La scienza del piacere
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Perché proviamo piacere mangiando cibi aspri o grattando la pelle fino a farla sanguinare? Perché alcuni uomini pagano per farsi sculacciare? Perché ci fermiamo a guardare incidenti cruenti? E perché andiamo a vedere film che ci fanno piangere e stare male? Mescolando intuizioni provenienti da campi diversi come lo sviluppo infantile, la neuro-scienza cognitiva e l'economia comportamentale, Paul Bloom fonda una scienza nuova: La scienza del piacere. Amore, arte, cibo: il libro che ci spiega perché ci piace ciò che ci piace.L'autore: Paul Bloom è professore di psicologia e scienze cognitive a Yale. La sua ricerca verte su come bambini e adulti comprendono il mondo fisico e sociale, indagando in particolar modo linguaggio, moralità, religione, narrativa e arte. Per il Saggiatore ha pubblicato Il bambino di Cartesio (2005).

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Informazioni

Anno
2010
ISBN
9788865760567
1. L’essenza del piacere
Quando si rese conto del piacere che gli era stato sottratto, Hermann Göring, il successore designato da Adolf Hitler alla guida del Reich, era in attesa di essere giustiziato per crimini contro l’umanità. A detta di un osservatore, in quel momento «sembrava avesse scoperto per la prima volta l’esistenza del male nel mondo».
L’artefice di quel male era stato il pittore e collezionista d’arte olandese Han van Meegeren. Durante la Seconda guerra mondiale, Göring aveva dato a Han van Meegeren 137 quadri, per un valore complessivo di quelli che oggi sarebbero circa 10 milioni di dollari. In cambio aveva ottenuto il Cristo e l’adultera di Johannes Vermeer. Come il suo capo, Göring era un collezionista d’arte maniacale che aveva già saccheggiato mezza Europa. Ma era un grande ammiratore di Vermeer, e quello era l’acquisto del quale andava più fiero.
Alle fine della guerra, gli Alleati trovarono il quadro e scoprirono da chi lo aveva avuto. Van Meegeren fu arrestato e accusato di aver venduto il grande capolavoro fiammingo a un nazista. Un atto di tradimento punibile con la morte.
Dopo aver trascorso sei settimane in prigione, van Meegeren confessò… un reato diverso. Disse che quello che aveva venduto a Göring era un falso. Non era un Vermeer. Lo aveva dipinto lui stesso. Ammise di aver dipinto anche altre opere attribuite a Vermeer, tra cui La cena di Emmaus, uno dei quadri più famosi nei Paesi Bassi.
All’inizio, nessuno gli credette. Per dimostrare che diceva la verità, gli chiesero di dipingere un altro Vermeer. In sei settimane, van Meegeren – circondato da giornalisti, fotografi e troupe televisive, e sotto l’effetto dell’alcol e della morfina (perché solo così riusciva a lavorare) – lo fece. Come scrisse un tabloid olandese «DIPINSE PER SALVARSI LA VITA!». Il risultato fu una creazione nello stile di Vermeer che intitolò Cristo insegna nel tempio, un dipinto di qualità palesemente superiore a quello che aveva venduto a Göring. Van Meegeren fu giudicato colpevole del reato minore di truffa e condannato a un anno di prigione. Morì prima di aver finito di scontare la pena e divenne un eroe nazionale: l’uomo che aveva ingannato i nazisti.1
Torneremo a parlare di van Meegeren più avanti, ma adesso pensiamo al «povero» Göring e a quello che deve aver provato quando scoprì che il suo quadro era un falso. Il maresciallo del Reich era per molti aspetti un uomo particolare – narcisista fino al ridicolo, brutalmente indifferente alla sofferenza degli altri, da uno dei suoi intervistatori fu descritto come un amabile psicopatico – ma non c’era niente di strano nella sua reazione scandalizzata. Ci saremmo sentiti tutti come lui. In parte per l’umiliazione di essere stati imbrogliati. Ma anche se non ci fosse stato l’inganno, e si fosse trattato di un semplice errore, la scoperta ci avrebbe rubato una parte del piacere. Per chi compra un quadro che ritiene sia di Vermeer, una parte della gioia è data dalla certezza che sia stato lui a dipingerlo. Se questa convinzione si rivela errata, il piacere diminuisce. (Viceversa – e casi del genere si sono verificati –, scoprire che un quadro che ritenevamo fosse una copia o un’imitazione è un originale, ci darà più piacere e ai nostri occhi il suo valore aumenterà.)
