Bouvard e Pécuchet
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Bouvard e Pécuchet

  1. 165 pagine
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Informazioni sul libro

Bouvard e Pécuchet, due piccoli impiegati parigini, scoprono di condividere lo stesso disgusto per le loro vite mediocri. L'eredità di Bouvard arriva al momento opportuno per permettere loro di cambiare questa situazione: si stabiliscono in una fattoria in Normandia e si dedicano a esperimenti agricoli di ogni tipo, così come a studi sperimentali nei campi più disparati, come la chimica, l'astronomia, l'archeologia o lo spiritismo. In questo romanzo incompleto, Flaubert si diverte a ridicolizzare le pretese scientifiche della sua epoca.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9781667420684
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VIII

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Soddisfatti della loro dieta, vollero migliorare il loro carattere attraverso la ginnastica.
E dopo aver preso il manuale di Amoros, ne percorsero l’atlante.
Tutti quei giovani ragazzi, accovacciati, chinati, in piedi, che piegavano le gambe, allargavano le braccia, mostravano i pugni, sollevavano dei pesi, a cavalcioni di travi, che si arrampicavano sulle scale, che facevano le capriole sui trapezi, una tale dimostrazione di forza e di agilità provocò la loro invidia.
Eppure erano infastiditi dagli splendori del ginnasio descritti nella prefazione. Perché non avrebbero mai potuto permettersi un vestibolo per le attrezzature, un ippodromo per le corse, una piscina per il nuoto, né una ‘montagna di gloria’, collina artificiale, di trentadue metri di altezza.
Un cavallo da volteggio in legno con l’imbottitura sarebbe stato costoso, ci rinunciarono. Il tiglio abbattuto in giardino servì loro come palo orizzontale. E quando riuscirono a percorrerlo da un capo all’altro, per averne uno verticale, ripiantarono un palo delle controspalliere. Pécuchet salì fino in cima, Bouvard scivolava, cadeva sempre e alla fine, ci rinunciò.
Gli piacquero di più i ‘bastoni ortosometici’, cioè due manici di scopa collegati da due corde, la prima delle quali viene fatta passare sotto le ascelle, la seconda sui polsi. E teneva quell’apparecchio per ore, con il mento sollevato, il petto in avanti, i gomiti lungo il corpo.
In mancanza di pesi, il carradore tornì quattro pezzi di frassino, che assomigliavano a dei pani di zucchero che terminavano a collo di bottiglia. Bisognava portare queste mazze a destra, a sinistra, davanti e di dietro: ma poiché erano troppo pesanti, gli scivolavano sempre dalle mani, col rischio di schiacciare le gambe. Ciononostante, erano determinati alle ‘clavi persiane’ e, anche temendo di scoppiare, tutte le sere li strofinavano con la cera e un pezzo di stoffa.
Poi cercarono dei fossati. Quando ne avevano trovato uno di loro gradimento, appoggiavano un lungo palo in mezzo, si slanciavano con il piede sinistro, raggiungevano l’altro bordo e poi ricominciavano. Poiché la campagna era pianeggiante, li si poteva vedere in lontananza. E gli abitanti del villaggio si domandavano che cosa fossero quelle due cose straordinarie che saltavano all’orizzonte.
Quando arrivò l’autunno, si diedero alla ginnastica da camera ma li annoiò. Perché non avevano la sedia a molle o a rotelle, immaginata sotto Luigi XIV dall’abate di Saint-Pierre? Come era costruita, dove prendere informazioni? Dumouchel non si degnò neanche di rispondere.
Allora, allestirono una bascula brachiale nel locale del forno. Su due carrucole avvitate al soffitto passava una corda che teneva una sbarra ad ogni estremità. Appena afferrata la sbarra, uno si dava la spinta con la punta dei piedi, l’altro abbassava le braccia fino a terra. Il primo, con il suo peso, attirava il secondo che, lasciando un po’ la cordicella, si sollevava a sua volta. In meno di cinque minuti, grondavano tutti e due di sudore.
Per seguire le istruzioni del manuale, cercarono di diventare ambidestri, fino al punto di privarsi temporaneamente della mano destra. Fecero di più: Amoros indica delle canzoncine che devono essere cantate durante gli esercizi, e Bouvard e Pécuchet, marciando, ripetevano l’inno n° 9: ‘Un re, un re giusto è un bene sulla terra’. Battendosi i pettorali:
‘Amici, la corona e la gloria.’ ecc. A passo di corsa:
Ecco a noi la bestia! Prendiam l’agile cervo! Sì! Vincitori noi siam! Corriam! Corriam! Corriam!
E con la lingua fuori che sembravano dei cani, si eccitavano al rumore delle loro voci.
Un aspetto della ginnastica li esaltava: la sua applicazione ai salvataggi.
