Aut Aut 360. All'indice. Critica della cultura della valutazione
eBook - ePub

Aut Aut 360. All'indice. Critica della cultura della valutazione

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Aut Aut 360. All'indice. Critica della cultura della valutazione

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

DAL LAGO: La (s)valutazione della ricerca. PINTO: Strumento di intelligence e tecnologia di governo. BANFI, DE NICOLAO: Valutare senza sapere. LA ROCCA: Commisurare la ricerca. COIN: Valutazione dell'utilità e utilità della valutazione. SYLOS LABINI: Valutazione e conformismo. CICCARELLI: La bolla formativa è esplosa. NICOLI: Come le falene. FOUCAULT: Che cos'è un regime di verità.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Aut Aut 360. All'indice. Critica della cultura della valutazione di AA.VV. in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Filosofia e Storia e teoria della filosofia. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788865763490

Commisurare la ricerca.
Piccola teleologia della neovalutazione

CLAUDIO LA ROCCA
In un libro ormai lontano, Herbert Marcuse parlava di “paralisi della critica”: in una situazione in cui mancano forze che avvertano il bisogno di cambiamento e siano in grado di produrlo, l’analisi critica della società si trova come condannata all’astrazione, e dunque in una posizione di sostanziale imbarazzo. La critica, “nell’impossibilità di indicare quali agenti ed enti di mutamento sociale sono disponibili” rischia, quando lo spirito del tempo soffia in modo massiccio in una direzione, incarnandosi non solo in idee, ma in fatti e istituzioni, di configurarsi – apparentemente? – come “una regressione da una teoria congiunta con la pratica storica a un pensiero astratto, speculativo”: una regressione, diceva Marcuse, “alla filosofia”.1 Un’impressione simile si può avere di fronte a tentativi di analisi critica di uno dei figli prediletti dell’odierno spirito del tempo, che va sotto il nome di “valutazione della ricerca”. Il grado massiccio di consensi verso alcune assunzioni di fondo al riguardo, il suo presentarsi in molti discorsi come qualcosa di insieme necessario e ineluttabile sembra rendere la critica, appunto, “filosofica”. E, tuttavia, credo non siano molti i casi in cui si è assistito a un fenomeno paradossale come quello che si registra nella “percezione sociale” della valutazione della ricerca: e cioè il presentarsi di un rapporto quasi inversamente proporzionale tra il consenso riservato ad alcune opinioni ormai date per indiscusse – riassunte in quella che si usa chiamare, significativamente, “cultura della valutazione” – e la consapevolezza riguardo a ciò che esse presuppongono, al significato e alla posta in gioco, ma anche riguardo alla natura dei mezzi con cui essa si dispiega, che, mai come in questo caso, non sono affatto neutrali.
Sempre più spesso si sente ripetere che “una valutazione è necessaria” – al punto da farla assurgere a conditio sine qua non della ricerca,2 quasi si fosse ignari del fatto che, se la valutazione (nelle forme qui in questione) è una novità, la ricerca esisteva ben prima, e senza. Forse ci si può chiedere come mai qualcosa di così ovviamente necessario sia stato per moltissimo tempo se non superfluo, semplicemente non percepito come ineluttabile. Solo un’interrogazione sufficientemente radicale può consentire di avvertire se qualcosa, in questo soffiare dello spirito del tempo, ovvio non è.