Questo non succede solo con l’arte. Il piacere che traiamo da ogni tipo di oggetti quotidiani è collegato a quella che crediamo sia la loro storia. Pensate a questi esempi:
– un metro a nastro che è stato di John F. Kennedy (venduto all’asta per 48 875 dollari);
– le scarpe lanciate contro George W. Bush da un giornalista iracheno nel 2008 (per le quali si dice che un milionario saudita abbia offerto 10 milioni di dollari);
– un altro oggetto lanciato, la palla da baseball colpita da Mark McGwire nel suo settantesimo home run (comprata per 3 milioni di dollari dall’imprenditore canadese Todd McFarlane, il quale possiede una delle maggiori collezioni al mondo di palle da baseball famose); – l’autografo di Neil Armstrong, il primo uomo sulla Luna;
– una striscia della stoffa del vestito da sposa della principessa Diana;
– le prime scarpette di vostro figlio;
– la vostra fede nuziale;
– l’orsacchiotto di un bambino.
Queste cose hanno un valore che va al di là della loro utilità pratica. Non tutti sono collezionisti, ma tutti quelli che conosco hanno almeno un oggetto che considerano speciale per via della sua storia, perché è collegato a una persona che ammirano, a un evento significativo o a qualcuno che per loro è importante. Questa storia è invisibile e intangibile, e nella maggior parte dei casi non c’è modo di distinguere quell’oggetto speciale da un altro che gli assomiglia. Eppure ci dà piacere, mentre l’altro ci lascerebbe assolutamente indifferenti. Il tema di questo libro è proprio questo genere di misteri.
Piaceri animali e piaceri umani
Alcuni piaceri sono più facili da spiegare di altri. Pensate al motivo per cui ci piace bere l’acqua. Perché dissetarci ci dà tanta gioia e perché è una tortura privare qualcuno dell’acqua per un lungo periodo? Be’, questa è facile. Gli animali hanno bisogno di acqua per sopravvivere, e quindi sono motivati a cercarla. Il piacere è il premio per averla trovata, il dolore è la punizione per doverne fare a meno.
Tutto questo è semplice e giusto, ma solleva un altro interrogativo: perché le cose funzionano così bene? Per parafrasare le parole di una canzone dei Rolling Stones, è davvero comodo «that we can’t always get what we want», non poter sempre avere quello che vogliamo, ma vogliamo sempre quello che ci serve. Naturalmente, nessuno pensa che questo avvenga per puro caso. Un teista direbbe che questo collegamento tra piacere e sopravvivenza è frutto dell’intervento divino: Dio voleva che le sue creature vivessero abbastanza a lungo da andare e moltiplicarsi, così ha instillato in loro il desiderio dell’acqua. Per un darwinista, quel collegamento sarebbe il prodotto della selezione naturale. Le creature del lontano passato che erano motivate a cercare l’acqua si sono riprodotte di più di quelle che non lo erano.
Più in generale, dal punto di vista dell’evoluzionismo – che a mio parere è più utile del teismo per spiegare come funziona la mente umana – il piacere serve a indurre certi comportamenti che sono positivi per i geni. Come osservò nel 1884 lo psicologo comparativo George Romanes: «Il piacere e il dolore si sono probabilmente evoluti in parallelo con i processi che sono rispettivamente utili o dannosi per l’organismo, e quindi al fine di far cercare all’organismo gli uni e fargli evitare gli altri».2
La maggior parte dei piaceri non umani è comprensibilissima da questo punto di vista. Se state addestrando il vostro cane, non lo premiate leggendogli una poesia o portandolo all’opera, gli date una ricompensa di tipo darwiniano come un buon bocconcino. Gli animali non umani amano il cibo, l’acqua e il sesso, vogliono riposarsi quando sono stanchi, si lasciano tranquillizzare da un gesto affettuoso e così via. Amano quello che la biologia evoluzionistica sostiene che dovrebbero amare.
E noi? Anche noi esseri umani siamo animali e perciò condividiamo molti dei piaceri delle altre specie. Lo psicologo Steven Pinker ha osservato che siamo più felici «quando siamo in buona salute, mangiamo bene, conduciamo una vita confortevole, sicura, agiata, sappiamo un sacco di cose, siamo accoppiati, amati».3 È una bella lista di piaceri, e non dubito neanche per un attimo che possano essere spiegati ricorrendo allo stesso processo che ha dato origine ai desideri di animali come gli scimpanzé, i cani e i topi. Dal punto di vista adattivo è utile cercare il benessere, il cibo, la comodità e così via, e provare piacere nel raggiungere questi obiettivi. Per usare le parole dell’antropologo Robert Ardrey, «discendiamo da scimmie evolute, non da angeli caduti».4
Ma questa lista è incompleta, lascia fuori l’arte, la musica, la narrativa, gli oggetti che hanno un valore affettivo e la religione. Forse tutti questi piaceri non sono esclusivamente umani. Una volta ho sentito dire da un esperto di primati che alcuni, quando sono in cattività, si aggrappano a oggetti che danno loro sicurezza e c’è chi sostiene che gli elefanti e gli scimpanzé siano capaci di creare opere d’arte (anche se, come spiegherò più avanti, su questo sono piuttosto scettico). Comunque sia, queste non sono attività consuete per gli animali non umani, sono tipiche della nostra specie, sono presenti in tutti gli individui normali. E questo richiede una spiegazione.
