La Paura Degli Uomini
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La Paura Degli Uomini

  1. 158 pagine
  2. Italian
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La Paura Degli Uomini

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La paura degli uomini o quella che i maschi incutono quando si abbandonano alla violenza in guerra, per strada o tra le pareti domestiche. Ma è anche, forse soprattutto, la paura che provano gli uomini stessi di fronte all'evidente crisi di autorità che stanno vivendo. Politica e democrazia non sono mai state così deboli, le istituzioni economiche e finanziarie hanno perso credibilità con il crac dei mutui e delle banche. Tutti mondi ad assoluta predominanza maschile che ora sembrano sgretolarsi. La "questione" oggi, dunque, è quella "maschile", anche se non è affatto scontato che i protagonisti lo riconoscano... E le donne? Si dividono tra quante incassano la vittoria e si preparano a ricoprire ruoli di prestigio e quante guardano oltre. Perché, come dicono gli autori, "il femminismo non si è mai prefisso di far ottenere un posto di potere a una donna. Il femminismo desidera altro".

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Informazioni

Anno
2010
ISBN
9788865760451
1. Chi comanda in famiglia
«Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe una qualsiasi ragazza ho ascoltato il mio cuore. Il resto è venuto da sé.» Con queste parole una donna giovanissima di Alcamo, rapita il 26 dicembre del 1965, violentata e tenuta segregata, spiegherà il suo rifiuto del «matrimonio riparatore».
Franca Viola diventa presto un simbolo della forza femminile. La sua rivolta segna un cambiamento nella società italiana:1 l’ordine gerarchico maschile comincia a sgretolarsi.
Luogo principe di quell’ordine è la famiglia che, per Sant’Agostino, «costituisce l’inizio e l’elemento essenziale della società. Ogni inizio tende a un fine della stessa natura, e ogni elemento tende alla perfezione dell’insieme di cui esso elemento è parte. È evidente perciò che la pace nella società deve dipendere dalla pace nella famiglia, e che l’ordine e l’armonia dei governanti e dei governati sgorgano direttamente dall’ordine e dall’armonia che nascono dalla guida creativa e dalla commisurata risposta nella famiglia».2
Un insieme di rapporti sociali dalle origini antichissime, se in Sassonia sono stati ritrovati, stretti in un abbraccio, gli scheletri di due genitori poco più che trentenni con i loro bambini di nove e cinque anni: si tratta di una sepoltura multipla, avvenuta 4600 anni fa.
Senza andare tanto indietro nel tempo, è però evidente che lo statuto della famiglia, in società complesse come le nostre, viene di continuo ridisegnato. Schematizziamo al massimo, giacché al rinnovarsi della sua forma hanno contribuito tante cause: condizioni demografiche ed economiche; mobilità e globalizzazione; modelli di comportamento; rivoluzione nei costumi, fino alla decisa riscoperta del privato, verso un individualismo sempre più diffuso.
Tuttavia, se fino a pochi decenni addietro nella famiglia batteva il cuore pulsante del patriarcato, è stata la critica delle donne ad averla trasformata profondamente. Critica che, a partire dagli anni sessanta, ha assunto un tratto sempre più deciso, destinato a incidere in campo giuridico, politico e nella vita sociale.
La nascita del concetto di cittadinanza, la proclamazione dell’eguaglianza dei sessi («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» recita l’art. 3 della Costituzione), e soprattutto il femminismo producono sommovimenti robusti che si rifl ettono sull’ordine patriarcale e coniugale. Nonché sull’identità maschile. Sconquassandone la supremazia. Una supremazia che sul piano del diritto significa abolizione sia della potestà maritale sia della patria potestà.