Ma avrebbero avuto bisogno di bambini per imparare a portarli nei sacchi e pregarono il maestro di scuola di fornirgliene qualcuno. Petit obiettò che le famiglie avrebbero protestato. Ripiegarono sul soccorso ai feriti. Uno fingeva di essere svenuto e l’altro lo trasportava in una carriola con ogni sorta di precauzioni.
Per quanto riguardava le scalate di tipo militare, l’autore raccomanda la scala di Bois-Rosé, dal nome del capitano che, tanto tempo fa, espugnò Fécamp scalando la scogliera.
Secondo la tavola del libro, munirono di bastoncini una fune e l’attaccarono al tetto della rimessa.
Appena ci si mette a cavallo del primo bastone e afferrato il terzo, le gambe vanno gettate in fuori perché il secondo, che fino a quel momento era contro il petto, venga a trovarsi sotto le cosce. Ci si raddrizza, si impugna il quarto e così via. Malgrado i loro prodigiosi tentativi, fu impossibile per loro raggiungere il secondo piolo.
Forse si hanno meno difficoltà ad aggrapparsi alle pietre con le mani, come fecero i soldati di Bonaparte quando attaccarono Fort Chambray? E per rendervi capaci di una tale azione, Amoros possiede una torre nel suo stabilimento.
Il muro in rovina poteva sostituirla. Cercarono di attaccarlo.
Ma Bouvard, avendo ritirato troppo in fretta il piede da un buco, si spaventò e fu preso da un capogiro.
Pécuchet diede la colpa al loro metodo: avevano trascurato ciò che riguardava le falangi, così dovevano tornare ai principi.
Le sue esortazioni furono vane e, nel suo orgoglio e la sua presunzione, affrontò i trampoli.
Sembrava che fosse destinato a farlo per natura, perché impiegò immediatamente il grande modello con dei pali a quattro piedi da terra e, in equilibrio su di essi, camminava per il giardino, simile a una gigantesca cicogna che passeggiava. Bouvard, alla finestra, lo vide barcollare, poi cadere dritto sui fagioli i cui rami, rompendosi, attutirono la sua caduta. Fu raccolto coperto di terra, il naso sanguinante, livido e lui pensava di aver fatto uno sforzo.
Decisamente la ginnastica non era adatta a degli uomini della loro età. La abbandonarono, non osavano più muoversi per paura degli incidenti e restavano per tutto il giorno nel museo a sognare di altre occupazioni.
Quel cambiamento di abitudini influì sulla salute di Bouvard. Diventò molto grosso, sbuffava dopo i pasti come un capodoglio, cercò di perdere peso, mangiò meno e si indebolì.
Anche Pécuchet si sentiva ‘minato’, aveva prurito alla pelle e placche alla gola. “Non va,” diceva, “Non va.”
Bouvard si immaginò di andare alla locanda e scegliere qualche bottiglia di vino di Spagna, per rimettere a posto la macchina.
Mentre ne usciva, l’assistente di Marescot e tre uomini portavano a Beljambe una gran tavolo in noce. Il ‘signore’ ringraziò molto. Si era comportato benissimo.
Bouvard conobbe così la nuova moda dei tavoli che ballano. Ci scherzò con l’assistente.
Eppure, in tutta Europa, in America, in Australia e nelle Indie, milioni di mortali passavano la vita a far ballare i tavoli e si scopriva il modo di rendere profeti i lucherini, di dare concerti senza strumenti, di corrispondere per mezzo delle chiocciole. La stampa spacciando con serietà quelle frottole al pubblico, lo rafforzava nella sua credulità.
Gli spiriti che battevano erano sbarcati al castello de Faverges, da lì si erano diffusi nel villaggio e soprattutto il notaio li interrogava.
Urtato dallo scetticismo di Bouvard, invitò i due amici a una seduta spiritica.
Era un tranello? Ci sarebbe stata la signora Bordin. Pécuchet ci andò da solo.
Partecipavano il sindaco, l’esattore, il capitano, altri borghesi e le loro
mogli, la signora Vaucorbeil, la signora Bordin, effettivamente; in più una che era stata la governante in casa Marescot, la signorina Laverrière, una donna un po’ strabica con dei capelli grigi che cadevano a spirali sulle spalle, alla moda del 1830. In una poltrona stava un cugino di Parigi, vestito di blu e con un’aria impertinente.
Le due lampade di bronzo, lo scaffale delle novità, alcune romanze con illustrazioni sul piano e certi minuscoli acquarelli in cornici esorbitanti erano sempre la meraviglia di Chavignolles. Ma quella sera gli occhi erano attratti dal tavolo di mogano. Sarebbe stato provato più tardi e aveva l’importanza delle cose che contengono un mistero.
Dodici ospiti presero posto intorno a quello, le mani stese, le piccole dita che si toccavano. Si sentiva solo il ticchettio dell’orologio. I volti mostravano una profonda attenzione.
Dopo dieci minuti, molti si lamentarono del formicolio nelle braccia. Pécuchet stava scomodo.
“State spingendo!” disse il capitano a Foureau.
“Niente affatto!”
“Sì, invece!”
“Ah! Signore!”
Il notaio li calmò.
