Aut Aut 369. Michel de Certeau. Un teatro della soggettività
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Informazioni sul libro

Élisabeth Roudinesco, Michel de Certeau o l'erotizzazione della storia;Diana Napoli, Il Don Coucoubazar;Gaetano Lettieri Storia come promessa del corpo perduto;Silvana Borutti, Tracce e resti. Forme dell'alterità in Michel de Certeau;Rossana Lista, Il soggetto in Michel de Certeau: un'identità impossibile;François Dosse, Michel de Certeau e l'archivio. L'enigma irrisolto della storia;Alfonso Mendiola, L'altro del sapere.CONTRIBUTIBruno Latour, Affetti dal capitalismo;Edoardo Greblo, Al di là del sangue e del suolo. I dilemmi dell'appartenenza;Antonello Sciacchitano, Certezza mitica vs incertezza scientifica;Tiziano Possamai, La ripetizione come processo di rimozione adattiva. Da Samuel Butler a Peter Sloterdijk.DISCUSSIONIAndrea Zhok, Rileggere Heidegger alla luce dei Quaderni neri.POSTPier Aldo Rovatti, "Mettersi in gioco." Qualche istruzione per l'uso.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788865765074

Contributi

Affetti dal capitalismo

BRUNO LATOUR*
“Se il mondo fosse una banca, loro l’avrebbero già salvato.” È lo slogan dipinto dai militanti di Greenpeace in una delle loro recenti campagne. Il fatto che troviamo la battuta non solo ironica, ma anche tragicamente realistica, la dice lunga sul livello di decadenza in cui ci troviamo. Lo slogan ha lo stesso desolante realismo della famosa battuta di Frederick Jameson: “Al giorno d’oggi pare più facile immaginare la fine del mondo che immaginare la fine del capitalismo”.
Se chiamiamo il mondo, il mondo in cui viviamo, “prima natura” e il capitalismo “seconda natura” – nel senso di ciò a cui siamo totalmente abituati e che si è del tutto naturalizzato –, allora ciò che questi aforismi ci dicono è che la seconda natura è più solida, meno transitoria e meno deperibile della prima. Non c’è da stupirsi: il mondo trascendente dell’aldilà è sempre stato più duraturo del povero mondo di quaggiù. La novità sta nel fatto che il mondo dell’aldilà non è più una dimensione di salvezza e di eternità, ma è il mondo dell’economia. Per dirla con Karl Marx, le banche si sono pienamente appropriate del mondo della trascendenza! Con un colpo di scena inaspettato, il mondo dell’economia, lungi dal rappresentare un materialismo solido e con i piedi per terra, un robusto appetito di beni terreni o di dati di fatto tangibili, ora costituisce invece il mondo ultimo e assoluto. Non avevamo capito niente. Evidentemente erano le leggi del capitalismo che Gesù aveva in mente quando avvertiva i suoi discepoli che “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Matteo 24,35).
Questo rovesciamento di ciò che è transitorio e di ciò che è eterno non è più uno scherzo, specialmente da quando quella che potremmo chiamare “la strategia australiana di sonnambulismo volontario verso la catastrofe” dopo le ultime elezioni viene applicata a pieno regime.1 Non pago di aver smantellato le istituzioni, le organizzazioni e gli strumenti scientifici grazie ai quali la sua legislatura avrebbe avuto l’occasione di prepararsi ad affrontare la nuova minaccia globale dei cambiamenti climatici,2 il primo ministro Tony Abbott sta smantellando uno dopo l’altro anche la maggior parte dei dipartimenti di scienze sociali e di studi umanistici.3 Una strategia di questo tipo ha perfettamente senso: non pensare al futuro è probabilmente la cosa più razionale da fare, se sei australiano e hai dato un’occhiata a quello che sta per accadere. “Non pensare” pare lo slogan del momento, se si considera che solo negli Stati Uniti vengono spesi qualcosa come un miliardo di dollari4 per generare ignoranza riguardo alle origini antropiche dei cambiamenti climatici. In altri tempi gli scienziati e gli intellettuali si lamentavano del poco denaro speso per l’istruzione, ma non si erano mai visti tanti fiumi di denaro spesi per disimparare ciò che si sapeva già. Mentre in passato il pensiero critico era associato al guardare avanti e all’emanciparsi da un vecchio passato oscurantista, oggi si spendono soldi per diventare più oscurantisti di ieri! L’“agnotologia”, la scienza del generare ignoranza di cui parla Robert Proctor, è diventata la disciplina più importante del momento.5 È grazie a questa grande scienza che tante persone in cuor loro si sentono di poter dire: “Che crepi il mondo, basta che la mia banca sopravviva!”. Continuare a pensare è un compito disperato quando i poteri dell’intelligenza sono concentrati a far cessare ogni attività di pensiero per procedere a occhi ben chiusi.