Una possibile risposta è che i nostri piaceri esclusivamente umani non siano il risultato della selezione naturale né di qualsiasi altro processo di evoluzione biologica. Sono frutto della cultura, e sono esclusivamente umani perché solo gli esseri umani hanno una cultura (o comunque una cultura sufficiente per incidere da questo punto di vista).
Nonostante le critiche che spesso si sentono rivolgere da studiosi più orientati verso la teoria dell’adattamento, quelli che propongono questo tipo di spiegazione non sono necessariamente ignoranti né tengono in scarsa considerazione la biologia evoluzionistica. Non dubitano che gli esseri umani, e il loro cervello, si siano evoluti. Semplicemente non credono che esistano idee innate, moduli specializzati e organi mentali. Ritengono piuttosto che noi esseri umani siamo speciali perché siamo più flessibili e possediamo una maggiore capacità di creare e apprendere idee, comportamenti e gusti, indipendentemente dalla nostra biologia. Gli altri animali sono istintivi, gli esseri umani sono intelligenti.
Almeno in una certa misura, questa teoria deve essere corretta: nessuno può negare la flessibilità mentale della nostra specie, né il fatto che la cultura struttura e condiziona il piacere umano. Se vinciamo un milione di dollari alla lotteria, possiamo anche ululare dalla gioia, ma è stata la nostra storia a determinare l’importanza del denaro, non la replicazione e la selezione dei geni. In realtà, anche quei piaceri che condividiamo con gli altri animali, come quelli per il cibo e il sesso, si manifestano in modo diverso nelle varie società. Ogni paese ha la sua cucina, i suoi rituali sessuali, perfino le sue forme di pornografia, e questo non è sicuramente dovuto al fatto che i suoi cittadini sono geneticamente diversi da quelli di altri paesi.
Qualcuno più incline a dare la priorità alla cultura potrebbe essere tentato di dire che, sebbene abbia svolto un ruolo limitato nel determinare quello che ci piace – tutti abbiamo sviluppato la fame, la sete, l’impulso sessuale, la curiosità e alcuni istinti sociali –, la selezione naturale ha ben poco a che vedere con i nostri gusti specifici. Per usare le parole dello studioso Louis Menand: «Ogni aspetto della vita ha un fondamento biologico esattamente nello stesso senso, e cioè nel senso che se non fosse biologicamente possibile, non esisterebbe. Al di fuori di questo, non c’è nessuna regola».5
Nei prossimi capitoli, cercherò di dimostrare che il piacere non funziona così. La maggior parte dei piaceri è di origine evolutiva, non acquisita dalla società. Ed è condivisa da tutti gli esseri umani. Le diverse forme che assume non sono altro che variazioni su un tema universale. La pittura è un’invenzione culturale, ma l’amore per l’arte non lo è. Le società hanno diversi modi di narrare, ma le loro storie hanno tutte certi intrecci in comune. I gusti in materia di cibo e di sesso variano, ma non troppo.
È vero che possiamo immaginare culture in cui il piacere è molto diverso, in cui la gente strofina il cibo sulle feci per renderlo più gustoso e non è interessata al sale, allo zucchero o al peperoncino, o in cui spende una fortuna per comprare falsi e getta gli originali nella spazzatura, o fa la fila per ascoltare una serie di scariche elettriche e rabbrividisce ascoltando una melodia. Ma questa è fantascienza, non realtà.
Un modo per riassumere tutto questo è dire che gli esseri umani partono con una lista fissa di piaceri, alla quale non possono aggiungere nulla. Potrà sembrarvi un’affermazione assurda, perché ovviamente possiamo sempre introdurre nuovi piaceri in questo mondo, come abbiamo fatto quando abbiamo inventato la televisione, la cioccolata, i videogame, la cocaina, il vibratore, la sauna, le parole crociate, i reality show, i romanzi e così via. Ma secondo me tutte queste cose sono piacevoli perché non sono niente di nuovo, sono collegate – in modo abbastanza diretto – a piaceri che gli esseri umani già conoscevano. La cioccolata belga e le costolette d’agnello alla griglia sono invenzioni moderne, ma soddisfano il nostro gusto primario per lo zucchero e i grassi. Vengono continuamente creati nuovi tipi di musica, ma una creatura biologicamente impreparata ad apprezzare il ritmo non le troverebbe mai piacevoli, continuerebbe sempre a considerarle rumore.