Pensiamoci un momento. In un mondo sempre più tecnologico, la forza fisica non rappresenta più un elemento di superiorità. Al maschio oggi non si chiede di esibire la sua potenza virile (anche se il mondo disvelato dalle vicende private di Berlusconi sembra ancora patologicamente legato a questo stereotipo). Sono proprio le vistose eccezioni a confermare questa regola. In effetti, nei ghetti americani, nelle periferie francesi, come in quelle di tanti altri paesi del mondo occidentale, i giovani maschi, disoccupati, poco scolarizzati, vivono l’emancipazione delle ragazze come un’ulteriore umiliazione. Per recuperare una identità, si aggrappano all’ostentazione della mascolinità tradizionale.
Anacronismo puro, giacché oggi la sessualità nella coppia si può esprimere anche fuori dal matrimonio e il patto che dovrebbe tenere per l’eternità si rompe senza grandi drammi. Eppure, se le relazioni tra i sessi si sono modificate, c’è chi vuole riportarle al passato e chi, al contrario, esalta i nuovi modelli di comportamento. Per il sociologo Antony Giddens saremmo di fronte a un’inedita esperienza di democrazia, una nuova sfera dell’intimità.3
Uomini e donne spesso si mettono insieme prima del matrimonio per studiare e sperimentare il rapporto. Con progetti per il futuro fumosi, incerti. Convolano a «giuste nozze» quando i figli sono già grandi. Succede in una «società dei padri» trasformata in «società dei pari».4 Tuttavia, la famiglia non scompare. Frutto di incroci complicati, dopo secoli fa ancora dormire sonni agitati a detrattori ed estimatori. Bisogna insistere a celebrarne il declino oppure, come avviene in questi nostri giorni, dobbiamo deplorarne l’offuscamento?
Per grandi linee, vediamo cosa accade in Italia. Secondo l’Istat, il fenomeno dell’esiguo numero di nascite, che perdura da oltre vent’anni ed è legato all’incertezza del lavoro per le donne, congiuntamente all’allungamento della vita media, rende il nostro uno dei paesi più vecchi del mondo. Al contrario, in Francia e in Germania, l’attività professionale femminile sostiene la natalità ed è riuscita a invertire la tendenza. Da noi, una lieve ripresa della fecondità in anni recenti ha riguardato solo le regioni settentrionali e centrali.
La maternità, per via dei mutamenti intervenuti nel ruolo sociale femminile negli ultimi trent’anni, è un’esperienza affrontata dalle donne con uno spostamento in avanti nel corso della vita. Il 18,6% di bambini nati nel 2007 ha genitori che convivono ma non sono sposati. Le coppie di fatto hanno superato quota 500mila. Crescono le unioni libere, le famiglie ricostituite e quelle con un solo genitore. Oggi il 30% dei trentacinquenni è celibe o nubile mentre aumentano le famiglie monogenitoriali.5 Crescono le coppie che, pur considerandosi stabili, non condividono la residenza. Il tasso di fecondità femminile è tra i più bassi d’Europa. I giovani escono tardi dalla famiglia d’origine: ogni uomo o donna sposati ha alle spalle anziani da accudire. I vecchi sono tanti e spesso soli. La crescita delle famiglie unipersonali è dovuta soprattutto all’esistenza di un numero sempre più consistente di donne anziane. Le donne, una volta rimaste vedove, scelgono più spesso la via dell’autonomia rispetto a quanto fanno i vedovi. Anche la «nonnità»6 porta un segno diverso. Occuparsi (per la seconda volta) di bambini piccoli è un sostegno al giovane nucleo famigliare e si traduce in un piacere.
Il matrimonio viene giudicato dai giovani un’istituzione di grande importanza, però il tasso di nuzialità è in calo costante. 242mila i matrimoni celebrati nel 2007. Dal 1996 al 2006 sono aumentate del 39,7% le separazioni. E i divorzi del 51,4%. Ci si sposa di meno e sempre meno giovani. Poiché si lascia la famiglia di origine soprattutto in seguito alle nozze, il rinvio del matrimonio contribuisce alla permanenza dei giovani in famiglia.Per le lungaggini burocratiche del divorzio, si dilata il numero delle «separazioni di fatto». Al Nord, una coppia su due si divide in breve tempo. Benché stiano fiorendo le seconde nozze. Spesso tra separati/e o divorziati/e.