Che cos’è che genera, in questa seconda natura, una tale mancanza di sensibilità per le condizioni mondane della nostra esistenza? Questo è il problema che dobbiamo affrontare.
Propongo di considerare il capitalismo non come una cosa nel mondo, ma come un particolare modo di essere affetti nell’atto di sbrogliare l’inquietante matassa di miseria e lusso che ci troviamo davanti, nel momento in cui affrontiamo il suo fumoso intreccio di “beni” e di “mali”. Il capitalismo è un concetto inventato per tenere insieme questa strana miscela di entusiasmo per la cornucopia dell’abbondanza, che ha risollevato miliardi di persone dalla povertà più abbietta, e di indignazione, collera, furia in risposta alla miseria rovesciatasi su miliardi di altre persone. Ciò che trovo particolarmente insopportabile è il sentimento di impotenza che accompagna ogni discussione di carattere economico, e che trovo completamente inconciliabile con ciò che considero gli effetti più importanti della scienza e della politica, dal momento che queste ultime hanno proprio il compito di aprire possibilità e margini di manovra. Come mai, quando siamo chiamati in causa contro il capitalismo, ci sentiamo – e anch’io mi sento – così impotenti? Trovatomi di fronte a questa questione, ho deciso di cominciare con quest’idea, vale a dire che una delle affezioni del capitalismo, cioè del pensare in termini di capitalismo, è quella di generare, per la maggior parte delle persone che non beneficiano della sua ricchezza un sentimento di impotenza, e per le poche che ne beneficiano un immenso entusiasmo e un ottundimento dei sensi. Quindi, quando usiamo il capitalismo come chiave di interpretazione degli eventi, otteniamo, da un lato, necessità imposte dalle quali non si scappa e un sentimento di rivolta contro di esse che spesso finisce in impotenza; e dall’altro, possibilità illimitate accompagnate da una totale indifferenza per le conseguenze a lungo termine.
Questo strano miscuglio di destino e di hybris non è certo il modo in cui avveniva inizialmente l’incontro con la prima natura: né l’impotenza, né l’entusiasmo illimitato, né l’indifferenza per le conseguenze delle proprie azioni avrebbero permesso agli esseri umani di abitare la terra molto a lungo. Le virtù per trattare con la prima natura sembrano essere piuttosto un solido pragmatismo, i limiti alla fiducia nella nostra furbizia, un sano rispetto per i poteri della natura, una cura profonda per la fragilità dell’impresa umana. Cura e precauzione: comprendere in modo pieno e mondano i pericoli e le possibilità di questo mondo di quaggiù. Un’occhiata a Tim Ingold o Marshall Sahlins o a qualunque lavoro di antropologia dell’“economia dell’età della pietra” sarà sufficiente per convincerci di questo punto.
