Il teatro di Verdi in scena
eBook - ePub

Il teatro di Verdi in scena

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il teatro di Verdi in scena

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Elvio Giudici ripercorre le tappe delle più significative rappresentazioni verdiane per capire come è cambiata la regia del melodramma negli ultimi sessant'anni. Con tutte le mises en scène di Verdi che hanno fatto la storia della drammaturgia del teatro d'opera dagli anni cinquanta a oggi. 25 opere – dall'Aida del 1953 ai Vespri siciliani del 2011.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il teatro di Verdi in scena di Elvio Giudici in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Media & Performing Arts e Opera Music. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788865762653

DON CARLO

(Don Carlos)
(opera in cinque atti di Joseph Méry e Camille du Locle; traduzione di Achille de Lauzières e Angelo Zanardini)
Parigi 11 marzo 1867
seconda versione Milano 10 gennaio 1884
1980 (edizione Modena) Vasile Moldoveanu (Carlo), Renata Scotto (Elisabetta), Paul Plishka (Filippo), Sherrill Milnes (Posa), Tatiana Troyanos (Eboli), Jerome Hines (Inquisitore), John Cheek (Frate); coro e orchestra del Metropolitan, direttore James Levine, regia John Dexter; regia video Kirk Browning
THE MET OPERA (2 dvd) 4:3 (ingl) ★★★★
1983 (edizione Modena) Plácido Domingo (Carlo), Mirella Freni (Elisabetta), Nicolai Ghiaurov (Filippo), Louis Quilico (Posa), Grace Bumbry (Eboli), Ferruccio Furlanetto (Inquisitore), Julien Robbins (Frate); coro e orchestra del Metropolitan, direttore James Levine, regia John Dexter; regia video Brian Large
DG (2 dvd) 4:3 (it/ingl/fr/ted/sp/cin) ★★★★
1984 (edizione Milano) Giacomo Aragall (Carlo), Montserrat Caballé (Elisabetta), Simon Estes (Filippo), Renato Bruson (Posa), Grace Bumbry (Eboli), Luigi Roni (Inquisitore), Olim Sadoullaiev (Frate); coro di Radio France, orchestra Nazionale di Francia, direttore Thomas Fulton, regia Jean-Claude Auvray; regia video Jean-Paul Chambas
HARDY (2 dvd) 4:3 (it/ingl/fr/ted/sp) ★★
1985 (edizione Modena) Luis Lima (Carlo), Ileana Cotrubaş (Elisabetta), Robert Lloyd (Filippo), Giorgio Zancanaro (Posa), Bruna Baglioni (Eboli), Joseph Rouleau (Inquisitore), Matthew Brest (Frate); coro e orchestra del Covent Garden, direttore Bernard Haitink, regia Luchino Visconti (riallestita da Christopher Renshaw); regia video Brian Large
WARNER (2 dvd) 4:3 (it/ingl/fr/ted/sp) ½
1986 (edizione Milano) José Carreras (Carlo), Fiamma Izzo D’Amico (Elisabetta), Ferruccio Furlanetto (Filippo), Piero Cappuccilli (Posa), Agnes Baltsa (Eboli), Matti Salminen (Inquisitore), Franco De Grandis (Frate); cori dell’Opera Nazionale di Sofia e della Staatsoper di Vienna, Berliner Philharmoniker, direttore Herbert von Karajan, regia teatrale e video Herbert von Karajan
SONY CLASSICAL (2 dvd) 4:3 (it/ingl/fr/ted/sp)
1992 (edizione Milano) Luciano Pavarotti (Carlo), Daniela Dessì (Elisabetta), Samuel Ramey (Filippo), Paolo Coni (Posa), Luciana D’Intino (Eboli), Alexander Anisimov (Inquisitore), Andrea Silvestrelli (Frate); coro e orchestra del Teatro alla Scala, direttore Riccardo Muti, regia teatrale e video Franco Zeffirelli
EMI (2 dvd) 16:9 (it/ingl/fr/ted/sp)
1996 (edizione mista Parigi-Modena-Milano, in francese) – Roberto Alagna (Carlo), Karita Mattila (Elisabetta), José van Dam (Filippo), Thomas Hampson (Posa), Waltraud Meier (Eboli), Eric Halfvarson (Inquisitore), Csaba Airizer (Frate); coro del teatro Châtelet di Parigi, orchestra di Parigi, direttore Antonio Pappano, regia Luc Bondy; regia video Yves André Hubert
