1. Le radici culturali
La «gestazione». Le premesse
Il primo numero della rivista «Mercurio. Mensile di politica, arte, scienze» esce a Roma nel settembre del 1944, esito di un progetto maturato nel «Regno del Sud», nell’ambito delle iniziative degli intellettuali antifascisti impegnati, sullo sfondo delle esperienze della guerra, della Resistenza e della liberazione dell’Italia, nel rinnovamento culturale del paese. L’idea della rivista nasce, infatti, quattro mesi prima della sua uscita, a Napoli, nel maggio del 1944: «Mi hanno proposto – Alba de Céspedes annota il 5 maggio sul suo diario – di dirigere una nuova importante rivista: Mercurio, ho trovato io questo titolo. Ho accettato. Aspettiamo il permesso degli Alleati, il permesso per stampare in casa nostra».
La gestazione della rivista, tuttavia, risale all’8 settembre 1943, quando, in una «comune barricata», italiane e italiani cominciano a combattere una guerra dai connotati più diversi, interiori ed esteriori, una guerra attiva e silenziosa, fatta di opposizioni, resistenze, ma anche sopportazioni e umiliazioni; risale cioè a quando de Céspedes e, più in generale, gli intellettuali giovani, formatisi negli anni del fascismo, si sentono spinti dall’esigenza morale di essere parte attiva della storia sociale, politica e culturale dell’Italia.
È in questo clima di scelte, di battaglie comuni, mentre le esperienze belliche, insieme traumatiche e rigeneratrici, incidono fortemente sulle ragioni individuali, che maturano le premesse del progetto di «Mercurio». La precarietà e insieme l’eccezionalità del quotidiano, la paura e la speranza, la solitudine e lo spirito collettivo, sono infatti gli elementi che, pur tra di loro in contrasto, intrecciano la vita interiore e la storia, radici della «moralità» della «guerra civile» e delle sue infinite sfumature.
Per Alba de Céspedes, antifascista impegnata, come dimostra il suo intenso e appassionato lavoro di quegli anni, l’8 settembre segna la memoria di un prima e di un dopo, rappresenta uno spartiacque sul piano della coscienza della politica, avvia forme diverse di partecipazione e di adesione alla storia. Il portato storico della guerra, sfondo di scelte, esperienze, scritture segnate dalla spinta democratica e civile, è raccontato, nella forma della cronaca intima, nel diario della scrittrice, fonte preziosa e significativa per ricostruire, attraverso lo sguardo di una donna attenta e partecipe, la complessità del periodo. Annota il 15 settembre 1943 dalla casa romana di via Eleonora Duse:
Diario di tempo di guerra, misero umiliante tempo di guerra perduta. Io, proprio io, implacabile fautrice della pace, del diritto di vivere, più forte di ogni altro umano diritto, non ho trovato in tutta Roma un quaderno di quei miei soliti quaderni neri dove appunto e scrivo la cronaca giornaliera, qualche volta, intima cronaca.
Eccomi costretta a scrivere in un quaderno sul quale è riprodotto un cannone che può sparare – si afferma – 220 colpi al minuto, uccidendo così – se ogni colpo fosse perfetto – 220 persone.
Ma se il cannone fosse nostro non le ucciderebbe: perché il soldato invece di manovrarlo si toglierebbe le stellette e scapperebbe via camuffato con una tuta da operaio. Forse è troppo facile essere seduta a un tavolino e scrivere, essere stesa sul letto, leggendo, e inseguendo personaggi appena abbozzati seguendo i loro amorosi inviti mentre altri stanno al fronte e lasciano la loro vita, i loro progetti i loro sogni, la loro musica, i loro libri per farti sentire fiera delle loro gesta, parte di un popolo vincitore, perché tu esca insomma una sera gridando «evviva la vittoria» alla quale tu non hai contribuito che rinunciando alla bistecca rossa, all’automobile, al teatro.
Sì, questo è vero, forse. Ma è troppo doloroso per chi era avvezza solo alle vittorie – almeno militari – del proprio paese, vedere i soldati fuggire, gli ufficiali consegnare le armi, e nelle strade circolare da padroni soldati stranieri e prepotenti.
Sto in casa, chiusa. Ma decisa a non vivere di sorda ostilità soltanto. Se chiederanno il proprio parere dirlo. E non tremare più, non nascondersi. S’odono colpi sparare forte, la casa trema. E Franco [Bounous] ed io siamo così vicini, così decisi. Non importa come e dove, ma a testa alta. Anche questo, anche la guerra, anche le privazioni, le umiliazioni sopportate insieme, spalla a spalla sono leggere.
La scrittura diaristica – «strategia di resistenza individuale» e pratica costante per de Céspedes – nei mesi della preistoria e della storia di «Mercurio», riempie le pagine di quattro quaderni che documentano il vissuto dell’autrice dal 15 settembre 1943 al 10 ottobre 1948, dalla fuga da Roma – l’esperienza della guerra e della Resistenza in Abruzzo, la vita nel bosco, l’attraversamento delle linee, l’arrivo nell’Italia liberata, Bari e Napoli – fino al ritorno: esperienze cioè che segnano – sul piano storiografico – «la scelta». Rispetto a questi diari, due precisazioni sono importanti e riguardano le pagine non scritte e le pagine pubblicate. Circa le pagine non scritte, va notato che de Céspedes interrompe la stesura del diario nel periodo trascorso a Bari, quando la scrittura è tutta dominata dalle parole di Clorinda e dalla stesura del Bosco. Si può forse ipotizzare, allora, che il ricco materiale delle veline dattiloscritte di Clorinda sia in fondo il suo «diario pubblico»: Clorinda-Alba racconta di sé, intrepreta, ricorda, commenta, si fa testimone, nella forma di una partecipazione politica in cui la narrazione è filtrata dalla coscienza, dall’immaginario. Per quanto riguarda invece le pagine edite, il diario scritto fra il 12 ottobre 1943 e il 18 novembre 1943 è uscito con espunzioni, selezioni, modifiche, tagli, integrazioni, aggiunte, con il titolo Pagine dal diario, a distanza di un anno dalle esperienze vissute e annotate, proprio su «Mercurio»: si tratta del periodo abruzzese, scelto da de Céspedes perché rappresenta uno snodo esistenziale del suo agire morale e politico e perché emblematico di un vissuto collettivo e significativo per documentare della Resistenza nel Sud (tema a cui la rivista dedica il fascicolo speciale del dicembre 1944).
Nell’ampio panorama delle cronache intime, della memorialistica, degli scritti documentari, delle testimonianze che alimentano il fenomeno del «neorealismo», i quaderni di diario di de Céspedes sono fonti interessanti perché narrano i riflessi interiori della storia, restituiscono voce alle ragioni più sottili dell’agire, danno forma a desideri, paure, attese, sogni, a quell’utopia del cambiamento che nutre le scelte individuali e collettive e anche le non scelte. Essi accompagnano insomma il farsi di una coscienza interiore, politica, civile e letteraria perfettamente consapevole di essere parte della storia, della storia delle donne, della storia letteraria; e consentono di esaminare alcuni passaggi di una «presa di coscienza» – come scrive Patrizia Gabrielli – che lascia intravedere la natura dell’antifascismo della scrittrice progressivamente maturato prima con La voce di Clorinda e poi con il progetto di «Mercurio».
Nel caos, nello sfacelo della Roma invasa, matura la decisione di scappare: «Il cerchio dei tedeschi si stringe sempre di più. L’aria è irrespirabile, – annota de Céspedes il 17 settembre – si vive nel terrore. Per qualunque ordine inadempiuto la pena di fucilazione. Oh, scapparsene a piedi per le montagne, come Kira di Noi vivi!». Dopo la disfatta dell’8 settembre, la liberazione di Mussolini, la fuga del re e di Badoglio da Roma, il paese diviso fra Italia libera e Italia occupata, mentre si costituisce la Repubblica sociale italiana, de Céspedes va via da Roma, il 23 settembre 1943, insieme al futuro secondo marito Franco Bounous (si sposeranno il 18 aprile 1945), funzionario del ministero degli Esteri: «Di notte segretamente – ricorderà da Bari in La voce di Clorinda – noi lasciammo Roma. Sentivamo di difenderla, per essere salvi noi stessi e lavorare per riscattarla questo sacrificio era necessario. Dalla campagna, incamminandoci per insidiosi percorsi vedevamo ancora il profilo della nostra città e le grandi cupole delle chiese».
Della scelta di fuggire da Roma – per preservare la propria libertà e dignità in difesa dell’Italia stessa – parlerà anche in una toccante lunga lettera alla madre all’Avana in un racconto che, per la distanza, si arricchisce di particolari. Il 7 maggio 1944, ricorda da Napoli, da via Monte di Dio 61:
Dopo l’armistizio la città di Roma, fu in preda al più grande disordine per l’invasione tedesca: i giornali ti avranno resa edotta delle loro barbarie. E quello che i giornali scrivono è una pallida idea della realtà. Andavano attorno prendendo gli uomini per portarli con loro a lavorare o deportarli in Germania. Franco [Bounous], essendo funzionario degli Esteri sarebbe stato costretto a scegliere tra la nuova repubblica di Mussolini e il governo del Re. Nel caso che avesse scelto quest’ultimo puoi immaginare le conseguenze! I miei rapporti col fascismo erano anche piuttosto difficili a causa del mio romanzo che era stato considerato antifascista. Pochi giorni prima della caduta di Mussolini mi avevano tolto la tessera, il che significa il diritto a lavorare e di conseguenza, a vivere. Io ero disperata all’idea che potessero prendere Franco e lui desiderava non collaborare con i nazisti. Perciò – benché tutto ci trattenesse a Roma segnatamente le carte dell’annullamento che avremmo dovuto avere pochi giorni dopo [il 12 ottobre], per poterci sposare finalmente – siamo fuggiti, in poche ore, insieme con quella mia cuginetta mezzo cubana Barbara del Castillo, la quale nel frattempo ha sposato un italiano. Anche lui era giovane, ufficiale, e temeva d’esser preso. Fuggimmo con una valigia ciascuno credendo di rimaner fuori, pochi giorni che Roma sarebbe stata presto liberata. (Questo fu il 23 settembre, più di 7 mesi fa!) Tutta la mia bellissima casa smontata e affidata alla mia fedele Maria, tutti i miei vestiti, i miei libri, oggetti d’arte, di grande valore, tappeti, argenteria, ecc.: tutto, insomma.
Si tratta di un esodo collettivo, come ricorda con toni talvolta ironici Vincenzo Talarico nel volume Otto settembre letterati in fuga, che da Roma porta verso il Sud, attraverso l’Abruzzo, per arrivare nell’Italia...