I movimenti del suono
Tra modernità e tradizione nel primo Novecento musicale
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Informazioni sul libro
Questo libro è un'incursione nei territori della prassi musicale del primo Novecento, partendo dall'inizio del progressivo scompaginamento della tradizione del sistema tonale, fino ad accenni alla contemporaneità musicale. L'autrice si sofferma con particolare attenzione sulla teoria e la prassi musicale del flauto traverso, esaminando l'opera di alcuni autori emblematici del Novecento.Giorgia Gagliano è una musicista, insegnante di musica e docente di flauto traverso nata a Soverato nel 1993. Trasversalmente all'attività performativa si appassiona gli studi storici e musicologici, portando avanti parallelamente le due inclinazioni complementari. Attualmente scrive e insegna come docente di musica e di strumento musicale presso la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado.
Domande frequenti
Informazioni
I. STORIA E CULTURA
I. 1. GERMI DELLA CRISI DI UN’EGEMONIA CULTURALE
Questo è uno dei punti piú fortemente di rottura rispetto alla tradizione, dopo circa tre secoli di predominio incontrastato e di evoluzione del linguaggio, il quale a un certo punto sembra esaurire ogni sua nuova possibilità.
Per comprendere a fondo ciò che è accaduto nella musica moderna è bene fare un passo indietro e trovare i germi del rovesciamento di valore già presenti in alcuni autori del Romanticismo: ultimo grande capitolo della sinfonia classico-romantica è forse la Quarta sinfonia di Johannes Brahms (1833-1897), dall’incipit indimenticabile, realizzato in realtà in modo alquanto singolare, ovvero con pochissimo materiale: suoni quasi isolati, enfatizzati da una pausa, come un piccolo abisso nel quale tutti gli ascoltatori precipitano. Tale sistema retorico è basato su materiali estremamente economici, minimi, dunque oggetti sonori, con i quali Brahms costruisce quasi l’intera struttura del primo tema della sua quarta sinfonia. E cosí come Brahms conclude la storia della sinfonia classico-romantica, insieme a Richard Strauss (1864-1949), Gustav Mahler (1860-1911), e altri, Giacomo Puccini (1858-1924) conclude la storia gloriosa del melodramma italiano, con la sua Turandot ., insieme naturalmente a Wagner.
Posto questo primo quadro generale, è fondamentale al contempo un sintetico sguardo d’insieme volto alla realtà storica del periodo, segnato da una fase capitalistica che coinvolse non soltanto paesi come Francia e Inghilterra ma anche Germania, Italia, Russia e Stati Uniti, e contrassegnato da un’espansione produttiva impetuosa, aggressiva nella ricerca dei mercati, avente il suo sbocco piú immediato nell’industria degli armamenti. Da qui l’esaltazione della tecnica produttiva industriale, della civiltà occidentale come la piú avanzata, della razza bianca come portatrice di questi valori alle razze inferiori.
«L’esaltazione della scienza e della tecnica, che è sempre presente nelle società industriali in età moderna (l’Illuminismo nel Settecento e il positivismo nell’Ottocento) si colora improvvisamente di aspetti violenti, aggressivi, intolleranti, razzisti» [2].
Dunque il mito ottimistico del progresso si tinge di cupezza, di forze negative che influenzano la società e la sua ideologia, riflesso di una crisi incombente causata dalla minaccia di una guerra mondiale all’orizzonte, e dall’acuirsi della questione sociale. Crisi che, in tale circostanza, ebbe negli intellettuali e negli artisti una reazione decisa di contrapposizione, con la condanna dello scientismo e il ritiro dal mondo della scienza e della tecnica: a partire dal 1870 compenetra nell’età dell’imperialismo, paradossalmente, quella del decadentismo. Dalla svalutazione della ragione scientifica nasce l’esaltazione dell’arte come linguaggio misterioso, capace di penetrare nell’oscurità e di dotare l’uomo dell’unico strumento attraverso cui può comprendere le cose del mondo: il simbolo, l’analogia, l’allusione.