WARNER (2 dvd) 16:9 (it/ingl/fr/ted/sp) ★★½
2004 (edizione Parigi, in francese) Ramón Vargas (Carlo), Iano Tamar (Elisabetta), Alastair Miles (Filippo), Bo Skovhus (Posa), Nadja Michael (Eboli), Simon Yang (Inquisitore), Dan Paul Dumitrescu (Frate); coro e orchestra Wiener Staatsoper, direttore Bertrand De Billy, regia Peter Konwitschny; regia video Anton Reitzenstein
ARTHAUS (2 dvd) 16:9 (it/ingl/fr/ted/sp) ★★½
2004 (edizione Milano) – Rolando Villazon (Carlo), Amanda Roocroft (Elisabetta), Robert Lloyd (Filippo), Dwayne Croft (Posa), Violeta Urmana (Eboli), Jaakko Ryhänen (Inquisitore), Giorgio Giuseppini (Frate); coro della Nederlandse Opera, orchestra Royal Concertgebouw, direttore Riccardo Chailly, regia Willy Decker; regia video Misjel Vermeiren
OPUS ARTE (2 dvd) 16:9 (it/ingl/fr/ted/sp) ★★★
2008 (edizione Milano) – Stuart Neill (Carlo), Fiorenza Cedolins (Elisabetta), Ferruccio Furlanetto (Filippo), Dalibor Jenis (Posa), Dolora Zajick (Eboli), Anatoli Kotcherga (Inquisitore), Diogenes Randes (Frate); coro e orchestra del Teatro alla Scala, direttore Daniele Gatti, regia Stéphane Braunschweig; regia video Patrizia Carmine
HARDY (2 dvd) 16:9 (it/ingl/fr/ted/sp) ★★★ ½
2008 (edizione Modena) Rolando Villazon (Carlo), Marina Poplavskaya (Elisabetta), Ferruccio Furlanetto (Filippo), Simon Keenlyside (Posa), Sonia Ganassi (Eboli), Eric Halfvarson (Inquisitore), Robert Lloyd (Frate); coro e orchestra del Covent Garden, direttore Antonio Pappano, regia Nicholas Hytner; regia video Robin Lough
EMI (2 dvd) 16:9 (it/ingl/fr/ted/sp) ★★
Anche se i capolavori sono entità uniche, qualora la loro accettazione sia stata sofferta e di ciò si vogliano indagare cause ed effetti, diventa indispensabile rapportarli alla temperie culturale entro cui sono nati e che quasi sempre determina significativi riscontri nella prassi esecutiva: giacché atteggiamento comune in siffatti casi è procedere al «miglioramento» tanto della struttura narrativa quanto addirittura della stessa scrittura musicale, con risultati discutibili sempre e deliranti spesso.
Don Carlos nasce grand opéra. Ne accetta regole e convenzioni, benché la loro rigidità programmatica sia di molto attenuata dall’esserne autore Verdi, il quale riesce a indirizzarle verso un risultato teatrale che del grand opéra costituisce a mio avviso il vertice. È cosa ben bizzarra, per inciso, rilevare come questo francesissimo genere fosse stato plasmato da italiani (Spontini, Cherubini, Rossini), e fosse stato un italiano – Donizetti – ad averlo portato a risultati che non solo reggono pienamente il paragone coi massimi esempi di Meyerbeer, Auber, Halévy, ma probabilmente li superano. Il grand opéra, tuttavia, nel 1867 aveva già passato il proprio apogeo. Meyerbeer era morto da tre anni e nel ’70 Sedan batterà la campana a morto per la borghesia del Secondo impero, a solleticare i gusti della quale tale genere era stato coltivato e fatto crescere, portandolo a essere per una manciata d’anni punto di riferimento obbligato nel panorama operistico europeo, grazie all’enorme potere d’attrazione che Parigi esercitava con ogni mezzo lecito e parecchi illeciti. Ma a fine anni sessanta, era ormai avviato lungo una discesa la cui inevitabilità era solo di poco attenuata dalla lentezza con cui avveniva, consona d’altronde alla sua pachidermica struttura.
Non stupisce pertanto che anche a un’opera del valore di Don Carlos (supposto però lo scorgessero, tale valore; a leggere certi resoconti, c’è quantomeno da dubitarne) fosse riservato il destino di tanti capolavori incompresi di autori tuttavia molto amati: rimaneggiamenti e tagli più o meno radicali, onde attenuarne prima di tutto la lunghezza, ma molto di più la difficoltà dei numerosissimi passi volti al futuro, badando nel contempo a mettere in massima evidenza quelli viceversa più volti al rassicurante passato.
Una storia degli orrori perpetrati all’integrità d’una drammaturgia perfettamente compiuta in ogni sua microstruttura linguistica (questa la differenza decisiva tra Don Carlos e gli impennacchiati carrozzoni precotti dei Meyerbeer & C.) sarebbe spassosa, ma di poco costrutto. Vale più la pena sottolineare, e chiedersene le ragioni, come tali orrori entrino molto meno nella storia esecutiva di un’opera pur composita e divagante come La forza del destino (della quale non si capiva ancora l’originalissima impostazione da grande romanzo popolare, ma al cui debordante flusso melodico ci si abbandonava volentieri); e per nulla affatto in Aida. La quale assume su di sé struttura e convenzioni del grand opéra, ma stenografandole in pochi ancorché sublimi tratti capaci non solo di riassumerne il fasto scenico ma anche di giustificarlo in sede drammaturgica: e contemporaneamente portarlo a un livello musicale dove piena melodica alluvionale ed eccezionale finezza strumentale si fondono in un unicum che abbondantemente spiega come un’opera sola sia stata bastante a eclissare il genere musicale che pure ne presiedette alla concezione. Perché mettere in scena Aida equivaleva a risparmiarsi la fatica di far camminare i pachidermi del grand opéra, senza per questo rinunciare al gratificante loro fasto spettacolare, resa anzi più eccitante dalle sue ben più alte qualità musicali.
Problemi e difficoltà di Don Carlos dovevano dunque risiedere in un altro campo, che peraltro non è difficile individuare: drammaturgia e linguaggio scelto per esprimerla.
La fittissima trama psicologica, ignota alle tele sgargianti dell’haute couture grandoperesca, comporta complessità d’impasti strumentali, di scrittura vocale, di colorito, di modo insomma d’esprimersi, in virtù delle quali l’opera si proietta ben al di là del proprio tempo. Un tempo, peraltro, di modestia sconfortante ove si pensi che gli operisti coevi interessatisi al grand opéra nel Belpaese si chiamavano, ahinoi, Filippo Marchetti, Amilcare Ponchielli, Lauro Rossi, Antonio Gomes, Giuseppe Apolloni, Stefano Gobatti; mentre all’estero stavano un po’ meglio giacché sopra tale plumbea palude volavano – magari rasoterra ma insomma volavano – le maggiori qualità d’un Gounod e d’un Saint-Saëns. Dunque, a quest’opera così problematica quei tempi reagirono come regolarmente si fa in frangenti siffatti: provandosi a «normalizzarla» quanto più possibile.
Ma «fu vana impresa»: ostico il linguaggio di Don Carlos era, e ostico rimase. L’opera, se pure non s’eclissò mai veramente al modo di tante degli anni verdiani «di galera», neppure si può sostenere circolasse con la regolarità che la sua statura farebbe presupporre. Certo, la necessità di reperire sei interpreti di vaglia; l’impegno economico comportato da masse e scenografie imponenti; la difficoltà d’una scrittura orchestrale eccedente di parecchio quanto si andava producendo (almeno in area italiana), e quindi problematica per teatri non primari: tutto questo ha da essere tenuto nel debito conto, ma non costituisce differenza sostanziale rispetto a un’Aida che nessun teatro grande, piccolo o minimo mancava invece d’inserire nel proprio cartellone. E tale ostico linguaggio mantiene le sue caratteristiche anche nella revisione condotta da Verdi diciotto anni dopo, con la quale assume il titolo Don Carlo. In esso, anzi, l’adesione della musica al testo raggiunge – in tutti i punti modificati – finezza e sottigliezza d’analisi ancora più rilevanti: con ciò immergendosi molto più a fondo nell’esplorazione psicologica (psichica sarebbe termine più appropriato), e quindi incrementando senza confronto la difficoltà presso il pubblico per così dire più culinario, cui è persino sottratto il sicuro punto d’appoggio costituito dal gusto tipicamente riferibile al grand opéra. Che Don Carlo, difatti, non è più: sia che venga eseguito nell’edizione in quattro atti, sia che si recuperi il primo atto originario portando quindi la stessa edizione a cinque atti, come Verdi tacitamente approvò (perché, specie arrivato a cinquantatré anni, qualora non avesse approvato, di sicuro «tacito» non sarebbe restato).
Il problema editoriale di quest’opera è senza dubbio complesso, ma non quanto si sente ancora oggi ripetere con l’intimidente – e fasulla – indicazione dell’essere addirittura sette le sue edizioni. Che sono invece due di base, alla seconda della quale si possono (ma non si dovrebbero) aggiungere brani ricomparsi sul principio degli anni settanta ed espunti dalla prima edizione, oppure modificazioni apportate nel lasso di tempo intercorso tra prima e seconda edizione: non tali, pertanto, da giustificare la definizione di ulteriore «edizione» dell’opera. La quale è un’opera gemina, sì: però meglio sarebbe dire due opere molto diverse tra loro. Diversità sintetizzabile perfettamente nel loro chiamarsi Don Carlos la prima e Don Carlo la seconda. Rese diverse dalle rispettive forme drammaturgiche, e quindi dai rispettivi linguaggi impiegati a esprimerle. Due opere, tuttavia, che la tormentata storia editoriale ha purtroppo reso entrambe passibili di diversa articolazione interna. Necessario, pertanto, un sintetico riassunto di tali problemi editoriali che riguardano tanto Don Carlos che Don Carlo: anche perché un rilevante stato di confusione, tradotto in inesattezze non di rado parecchio gravi, persiste tuttora in diverse disamine critiche.
Caso abbastanza singolare, Don Carlos non fu conosciuto nella sua interezza neppure la sera della prima (Opéra, 11 marzo 1867), e in tali condizioni mutilate restò nel corso della sua stentata vita, prima che Don Carlo lo relegasse in un oblio pressoché completo da cui è uscito solo ai giorni nostri.

1) edizione Parigi

Nella Parigi del 1867 gli orari della vita teatrale erano regolati sulla necessità dei banlieusards, coloro cioè residenti subito fuori Parigi, di salire sugli ultimi treni delle ferrovie suburbane e di quelle dei dipartimenti limitrofi: i quali, partendo a mezzanotte e trentacinque, imponevano il tassativo termine degli spettacoli a mezzanotte precisa. Solo nelle due prove generali – 24 febbraio e 9 marzo – si poterono finalmente calcolare con precisione i minutaggi del Don Carlos che dopo sette (sette!) mesi di prove era pronto ad andare in scena: scoprendosi così che, iniziato alle sette di sera, terminava a mezzanotte e venti. 86 minuti di Entractes, più tre ore e quarantasette di musica: un’eccedenza pertanto di diciassette minuti rispetto al limite massimo consentito, che per tradizione era rapportato alla durata dell’Africaine. Da cui due soli giorni di tempo concessi a Verdi per abbatterli, riportando l’opera a una durata compatibile con gli orari dei treni (risibile, ma occorre far mente locale). Otto brani, per complessive 504 battute, furono pertanto espunti dal corpo di Don Carlos: e per centodue anni restarono, sconosciuti, nel faldone che raduna le parti per orchestra della prima esecuzione e che è conservato nella biblioteca dell’Opéra.