Essenzialismo
Molti dei più importanti piaceri umani sono universali. Ma non sono adattamenti biologici. Sono il sottoprodotto di sistemi mentali che si sono evoluti per altri scopi.
Per alcuni piaceri questo è evidente. Per esempio, a molte persone piace il caffè, ma non certo perché in passato gli amanti del caffè si sono riprodotti più di quelli che lo odiavano. Bensì perché il caffè è uno stimolante, e spesso ci fa piacere essere stimolati. Questo è un esempio ovvio, ma penso che la teoria del sottoprodotto possa aiutarci a capire alcune cose che ci interessano e che ci lasciano perplessi. L’ipotesi che intendo esplorare è che questi piaceri sono, almeno in parte, sottoprodotti accidentali di quella che potremmo chiamare una mentalità «essenzialista».
Un buon esempio di essenzialismo lo troviamo in un lungo racconto di J.D. Salinger che vede uno dei suoi personaggi preferiti, Seymour, raccontare a un bambino un aneddoto taoista. Il Duca Mu chiede al suo amico Po Lo di trovargli qualcuno in grado di riconoscere un cavallo eccezionale. Po Lo gli consiglia un esperto di nome Kao. Il Duca lo assume e poco dopo Kao dice di aver trovato un animale che risponde ai suoi requisiti, si tratta di una cavalla baia. Il Duca Mu compra l’animale che gli è stato consigliato ma, con sua grande sorpresa, scopre che è uno stallone nero.
Infuriato, il Duca Mu dice a Po Lo che il suo cosiddetto esperto è un idiota, incapace perfino di distinguere il colore e il sesso di un cavallo. Po Lo, invece, è entusiasta della notizia:
«Si è veramente comportato così?» gridò. «Eh, allora è diecimila volte più bravo di me. Non c’è paragone tra me e lui. Ciò che interessa a Kao è il meccanismo spirituale. Per assicurarsi l’essenziale dimentica i dettagli più comuni; tutto intento alle qualità interiori, perde di vista le esteriori. Egli vede ciò che vuole vedere e non ciò che non gli interessa. Egli guarda le cose che si devono guardare e tralascia quelle che non hanno alcuna importanza.»6
Il cavallo, naturalmente, si rivela un animale magnifico.
Questo è un esempio di essenzialismo, secondo cui le cose possiedono una realtà implicita, una vera natura che non possiamo osservare direttamente, ma è proprio quella natura nascosta a contare.7 La definizione classica di essenza ce la dà John Locke: «l’essere stesso di una cosa, per cui essa è quello che è. E così la costituzione interna reale delle cose, che però è generalmente […] sconosciuta, dalla quale dipendono le loro qualità scopribili, può esser chiamata la loro essenza».8
Questo è un modo naturale di dare un senso a certi aspetti del mondo. Prendiamo, per esempio, l’oro. All’oro noi pensiamo, spendiamo soldi per averlo, ne parliamo, ma quando facciamo tutto questo non stiamo pensando a una categoria di oggetti che casualmente si assomigliano. Se dipingiamo con la vernice dorata un mattone, non diventa un mattone d’oro. L’alchimia, in fondo, è una faccenda seria. Se vogliamo sapere se un oggetto è d’oro, dobbiamo chiedere a un esperto, magari a un chimico, di fare le prove necessarie per stabilire la sua struttura atomica.
Oppure prendiamo le tigri. La maggior parte delle persone non sa esattamente che cosa fa di una tigre una tigre, ma nessuno pensa che sia solo una questione di aspetto. Se gli mostriamo una serie di immagini in cui una tigre assume gradualmente l’aspetto di un leone, anche un bambino sa che quella rimane una tigre.9 L’essenza di una tigre ha a che vedere con i suoi geni, con i suoi organi interni, con una serie di aspetti invisibili che rimangono immutati anche se il suo aspetto cambia.
Nel caso di questi due esempi, dobbiamo rivolgerci alla...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. 1. L’essenza del piacere
  3. 2. Prelibatezze
  4. 3. Bedtricks: scambi tra le lenzuola
  5. 4. Insostituibili
  6. 5. Performance
  7. 6. Immaginazione
  8. 7. Sicurezza e dolore
  9. 8. Perché il piacere è importante
  10. Note
  11. Bibliografia