I. 2. I PADRI DELLE AVANGUARDIE E L’EMANCIPAZIONE DELLA DISSONANZA
Emblematica testimonianza di tale “paralisi” sono le parole di Debussy in una lettera all’amico Pierre Louÿs dell’autunno del 1892: «È il Tristano che ci impedisce di lavorare. Non si vede… Io non vedo… che cosa si possa fare dopo il Tristano » [1].
Volendo infatti discorrrere del panorama musicale europeo a cavallo tra i due secoli, è quantomeno palese come la specificità “storica” della musica tedesca, abbondantemente sovvenzionata dallo Stato e divulgata all’estero mediante gli Istituti germanici (svolgendo cosí il suo ruolo di sostegno alla politica dei destini mondiali degli Imperi), sia stata molto forte, anche perché fondata nella coscienza nazionale specifica di quell’area geografica. Questo stabilí precise discriminanti nei confronti di culture musicali limitrofe, in particolare quella francese. Tuttavia, questo senso di appartenenza si ruppe gradualmente con il radicalismo delle avanguardie e l’uscita dal sistema tonale.
«Negli anni intorno alla prima guerra mondiale si deteriorò irreparabilmente la coscienza della comune civiltà musicale e della continuità con il passato: con la morte di Mahler (1991), Reger (1916) e Skrjabin (1916) diventò palese la svolta generazionale […], diventò sempre piú evidente l’inconciliabilità tra i difensori dei valori acquisiti nel passato e coloro che intendevano stabilire un rapporto con una realtà storica cosí profondamente mutata» [2].
Tale svolta generazionale è guidata e anticipata cronologicamente da Mahler, un uomo immerso nella dimensione storica del suo tempo, paralizzato dall’impotenza di ogni affermazione, travagliato da problemi e da contraddizioni che nel giro di pochi anni condurranno a conflitti terribili e irrisolti.
La distruzione del concetto stesso di linguaggio musicale e di opera musicale avvengono come inevitabile conseguenza dell’abolizione degli elementi attraverso i quali qualsiasi linguaggio si definisce e prende vita, ovvero dei propri limiti e confini, delle proprie regole. Si tratta probabilmente di una musica che è fatta piú per essere creata ed eseguita che per essere ascoltata, e che pertanto richiede una rimodulazione radicale del nostro orecchio e soprattutto della nostra intelligenza: per aiutarsi bisognerebbe pensare che non si tratta di un’opera musicale ma di affermazioni filosofiche o parafilosofiche tradotte in suoni o in rumori che dir si voglia.
Eppure Mahler, per formazione o forse anche per ragioni generazionali, non partecipò davvero alla sperimentazione musicale delle avanguardie nell’età dell’espressionismo e dell’atonalismo; non collaborò in maniera significativa con letterati, pittori o drammaturghi; rimase perplesso davanti alle opere di Schoenberg e dei suoi allievi, che pure difese accanitamente di fronte agli ottusi detrattori: Mahler fu l’esponente per antonomasia di questa gigantesca transizione, tra un mondo che stava finendo e uno che stava sorgendo nel medesimo tempo. Insieme al suo maestro, Bruckner, è stato designato piú volte come esponente della “fine”: di questa strana dimensione, percezione in base a cui un’intera civiltà, come un organismo vivente, avverte in sé un declino inarrestabile e l’ansia di una nascita diversa: per tradurla in ottica cristiana, è il paradigma della creazione che contiene in sé entrambi gli elementi: vita e morte.
I. 3. PERCEZIONE DEL TEMPO MUSICALE E AMPLIAMENTO DEI LINGUAGGI
Per comprendere la na...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Ai confini della tonalità.
- Indice dei contenuti
- Epigrafe
- Introduzione
- I. STORIA E CULTURA
- II. PRASSI ESECUTIVA
- III. I VOLTI E LA MUSICA
- APPENDICE. COMPOSITORE E PUBBLICO, UNA ROTTURA INSANABILE?
- BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA