Racconti di demoni russi
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Racconti di demoni russi

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Racconti di demoni russi

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Diavoli, demoni, spiriti: gli autori più importanti della letteratura russa hanno tutti fatto i conti con le presenze demoniache e le hanno rese protagoniste di alcuni dei loro migliori racconti. Dai Demoni di Dostoevskij ai diavoli di Gogol, dal Faust di Puskin al Maestro di Bulgakov. E poi Checov, Lermontov, Leskov e tanti altri, fino anche a Stravinskij. Questa antologia, curata da Andrea Tarabbia, raccoglie i migliori racconti ispirati ai demoni, tratti da una letteratura come quella russa, pervasa dal problema del Male. In queste brevi e intensissime storie, i demoni assumono molte forme: apparizioni maligne, subdole e tentatrici, angeli caduti, nostalgici della loro passata grandezza in cielo, orridi mostri, portatori di dolore. O ancora, grumi di ossessioni, paure, violenza e follia che albergano, silenti, nell'animo umano. I grandi della letteratura russa hanno scavato tanto nella voragine infernale quanto in quella della mente dell'uomo per esumare diavoli, spiriti e demoni: nelle loro parole e nelle pagine di questo libro si nascondono creature demoniache e mostri interiori, il segreto del Male e il suo ineffabile e immortale fascino.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788865769157
parte seconda
Demoni reali
Ossessioni, storture dell’animo, violenza, follia
Il diavolo. Incubo di Ivan Fëdorovič
di Fëdor Dostoevskij
Io non sono dottore, ma sento ch’è arrivato il momento in cui è assolutamente necessario ch’io dia per lo meno qualche chiarimento al lettore sulla natura della malattia d’Ivan Fëdorovič. Anticipando sul corso degli avvenimenti, dirò soltanto una cosa: che egli si trovava, stasera, per l’appunto alla vigilia del delirio cerebrale, che finì con l’impossessarsi totalmente del suo organismo, da tanto mai tempo sconvolto, e tuttavia ostinatamente resistente al male. Del tutto ignaro di cose mediche, m’arrischio a supporre che egli, realmente, era forse riuscito, con un terribile sforzo di volontà, a procrastinare di qualche tempo l’accesso, immaginando (s’intende) di aver completamente soggiogato il male. Sapeva, egli, di non star bene; ma gli ripugnava, non voleva esser malato ora, mentre s’approssimavano quei fatali momenti della sua vita, in cui conveniva agire a viso aperto, dire le proprie cose francamente e recisamente, e soprattutto «giustificarsi di fronte a se stesso». Si era, del resto, recato una volta da quel dottore arrivato di fresco da Mosca, chiamato da Katerina Ivanovna per una di quelle sue fantasie, a cui ho già accennato sopra: e il dottore, ascoltatolo ed esaminatolo, aveva concluso ch’egli era affetto da una specie di perturbamento cerebrale, e non s’era meravigliato punto di certa confessione che l’altro, seppur con ripugnanza, s’era indotto a fargli. «Allucinazioni, nelle vostre condizioni, sono più che possibili» aveva diagnosticato il dottore «anche se bisognerebbe verificarle… In ogni modo, è necessario imprendere seriamente una cura, senza perdere un istante, o sarà peggio.» Ma Ivan Fëdorovič, una volta separatosi dal dottore, non seguì quel saggio consiglio e sdegnò di sottoporsi a una cura: «Finché la reggo, ecco qua, tiro avanti; quando cascherò giù, allora sarà un altro affare, e che mi curi pure chi vuole» decise con un gesto di noncuranza. E così, ora, stava lì seduto, sentendo confusamente egli stesso d’essere in preda al delirio, mentre, come s’è detto, ostinatamente tornava a sogguardare qualche cosa alla parete di fronte, sul divano. Là apparì a un tratto un uomo, Dio sa come entrato qui dentro, giacché nella stanza non c’era quando Ivan Fëdorovič, di ritorno da Smerdjakov, ci aveva posto piede.
Era costui un signore, o, per dir meglio, un tipo caratteristico di gentiluomo russo, non più giovane, qui frisait la cinquantaine (direbbero i francesi), con una brizzolatura non molto accentuata sui capelli scuri, piuttosto lunghi e ancor folti, e sulla barbetta tagliata a cuneo. Indossava una specie di giacca da casa color cannella, di fattura evidentemente eccellente, ma un po’ troppo portata; confezionata, a occhio e croce, un tre anni prima, e ormai completamente fuori moda, sicché da un paio d’anni nessuna agiata persona di mondo ne portava di simili. La biancheria, la lunga cravatta a mo’ di sciarpa erano, in tutto e per tutto, di quelle che portano tutti i gentiluomini eleganti; ma, a guardar da vicino, la biancheria era sporchetta, e l’ampia sciarpa era molto lisa. I calzoni dell’ospite, a quadretti, cadevano a pennello, ma erano, anch’essi, troppo chiari e direi troppo attillati, come ormai non si portavano più; allo stesso modo che il molle berretto di pelo bianco, che l’ospite s’era messo in capo troppo fuor di stagione. In una parola, si aveva la sensazione d’un’accuratezza alle prese con modestissime possibilità finanziarie. Veniva fatto di pensare che il gentiluomo appartenesse alla categoria degli oziosi ex possidenti, fioriti al tempo della servitù della gleba; uno che evidentemente avesse conosciuto il mondo e la buona società, che avesse, ai dì d’allora, avuto relazioni e magari le avesse mantenute fino a oggi, ma assumendo insensibilmente, impoverito dalla vita allegra degli anni giovanili e dalla recente abolizione della servitù, certe maniere da parassita di classe, sempre in giro presso le buone vecchie conoscenze, che lo accolgon volentieri pel suo carattere affabile e duttile, e anche in vista del fatto che si tratta pur sempre d’un uomo distinto, che può addirittura far comodo tenere alla propria tavola, seppure, alla fin fine, in un posto modesto. Codesti parassiti, gentiluomini di carattere facile, capaci di raccontare storielle, di fare una partita a carte, e recisamente contrari a incarichi di qualsiasi genere, che si provi ad affidar loro, sono generalmente soli al mondo, siano scapoli, siano vedovi; o hanno anche dei bambini, ma i loro bambini sono infallibilmente allevati in qualche luogo lontano da loro, presso qualche zietta, che il gentiluomo nella buona società non menziona quasi mai, come vergognandosi un po’ di una simile parentela. E a poco a poco egli si dimentica del tutto anche dei figliuoli, dai quali riceve ogni tanto, pel suo onomastico e per Natale, una letterina d’auguri, a cui alle volte anche lui risponde.