A furia di tendere l’orecchio, credettero di sentire degli scricchiolii nel legno. Illusione! Non si muoveva niente.
Il giorno prima, quando le famiglie Aubert e Lormeau erano venute da Lisieux ed era stato preso in prestito appositamente il tavolo di Beljambe, tutto era andato così bene! Ma quello di oggi era così ostinato... Perché?
Il tappeto probabilmente lo infastidiva e si passò nella sala da pranzo. Il mobile scelto fu un grande guéridon dove si sistemarono Pécuchet, Girbal, la signora Marescot e suo cugino, il signor Alfred.
Il guéridon, che aveva delle ruote, rotolò verso destra; gli operatori, senza muovere le dita, seguirono il suo movimento e di sua iniziativa fece altri due giri. Uno era sbalordito.
Allora il signor Alfred disse a voce alta:
“Spirito, come trovi mia cugina?”
Il guéridon, oscillando con lentezza, batté nove colpi.
Secondo un cartello, dove il numero dei colpi corrispondeva alle lettere, significava ‘affascinante’. Tutti applaudirono.
Poi Marescot, per prenderla in giro, intimò allo spirito di dichiarare l’età esatta della signora Bordin.
Il piede del guéridon ricadde per cinque volte.
“Come? Cinque anni!” gridò Girbal.
“Le decine non contano.” Rispose Foureau.
La vedova sorrise, internamente molto seccata.
Le risposte alle altre domande non tornarono, tant’era complicato l’alfabeto. Era molto meglio la tavoletta, mezzo più spedito e di cui s’era servita persino la signorina Lavarrière per annotare sul suo album le comunicazioni dirette con Luigi XII, Clemence Isaure, Franklin, Jean-Jacques Rousseau, ecc... In via d’Aumale si vendevano questi apparecchi. Il signor Alfred ne promise uno, poi rivolgendosi alla governante:
“Ma per questo quarto d’ora, un po’ di piano, no? Una mazurka!”
Vibrarono due accordi ribattuti. Afferrò sua cugina per la vita, scomparve con lei, ritornò. Venivano rinfrescati dal vento del vestito che sfiorava le porte al suo passaggio. Lei rovesciava la testa, lui inarcava il braccio. Tutti ammiravano la grazia dell’una, l’aria disinvolta dell’altro e, senza aspettare i pasticcini, Pécuchet prese congedo, stordito dalla serata.
Ebbe un bel ripetere: “Ma io ho visto!”, Bouvard negava i fatti e tuttavia consentì a far la prova lui stesso.
Per quindici giorni, trascorsero i loro pomeriggi uno davanti all’altro, le mani sul tavolo, poi su un cappello, su un cesto, su dei piatti. Tutti quegli oggetti rimasero immobili.
Il fenomeno dei tavoli che ballano non per questo è meno certo. Il volgo l’attribuisce agli spiriti, Faraday al prolungamento dell’azione nervosa, Chevreul all’incoscienza degli sforzi o forse, come ammette Ségouin, dalla riunione di più persone si sprigiona un impulso, una corrente magnetica?
Questa ipotesi fece meditare Pécuchet. Prese dalla sua biblioteca la ‘Guida del magnetizzatore’ di Montacabère, la rilesse con attenzione e iniziò Bouvard alla teoria.
Tutti i corpi animati ricevono e comunicano l’influenza degli astri. Proprietà analoga alla virtù del magnete. Dirigendo questa forza si possono guarire i malati, ecco il principio. La scienza, da Mesmer in poi, ha fatto dei progressi ma è necessario sempre versare il fluido e fare dei passi che, prima di tutto, devono addormentare.
“Ebbene, addormentami!” disse Bouvard.
“Impossibile,” replicò Pécuchet, “per subire e trasmettere la forza magnetica, è indispensabile la fede.”
Poi, considerando Bouvard:
“Ah! Che peccato.”
“Come?”
“Sì, se tu volessi, con un po’ di pratica, non ci sarebbe un magnetizzatore migliore di te!”
Infatti possedeva tutto quello che serve: presenza, costituzione robusta e
un solido carattere.
Questa facoltà che s’era scoperta lusingò Bouvard. Si immerse, di nascosto, in Montacabère.
Poi, siccome Germaine aveva dei ronzii all’orecchio che l’assordavano, disse una sera con un tono casuale:
“E se provassimo con il magnetismo?”
Non rifiutò. Egli si sedette davanti a lei, le prese i pollici con le mani e la guardò fisso, come se non avesse fatto altro in tutta la sua vita.
La buona donna, con una stufa sotto i piedi, cominciò a piegare il collo, i suoi occhi si chiusero e, dolcemente, si mise a russare. Dopo un’ora di contemplazione, Pécuchet disse a bassa voce:
“Cosa sentite?”
Si svegliò.
Più tardi sarebbe senza dubbio tornata la lucidità.
Quel successo li incoraggiò e, riprendendo...

Indice dei contenuti

  1. Titolo Pagina
  2. Copyright Pagina
  3. Bouvard e Pécuchet
  4. I
  5. II
  6. III
  7. IV
  8. V
  9. Non è dolce | Amare sapendo che il vostro innamorato vi ama davanti a voi inginocchiato?
  10. VI
  11. VII
  12. VIII
  13. IX
  14. X
  15. Qui si ferma il manoscritto di Gustave Flaubert.
  16. Conferenza