Fenomeno inquietante quello dell’instabilità coniugale.7 Dipende dall’egoismo dei contraenti, dalla superficialità con cui si infilano nel patto matrimoniale, dall’autonomia femminile?
«La Repubblica» recita l’art. 29 della Costituzione «riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.» Ma nella vita reale il potere patriarcale familiare è stato a lungo ben più oppressivo. E nessuno si era sognato di metterlo in discussione, almeno fino a quando ha tenuto l’articolo 587 del codice Rocco che «tutelava» il delitto d’onore, e avrebbe ispirato il delitto del barone Fefé Cefalù in Divorzio all’italiana.
Poi arriva il ’68. Sarà un vento di libertà a entrare nelle case scuotendo l’edificio maritale, oppure è il disordine che si insinua tra le lenzuola coniugali, circolando su quella tavola dove «si fabbricano»8 legami sentimentali e affettivi?
In quell’anno e poi nel 1969, la Suprema corte dichiara incostituzionali il reato di adulterio e di concubinato. Approdano in Parlamento i progetti di legge per eliminare dal codice il «delitto d’onore»; tuttavia perché quella norma sia definitivamente cancellata, bisognerà attendere fino al 1981, dopo la sconfitta del referendum abrogativo della legge sul divorzio (1974) e l’approvazione della legge 194 sull’aborto (1978).
La legge sul divorzio di Baslini-Fortuna-Pannella è del 1970 e del 1975 quella sul Nuovo diritto di famiglia, che instaura la parità giuridica dei coniugi, riconosce ai figli naturali la stessa tutela prevista per i figli legittimi, istituisce la comunione dei beni mentre la patria potestà viene sostituita dalla potestà di entrambi i genitori. Una legge voluta tra le altre dalla comunista Giglia Tedesco, donna tenace, che riuscirà a lasciare un segno femminile in quel Pci dove pure trionfava il «noi» della classe operaia.9
L’affermarsi della soggettività delle donne porta a nominare fin da subito l’autonomia, la libertà, la differenza dei sessi. Nel dialogo tra Pietro Consagra e Carla Lonzi,10 lo scultore e la critica d’arte discutono di reciprocità. Consagra: «La reciprocità non c’è perché tu sei troppo libera. E quindi sono sempre io a volerti trascinare sulle mie esigenze». Lonzi: «No. La reciprocità vuol dire questo: che io desidero una cosa, ho delle iniziative e tu mi segui nelle mie iniziative»... E ancora: «Sono due sogni diversi. E tu continui a pensare che io devo diventare tua complice oppure meglio nulla e io continuo a pensare di vivere con te una vita articolata, emozionante, oppure nulla».
Quasi trent’anni dopo, in ansia per una famiglia che rischia di andare in frantumi anche per la spinta di quei «due sogni diversi», un milione di persone, associazioni cattoliche in testa, si ritrova il 12 maggio 2007 a Roma, in piazza San Giovanni. È il «Family Day» dove si manifesta contro il progetto approvato dal governo Prodi dei Dico, un acronimo che sta per «Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi». Elaborato con accanimento dalle allora ministre Barbara Pollastrini (Diritti e Pari opportunità) e Rosy Bindi (Famiglia), sul disegno di legge pende l’accusa di dare troppo spazio alle coppie omosessuali. «La società deve approfondire la distinzione tra le relazioni propriamente familiari e quelle non-familiari» (il Forum delle associazioni familiari). «È un errore istituzionalizzare le convivenze fuori dalla legalità, in particolare quelle omosessuali» (Savino Pezzotta, portavoce del Comitato organizzatore del «Family Day», ex leader Cisl).
