gli elementi (reddito e risparmio) che dovrebbero invece essere considerati come una «variabile dipendente» dalla spesa stessa; d’altro lato avrebbe come risultato la perpetuazione degli squilibri esistenti, dando meno a chi ha meno, e più a chi ha di più.
A parte queste considerazioni è da tener presente, in via pratica, che mancano oggi rilevazioni attendibili del livello del reddito nazionale e, in grado ancor maggiore, del livello dei redditi regionali. Come si è accennato nel paragrafo precedente, la via che sembra più naturale e accettabile, sia in sede teorica che in sede pratica, è quella che misura la spesa effettuabile in ragione dei fattori produttivi inutilizzati e che mira a procurarne l’utilizzazione più redditizia.
Si deve però considerare il fatto che la spesa effettuata o da effettua...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Lo sviluppo non viene da altrove. Introduzione di Carlo Borgomeo
  6. Un «grande» dello sviluppo italiano. Prefazione di Giuseppe De Rita
  7. Presentazione di Ubaldo Scassellati
  8. 1. Natura e portata della pianificazione nelle regioni meridionali (1949)
  9. 2. La Cassa per il Mezzogiorno (1950)
  10. 3. I programmi regionali di sviluppo economico e i loro aspetti urbanistici (1950)
  11. 4. Economia e umanesimo: Keynes e Maritain (1950)
  12. 5. Considerazioni sulla teoria delle aree depresse (1950)
  13. 6. Appunti per un’assistenza allo sviluppo (1950)
  14. 7. Lo sviluppo equilibrato tra industria e agricoltura e tra Nord e Sud d’Italia (1951)
  15. 8. Sviluppo economico e pianificazione urbanistica (1952)
  16. 9. Considerazioni sullo sviluppo del Mezzogiorno (1952)
  17. 10. Appunto per uno studio sull’integrazione internazionale dell’Italia (1952)
  18. 11. Per la costituzione di una base democratica dello Stato italiano (1953)
  19. 12. Appunti per una teoria dello sviluppo armonico (1953)
  20. 13. L’azione del potere pubblico per lo sviluppo armonico (1953)
  21. 14. Il problema dello sviluppo italiano (1953)
  22. 15. Considerazioni sull’economia del bisogno (1954)
  23. 16. Sviluppo della società e democrazia diretta (1954)
  24. 17. Temi sociologico-culturali dell’intervento pubblico nel Mezzogiorno (1955)
  25. 18. Sviluppo della società e nuove forme di organizzazione democratica (1955)
  26. 19. Formazione ed evoluzione politica e tecnica degli organismi internazionali per lo sviluppo (1956)
  27. 20. La pianificazione in Italia (1957)
  28. 21. La pianificazione urbanistica nel quadro della politica di sviluppo nazionale (1957)
  29. 22. Lo sviluppo economico armonizzato della Comunità europea (1958)
  30. 23. Aspetti e problemi di una politica sociale e culturale (1958)
  31. 24. Problemi di sviluppo delle aree arretrate: aspetti sociologici (1960)