Si sente spesso dire che la ragione per cui la seconda natura è così solida e trascendente è perché essa è governata dalle “leggi dell’economia”, tanto eterne e solide quanto le “leggi della fisica”. Mi è capitato di sentire questa vecchia solfa anche pochi giorni fa alla radio francese.6 Oggi però non è più possibile aggiungere semplicemente al mucchio di leggi che regolano la prima natura quelle della seconda. Gli scienziati del clima stanno usando le leggi della fisica per rendere conto di ciò che accade alla prima natura, mentre gli scettici del clima stanno schierando le leggi dell’economia che governano la seconda natura contro le leggi che governano la Terra. In uno dei due sistemi legali l’anidride carbonica non gioca alcun ruolo, mentre nell’altro è uno dei principali imputati. Che battaglia! Dovremmo essere pronti a dichiarare che conosciamo con maggior precisione la seconda natura rispetto alla prima? Dovremmo ammettere che gli economisti hanno scoperto un tipo di certezza, di incontrovertibilità superiore a quella delle leggi della fisica? Che la loro anidride carbonica è più reale dell’anidride carbonica dei climatologi? In questo caso avrebbe ragione Greenpeace: “Se il mondo fosse una banca, loro l’avrebbero già salvato”.
Che le cose non stiano così è ovvio per tutti gli scienziati praticanti, siano essi biologi, chimici o fisici – così come per tutti gli economisti sul campo. Testare, calcolare, combinare le leggi della natura (intendo della prima natura) non genera un sentimento di impotenza, né necessità incontestabili. Piuttosto il contrario. Lo slogan degli scienziati in laboratorio magari non sarà l’obamiano “Yes we can!” ma almeno un “Yes we could”, “Sì, potremmo”. E subito gli addetti ai lavori si mettono a discutere. Più sei vicino alla pratica scientifica, più possibilità si aprono; più si fa intimo il tuo contatto con la prima natura, maggiori sono le sorprese, più numerosi sono gli attori (agencies) inaspettati che spuntano fuori e i margini di manovra che si guadagnano. Non è questo il genere di esperienza che facciamo quando leggiamo o scriviamo letteratura scientifica? Nella scienza, quando spunta la necessità, si moltiplicano le possibilità.
Com’è allora che quando si passa alla seconda natura e spuntano le sue necessità, le possibilità svaniscono e sopravviene un profondo sentimento di impotenza? Perché ogni allusione al capitalismo ha come sottotitolo la triste affermazione: “Mi spiace, non c’è altro modo”? E questo nonostante gli economisti stessi discutano furiosamente tra loro e quindi non si possa additare il loro unanime accordo come responsabile del sentimento di impotenza di fronte alle leggi della seconda natura. (Va ricordata la battuta del presidente Truman: “Per favore mandatemi un economista con una parte sola!” perché era stufo di sentirsi dire dai suoi consiglieri: “Da una parte, questo” ma “d’altra parte, quello”.)7 Nonostante gli economisti siano naturalmente affetti dal capitalismo, non dipende unicamente da loro il fatto che i risultati della loro ricerca appaiano sempre, alla fine, come la cifra del fato.
Perché il fato, il vecchio fatum a cui nessun umano sfugge, salta sempre fuori in connessione alla modernizzazione? Quella modernizzazione che si autodefinisce, o perlomeno che si autodefiniva, anti-fato per eccellenza? L’idea di capitalismo deve contenere un veleno talmente potente sugli effetti di ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Premessa
  4. Élisabeth Roudinesco - Michel de Certeau o l’erotizzazione della storia
  5. Diana Napoli - Il Don Coucoubazar
  6. Gaetano Lettieri - Storia come promessa del corpo perduto
  7. Silvana Borutti - Tracce e resti. Forme dell’alterità in Michel de Certeau
  8. Rossana Lista - Il soggetto in Michel de Certeau: un’identità impossibile
  9. François Dosse - Michel de Certeau e l’archivio. L’enigma irrisolto della storia
  10. Alfonso Mendiola - L’altro del sapere
  11. Contributi
  12. Andrea Zhok - Discussioni. Rileggere Heidegger alla luce dei "Quaderni neri"
  13. Pier Aldo Rovatti - Post. “Mettersi in gioco.” Qualche istruzione per l’uso