Come avviene spesso nel nostro paese, l’ideologia fa velo. «In Italia si calcola che siano circa centomila i minori con almeno un genitore gay. Secondo una ricerca di Arcigay il 17,7% dei gay e il 20,5% delle lesbiche con più di quarant’anni ha dei figli. Se però in Francia, Spagna, Gran Bretagna una legge disciplina le unioni civili, da noi alle coppie non sposate è sottratto un gran numero di diritti, tra i quali quello di assistere il partner in ospedale oppure di subentrare nel contratto di affitto della casa comune. Siamo uomini e donne come tutti, dicono molti omosessuali. Essere gay o lesbica è una cosa che semplicemente succede.»11 In realtà, mancando da parte dello Stato la legittimazione della dimensione affettiva degli omosessuali, cresce pericolosamente il disprezzo nei loro confronti. O perlomeno l’imbarazzo. Così, la stampa, la tv, di fronte alla morte di Domenico Riso,12 del suo compagno Pierrick Charilas e del figlio Ethan di tre anni sceglie di nascondere (unica eccezione, il Corriere della Sera) quel rapporto. Non ne parlano; rimuovono con un velo di ipocrisia la storia del gay siciliano che a Parigi si era costruito una famiglia. La vita delle persone omosessuali interessa i mass media solo nei casi di cronaca nera. Quasi non esistessero le parole per raccontare una storia d’amore tra due uomini o tra due donne.
Il movimento studentesco nel ’68 aveva sputato sulle convenzioni e le gabbie del conformismo. Però il maschilismo è duro a morire. Certo, negli anni settanta si comincia a parlare di liberazione dei «compagni omo». Più che altro una moda. A insistere sull’«universale presenza del desiderio omoerotico, normalmente negata dall’ideologia capitalistico-eterosessuale»13 sarà Mario Mieli, morto suicida giovanissimo.
Lo slogan «una donna senza uomo è come un pesce senza bicicletta» era stato il modo paradossale per mettere in discussione, da parte del femminismo anni settanta, la «costrizione all’eterosessualità». Più di recente, il discorso di alcune pensatrici femministe (da Donna Haraway a Teresa de Lauretis a Judith Butler) ha come bersaglio l’«istituzione» eterosessuale imposta ai corpi, alle differenze sessuali, ai ruoli di «genere». Ma se l’identità sessuale femminile non ha più a che fare con quella biologica, se si trasforma in una scelta instabile, in un mero prodotto culturale, gli uomini e le donne possono sottrarsi all’idea di famiglia che si è strutturata nei secoli. La discussione è aperta.
Comunque dopo più di trent’anni, la presenza del «desiderio omoerotico» non ha ancora una legittimità. La società politica si chiude a riccio di fronte all’aspirazione dei gay di ottenere un riconoscimento giuridico. Anche se nei Dico non si accenna neppure alla possibilità del matrimonio tra omosessuali. Il tentativo è piuttosto quello di estendere a gay e lesbiche i diritti dell’accordo tra un uomo e una donna «stipulato alla presenza di un ufficiale di stato civile o di un ministro di culto».
Negando quelle tensioni e contraddizioni che appartengono alla vita umana, la Chiesa, un pezzo della politica istituzionale, e una parte degli italiani hanno deciso che l’eterosessualità coniugale è nell’ordine delle cose. D’altronde, il Vaticano ha spiegato senza mezzi termini che il suo no alla proposta di depenalizzazione dell’omosessualità avanzata dalla Francia ha origine nel timore delle conseguenze: la depenalizzazione potrebbe tramutarsi in una valorizzazione dell’omosessualità, spingendo la comunità gay verso l’obiettivo del matrimonio o dell’adozione. E pazienza se ci sono paesi dove l’omosessualità è considerata un reato punibile con la morte.
«Proprio nel periodo della crisi più drammatica delle norme tradizionali di moralità e condotta sessuale, viene in soccorso della famiglia dominata dal maschio una forte rinascita religiosa» metteva in guardia, già qualche anno fa, lo storico Hobsbawm.14
Il matrimonio omosessuale destabilizzerebbe quella famiglia che, nel corso dei secoli, si è formata sul legame biologico. Eppure, in Italia (e nel mondo) le coppie omosessuali, che spesso adottano o generano uno o più figli, continuano a moltiplicarsi e a cercare un riconoscimento sociale. Vogliono condividere i bisogni della vita quotidiana, aiutarsi reciprocamente.