Non già che la fisionomia dell’ospite inatteso fosse benevola: ma era cedevole e pronta, secondo le circostanze, a ogni amabile espressione. Orologio non ne portava, ma aveva un occhialino di tartaruga raccomandato a un cordoncino oscuro. Ivan Fëdorovič serbava un silenzio stizzoso, e non voleva incominciare a discorrere. L’ospite aspettava, e stava là seduto proprio come il parassita ch’è sceso or ora dalla camera assegnatagli per prendere il tè in compagnia del padron di casa, ma in santa pace se ne sta zitto vedendo che il padrone ha da fare e, accigliato, riflette a qualche cosa: pronto, poi, a chiacchierare di qualsiasi piacevolezza, non appena il padrone sia disposto a incominciare. A un tratto il viso di lui espresse come un’improvvisa preoccupazione.
«Senti» incominciò rivolgendosi a Ivan Fëdorovič «mi scuserai, ti voglio soltanto ricordare una cosa: ecco, tu sei andato da Smerdjakov per sapere di Katerina Ivanovna, ma sei venuto via senz’aver saputo nulla di lei: probabilmente, te ne sei scordato…»
«Ah, davvero!» sfuggì d’improvviso a Ivan, e il suo viso si velò d’angoscia. «Davvero, me ne sono scordato… Ma ormai, non fa niente, ormai a domani, con tutto il resto!» mormorò fra sé. «Ma tu» stizzosamente si rivolse all’ospite «… debbo essere stato io, un momento fa, a ricordarmene, perché era di questo che mi struggevo d’angoscia! E ora, pel fatto che tu hai interloquito, dovrei credere che sei stato tu a suggerirmelo, e non che me ne sono rammentato da me?»
«E tu non ci credere» sorrise morbidamente il gentiluomo. «Si può forse credere per forza? Tanto più che a credere non aiutano prove di nessuna specie, particolarmente prove materiali. Tomaso credette non perché vide Cristo risorto, ma perché aveva già il desiderio di credere. Pensa, per esempio, gli spiritisti… a me piacciono un monte… figurati un po’, ritengono di riuscir utili alla fede, perché i diavoli dal mondo di là mostran loro i cornetti. “Questa è pur sempre una prova, per così dire, materiale, che esiste il mondo di là.” Il mondo di là, e delle prove materiali di esso: ah che tipi! E, in fin dei conti, foss’anche dimostrato il diavolo, è proprio detto che sarebbe dimostrato Dio? Io voglio iscrivermi in una associazione idealistica, e sostenervi l’opposizione: “realista, in fondo, sì, ma non materialista, he-he!”.»
«Senti» si levò a un tratto su dal tavolo Ivan Fëdorovič. «Io ora sto come in un delirio… già, non dev’essere che un delirio… inventa quante trappole vuoi, che non me n’importa niente! Non ci riuscirai a farmi andar sulle furie, come l’ultima volta. Ho solo come un senso di vergogna… Voglio camminar per la stanza… A volte, non ti vedo, e neppur odo la voce tua, come l’ultima volta; ma sempre indovino quel che macini, perché son io, son io che parlo, e non tu! Soltanto, non saprei se dormivo l’ultima volta, o ti ho visto sveglio… Ora inzuppo l’asciugamano nell’acqua fredda e me lo applico in testa, e vedrai che tu andrai in fumo.»
Ivan Fëdorovič andò nel cantone, prese l’asciugamano, fece come aveva detto, e coll’asciugamano bagnato sul capo si mise ad andar su e giù per la stanza.
«Mi piace che, tra noi, ci siamo subito dati del tu» azzardò l’ospite.
«Stupido» scoppiò a ridere Ivan «proprio del voi, proprio, mi metterò a darti! Io ora mi sento allegro; se non mi facessero male le tempie… e questa nuca… Fammi soltanto il piacere di non metterti a filosofeggiare, come l’ultima volta. Se non puoi levarti dai piedi, almeno inventa qualche cosa allegra! Chiacchiera: tu sei un parassita, e dunque chiacchiera. Mi si sta addensando intorno uno di quegl’incubi! Ma di te non ho paura. Io riuscirò a dominarti. Non mi porteranno al manicomio!»
«C’est charmant: un parassit...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. I demoni russi. Un frammento, di Andrea Tarabbia
  4. Prologo in versi
  5. Parte prima. Demoni immaginari
  6. Parte seconda. Demoni reali
  7. Epilogo in musica
  8. Edizioni di riferimento