Sentimenti velati
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Onore e poesia in una società beduina

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Onore e poesia in una società beduina

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Pubblicata per la prima volta nel 1986, Sentimenti velati di Lila Abu-Lughod è oggi considerata un'etnografia classica nell'ambito dell'antropologia. Tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, Abu-Lughod visse per circa due anni in una comunità beduina del Deserto occidentale in Egitto studiando le relazioni di genere, la moralità e la poesia lirica orale attraverso cui le donne e i giovani uomini esprimono
sentimenti personali. Le poesie evocano in modo intenso i tormenti della loro vita emozionale, ma l'analisi di Abu-Lughod rivela anche quanto profondamente la poesia e il sentimento siano coinvolti nelle dinamiche del potere e nel mantenimento della gerarchia sociale. Quel che all'inizio si presenta come un enigma riguardo a uno specifico genere poetico conduce a una riflessione sulla politica del sentimento e sulla complessità della cultura.
Questa nuova edizione italiana conserva tutti i testi che componevano la precedente edizione, a cui aggiunge una nuova postfazione scritta dall'autrice per l'ultima edizione americana, pubblicata in occasione del trentennale del volume, in cui Abu-Lughod riflette sui mutamenti intervenuti tanto in campo antropologico quanto nella vita di questa comunità di beduini Awlad 'Ali. La postfazione si conclude con una meditazione personale sul significato – per tutti i soggetti coinvolti – dell'esperienza profonda che è la ricerca sul terreno e sulle responsabilità che questa implica per gli etnografi e le etnografe.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788878859784

capitolo 1
L’identità nella relazione

Questo mondo pieno di persone di cui giunsi gradatamente a condividere la vita non era per niente come lo avevo immaginato. Le mie aspettative inconsce erano ispirate a immagini romantiche. Sapendo che gli Awlad ‘Ali abitavano la fascia costiera lungo il bordo settentrionale del Deserto libico1, mi ero figurata delle tende su una spiaggia di sabbia bianca, con il Mediterraneo turchese che luccicava sullo sfondo. Nella mia mente brillava un vivido passo di Justine, il primo romanzo del «Quartetto di Alessandria» di Lawrence Durrell:
Prendemmo il tè insieme e poi, con un impeto improvviso, raccolti costumi e salviettoni, attraverso gli arrugginiti detriti di Mex raggiungemmo in auto la spiaggia oltre Bourg El Arab, che risplendeva nella luce malva-limone del pomeriggio che velocemente svaniva. Qui il mare aperto suonava sui tappeti di sabbia fresca color mercurio ossidato; e quel suo profondo pulsare melodioso fece da sfondo alla nostra conversazione. Camminavamo affondando sino alle caviglie tra le euforbie che si celavano nelle misere pozze qua e là soffocate da spugne strappate dalle radici e gettate a riva. Non incontrammo nessuno lungo la strada, ricordo, tranne un emaciato ragazzo beduino che portava sul capo una cesta di fil di ferro piena di uccelli selvatici catturati con la pania. Quaglie stordite. (1957: 41-42)
Scoprii invece che, nonostante la sua vicinanza, il mare aveva poca parte nella vita dei beduini, che riservavano il loro apprezzamento della bellezza naturale al deserto, dove la migrazione invernale li aveva regolarmente portati fino agli anni della sedentarizazione. I membri della mia comunità parlavano tutti con nostalgia del deserto interno, «l’entroterra» (g), sebbene fossero migrati per l’ultima volta sette anni prima del mio arrivo. Descrivevano la flora e la fauna, le graminacee così deliziose per le gazzelle, l’ombrellifera che stimola l’appetito, l’erba medicamentosa che, bollita con il tè, cura tutti i mali, le lepri selvatiche che devono essere cacciate di notte e la selvaggina che all’improvviso si alza in volo da un cespuglio. Lodavano i buoni cibi «secchi» della vita nel deserto2 e sdegnavano come poco sani gli stufati di verdura fresca che adesso costituiscono una parte importante della loro dieta. Ricordavano con piacere i prodotti del latte, così abbondanti in primavera quando le piogge facevano nascere i pascoli nel deserto3, e assaporavano nel ricordo il gusto del latte di pecore che avevano brucato l’aromatica artemisia (shī).
Eppure, nonostante il loro apprezzamento dei doni naturali del deserto, i beduini pensano al territorio in cui vivono principalmente nei termini delle persone e dei gruppi che lo abitano. Il loro è un mondo intensamente sociale, in cui le attività e le relazioni delle persone affascinano, e la solitudine è così aborrita che nessuno dorme da solo; si pensa che quelli che passano il tempo da soli siano vulnerabili agli attacchi degli spiriti maligni (‘afārīt), che prosperano là dove non ci sono esseri umani.
Mi ero anche aspettata di trovare dei pastori nomadi che vivevano tranquillamente con le loro greggi, ma scoprii invece che quelle stesse persone che magnificavano le attrattive del deserto abitavano in case (anche se continuavano a piantarvi vicino le loro tende e a trascorrere in queste la maggior parte delle giornate), indossavano lucenti orologi da polso e scarpe di gomma, ascoltavano radio e mangianastri, e viaggiavano sui pick-up Toyota4. Diversamente da me, non consideravano queste cose come segni allarmanti del fatto che stessero perdendo la loro identità come gruppo culturale, che non fossero più beduini, perché loro si definiscono non tanto sulla base di un modo di vita – per quanto attribuiscano grande valore alla pastorizia nomade e all’asprezza del deserto – ma piuttosto sulla base di alcuni princìpi-chiave di organizzazione sociale: la genealogia e un ordine tribale fondato sulla vicinanza degli agnati (i parenti paterni) e legato a un codice morale, quello dell’onore e della modestia. Il loro universo sociale è ordinato da questi princìpi ideologici che definiscono le identità degli individui e la qualità delle loro relazioni con gli altri. Tali princìpi sono riuniti nella nozione che gli Awlad ‘Ali hanno di «sangue» (dam), un concetto sfaccettato, denso di significati e dotato di un’enorme forza culturale, di cui esplorerò ora due aspetti.

«Aṣl»: il sangue delle origini

Il sangue lega le persone al passato e allo stesso tempo le unisce nel presente. In quanto collegamento con il passato attraverso la genealogia, il sangue è fondamentale per la definizione dell’identità culturale. La nobiltà di origine o di ascendenza (al) ...

Indice dei contenuti

  1. Nota introduttiva alla nuova edizionePaola Sacchi
  2. Introduzione alla prima edizione italianaRiflessività e sentimenti nella ricerca etnograficaVanessa Maher, Paola Sacchi1
  3. Prefazione alla seconda edizione americana
  4. Ringraziamenti
  5. Ospite e figlia
  6. capitolo 1-L’identità nella relazione
  7. capitolo 2-L’onore e le virtù dell’autonomia
  8. capitolo 3-La modestia, il genere e la sessualità
  9. capitolo 4-La poesia della vita personale
  10. capitolo 5-Onore e vulnerabilità nella poesia
  11. capitolo 6-Modestia e poesia d’amore
  12. capitolo 7-Ideologia e politica del sentimento
  13. Il valore dell’etnografia: una postfazione
  14. Formule e temi della ghinnāwa