Nel 1969, un congresso itinerante partito da Verona e portatosi poi a Parma e Busseto, ospitò una relazione di David Rosen. Il quale aveva scoperto, nella copia della partitura d’orchestra impiegata per la prima esecuzione e conservata anch’essa alla biblioteca dell’Opéra, un passo fin lì sconosciuto del duetto Posa-Philippe (quello, beninteso, dell’edizione del 1867; quindi prima stesura delle tre che di tale duetto Verdi elaborò in successione): e comunicava come altri mutamenti fossero visibili. Comunicazione che suscitò l’immediata curiosità del critico musicale del Financial Times, Andrew Porter. Costui andò dunque a Parigi, si chiuse – ma per più tempo – nella stessa Bibliothèque, aprì il faldone di cui sopra: e scoperse tutti gli otto brani che Verdi espunse tra il 9 e l’11 marzo. Il racconto che Porter fa dell’emozione provata nel leggere venti minuti ancora sconosciuti del Verdi maggiore, è di pregnanza almeno pari a quello – celeberrimo – scritto (forse) da Verdi in merito all’ispirazione suscitatagli dai versi di «Va’, pensiero»: personalmente, li includerei entrambi nelle antologie scolastiche, per forma e contenuto meritandolo assai più di tanti cataplasmi ancor oggi in auge.
Erano, conformemente alla natura di quell’antico e benedetto faldone, parti staccate – prive quindi di testo – per orchestra e per coro. Contemporaneamente, però, David Rosen e Ursula Günther erano andati a Sant’Agata, dove rintracciarono i dodici quaderni su cui stava scritto il libretto (francese, teniamolo ben presente) adoperato da Verdi nel corso della successiva rielaborazione dell’opera: in essi, compariva logicamente anche il testo sotteso alle parti staccate rinvenute a Parigi da Porter. Da qui prese le mosse il capillare lavoro condotto da Ursula Günther e Luciano Petazzoni mirato a ricostruire nella sua interezza quanto era andato in scena nelle due prove generali del 24 febbraio e 9 marzo, e cosa era successo in seguito: il che implicava revisionare nella loro completezza (al di là quindi degli otto brani espunti) tutte le rielaborazioni esistenti.
Una massa imponente di lavoro, confluita infine nel 1974 in due volumi editi da Ricordi con la preziosa cura di Luciana Pestalozza e Fausto Broussard. I quali volumi, in veste di spartito per canto e piano (riduzione rivista e corretta da Luciano Petazzoni), riportano dunque: l’edizione completa di Parigi, con e senza gli otto brani ritrovati; le tre successive, frutto delle revisioni – scarse (Napoli), rilevantissime (Milano) o nulle (Modena) – che Verdi intraprese sul corpo dell’originario Don Carlos trasformandolo in Don Carlo. Ognuna di tali edizioni è presentata con entrambi i testi, francese in primo rigo e italiano in secondo. La riduzione per canto e piano degli otto brani espunti e da allora mai più apparsi (ritrovati, come ripeto, in veste di parti staccate per orchestra e per coro), è frutto del lavoro congiunto di molti studiosi: oltre a Rosen e Porter, ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. PREFAZIONE
  3. RINGRAZIAMENTI
  4. INTRODUZIONE
  5. AIDA
  6. ATTILA
  7. UN BALLO IN MASCHERA
  8. LA BATTAGLIA DI LEGNANO
  9. IL CORSARO
  10. DON CARLO
  11. I DUE FOSCARI
  12. ERNANI
  13. FALSTAFF
  14. LA FORZA DEL DESTINO
  15. GIOVANNA D’ARCO
  16. I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA
  17. LUISA MILLER
  18. MACBETH
  19. NABUCCO
  20. OBERTO CONTE DI SAN BONIFACIO
  21. OTELLO
  22. RIGOLETTO
  23. SIMON BOCCANEGRA
  24. STIFFELIO
  25. LA TRAVIATA
  26. IL TROVATORE
  27. I VESPRI SICILIANI