Non è facile contestare l’affermazione di un filosofo americano certamente non estremista come Ronald Dworkin sulla legittimità del matrimonio gay, peraltro riconosciuto da una sentenza della Corte Suprema di Giustizia del Massachusetts che risale al 2003. Così come in altri stati occidentali. Il matrimonio è «una risorsa sociale dal valore insostituibile per coloro a cui viene offerta», e se «consentiamo l’accesso a questa meravigliosa risorsa a una coppia eterosessuale e lo neghiamo alla coppia omosessuale, consentiamo all’una, ma non all’altra, di realizzare qualcosa che per loro ha molto valore. Che diritto ha la società di operare una simile discriminazione?».15
Nelle società dove vige il tabù del matrimonio tra omosessuali si mantiene alto l’indice dell’omofobia. «Non ho niente contro i gay però...» Soprattutto i giovani omosessuali sono relegati al silenzio, all’invisibilità in ambito scolastico o familiare. Si allarga la sofferenza psicologica di chi si sente «diverso» e socialmente condannato a questa «diversità».16
Le ricerche promosse negli Usa dall’American Academy of Pediatrics hanno confutato le opinioni di quanti affermano che essere allevato da genitori omosessuali sia un danno per il bambino. Semmai, conseguenze negative per queste famiglie sono prodotte dal permanere di comportamenti e norme discriminatorie nei loro confronti delle quali soffrono, ovviamente, grandi e piccini.
Al cinema le avventure di Olive e dei suoi bizzarri parenti nel film Little Miss Sunshine hanno grande successo, ma in Italia Parlamento e partiti non fanno grandi sforzi per interpretare la domanda di assunzione di responsabilità che arriva dalle coppie omosessuali. Vanno comunque protetti i figli di lui o di lei? Ci si può amare, sposare e quindi lasciare con il divorzio dopo un anno di convivenza? È lecito convivere e rifiutare di assumersi il legame matrimoniale? E i gay che vogliono sposarsi possono farlo o per loro deve valere una sorta di contratto che somiglia tanto a un matrimonio di serie B?
Abbiamo segnalato che la volubilità della famiglia provoca inquietudine. Nel governo Berlusconi, il ministro del Tesoro Giulio Tremonti, il sottosegretario al Welfare Maurizio Sacconi, la ministra all’Istruzione Mariastella Gelmini rispondono alla solita maniera: a destrutturare la famiglia sono stati i sessantottini. In realtà la famiglia si adatta alle mutate condizioni storiche. E dal momento che «non possiamo comprendere i rapporti di parentela senza analizzare gli attributi sociali collegati a ciascun sesso e che li costituiscono come generi differenti»,17 dobbiamo tornare alle donne. Sono loro ad aver contestato il modo in cui un sesso si era affermato sull’altro: una famiglia ingiusta fabbrica una società ingiusta.
L’autorità maschile, non solo quella che provocava arbitrio e prepotenza, da tempo vacilla. Va da sé che la famiglia si è retta per secoli sul ruolo paterno. Quando – annuncio del ’68 – a Valdagno ruzzola, per mano operaia, la statua dell’industrialefondatore Marzotto, viene contestato l’autoritarismo del padrone, del professore, del poliziotto e del padre.
Dopo aver seguito princìpi che parevano immodificabili, adesso quest...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Introduzione. Ora la questione è maschile
  3. 1. Chi comanda in famiglia
  4. 2. La nostra violenza quotidiana
  5. 3. La battaglia sul corpo femminile
  6. 4. Il ritorno della religione
  7. 5. Il lavoro e la vita
  8. 6. Le nuove pioniere
  9. 7. Un mondo per due
  10. Note
  11. Appendice
  12. Ringraziamenti