1. Tecnicalità. A che serve uno strumento

La discussione sulla valutazione dell’università e della ricerca si è incentrata in parte rilevante su aspetti tecnici, ossia tanto sulla questione riguardante come debba essere svolta una valutazione quanto su quella circa le modalità in cui in concreto è stata finora svolta in diversi paesi, e in Italia in particolare dall’ANVUR e dai suoi Gruppi di esperti della valutazione (GEV). Dal momento che la valutazione si presenta anche come una tecnica, la discussione sulle technicalities è non solo utile, ma indispensabile: di una tecnica va esaminata l’effi-cacia a produrre ciò che si prefigge, e dunque è essenziale l’analisi dell’adeguatezza dello strumento. È utile ricordarlo anche in riferi-mento a una diffusa parola d’ordine, che sostiene nella sostanza: “Meglio una qualche valutazione che nessuna valutazione”, ovvero: “Meglio una valutazione imperfetta che la sua assenza”.3 È un’idea che raramente vedremmo applicata ad altri ambiti dove è in gioco l’efficacia di uno strumento, e soprattutto di una misurazione. Chi vorrebbe un termometro che misurasse la febbre “in qualche modo”? Chi accetterebbe dalla sua banca che indicasse “in qualche modo” quanto è depositato sul proprio conto corrente? In questo senso credo si possa dire che una valutazione è adeguata allo scopo che si prefigge oppure non è affatto una valutazione, non lo è soltanto “un po’ meno”.
Ciò non significa, d’altra parte, che una misurazione debba essere assolutamente esatta. Una misurazione non lo è mai, per sua natura. Può avere però una griglia più o meno fine, e dunque gradi diversi di precisione. Rispetto a uno strumento, tuttavia, l’esattezza è commisurata anche all’uso che di esso si fa. La febbre non la si misura in millesimi di grado Celsius, i decimi sono del tutto sufficienti per gli scopi della medicina. Diverso potrebbe essere il discorso per un esperimento di fisica del calore. L’adeguatezza di uno strumento di misurazione ha sostanzialmente due aspetti: 1) uno relativo alla performance dello strumento stesso, ossia alla sua capacità di fare ciò per cui è stato progettato (un termometro deve indicare la temperatura in base a una certa scala, in maniera affidabile); 2) l’altro relativo al suo uso: lo stesso termometro può essere adeguato alla misurazione della febbre o della temperatura ottimale di un vino, ma non ai fini di un esperimento chimico.
Se chiamiamo adeguatezza interna (o funzionamento) la prima ed esterna la seconda, possiamo osservare come già relativamente alla prima sono state molte e attentamente motivate le perplessità riguardo a quanto messo in campo finora dall’ANVUR. Una bibliometria che non funziona, un ranking di riviste privo di criteri percepibili, un accreditamento di riviste che non rispetta gli stessi criteri proposti,4 sono comunque strumenti inadeguati, direi quasi falsi strumenti. (Credo sia necessario ripeterlo: oltre un certo grado di imprecisione, dipendente dall’uso che si intende farne, una misurazione non è una misurazione “meno buona”, ma è una misurazione inutile, dunque cessa di essere uno strumento.) Tuttavia, la stessa discussione “tecnica” sull’adeguatezza di uno strumento non può prescindere dai fini ultimi del suo utilizzo, ovvero dal secondo aspetto della sua adeguatezza. Nel nostro caso, non si può prescindere da un’analisi e discussione dei fini stessi della valutazione con quegli strumenti perseguita, altrimenti la stessa discussione tecnica perde di senso.
Su questo aspetto, ossia che cosa vogliamo veramente valutare e perché vogliamo farlo l’attenzione è stata da noi senza dubbio minore. Ciò è avvenuto, da un lato, perché l’assurdità di certi strumenti proposti rendevano già di per sé sufficienti critiche che potevano prescindere dalla discussione più ampia. Ma forse anche per due ulteriori motivi: perché la questione implica scelte politiche che si sono considerate in qualche misura già fatte, cui far seguire solo una Realpolitik di accomodamento; e perché essa coinvolge problemi di grande complessità e ampiezza, ossia quelli relativi alla natura stessa e alle finalità dell’istituzione universitaria e, attraverso di essa, della cultura e del sapere.
Rispetto al primo di questi motivi si può ricordare che molte esperienze all’estero in tema di valutazione della ricerca sono state caratterizzate da correzioni di tiro nelle normative e anche di passi indietro radicali rispetto a scelte già fatte.5 Rispetto al secondo, al sospetto di fumosità e astrattezza verso chi volesse riproporre questioni più ampie al di là delle più dure e concrete tecnicalità, credo si possa ormai opporre la consapevolezza di come non siano in gioco solo cose come la VQR, l’FFO (Fondo di finanziamento ordinario), poi le abilitazioni, magari gli stipendi, ma appunto scelte culturali, pratiche di ricerca, orientamenti circa l’istruzione, la formazione e la nostra società in generale.
Si tratta in fondo di porre o riproporre due domande che non credo qualcuno possa considerare oziose: cosa si valuta? perché si valuta?

2. Perché

Si dovrebbe partire dal cosa, dall’oggetto della valutazione, o magari dal processo stesso, dalle sue modalità, ma forse è più opportuno partire dal perché. Quella che oggi viene chiamata “valutazione della ricerca” (e poi valutazione del sistema universitario) è – si diceva – un fenomeno recente. Un implicito o esplicito processo di apprezzamento da parte della comunità scientifica circa i prodotti della ricerca, le sue istituzioni, verso tradizioni o orientamenti scientifici, anche verso entità complesse di livelli crescenti (facoltà, università, sistemi universitari nazionali), è sempre esistito. Ma non è affatto questo ciò di cui si parla oggi, quando è in questione la “valutazione della ricerca scientifica”.6 Parliamo di un’altra cosa, con alcune caratteristiche peculiari. “Valutare” è genericamente produrre un apprezzamento della qualità di qualcosa, e dunque le questioni di fondo sarebbero relative alla natura dell’oggetto di tale processo, alle modalità del processo stesso, alla forma in cui esso produce degli esiti (cosa si valuta, come, con quale output); e anche al significato di fondo del termine “qualità”. Nella neovalutazione (useremo questo termine per riferirci al processo di recente nascita che è qui in discussione) si impone però in primo piano l’aspetto teleologico, il perché. Non si può cogliere cosa è qui in questione se non si considera come essa costituisca un aspetto di un processo di “controllo della scienza da parte degli organismi di governo”.7
Essenziale per la neovalutazione, rispetto alle tradizionali forme di apprezzamento del lavoro scientifico, è il legame con la finalità ricordata: il controllo della scienza da parte dei governi, del potere politico – possiamo parlare di “controllo pubblico”. Questo ha una conseguenza importante, si potrà discutere quanto ineluttabile: il processo di valutazione è sottratto all’ambito in cui tradizionalmente si svolgeva, quello della comunità scientifica stessa, i cosiddetti “pari”, e del consenso che in essa si forma, per essere affidato a soggetti distinti. Con la neovalutazione si profila la tendenza ad affidare il processo ad agenzie di valutazione, di cui si persegue con alterne vicende la terzietà anche rispetto al potere politico, che possono fare e fanno effettivamente ricorso anche a membri e istituzioni dell’università, ma che in ogni caso rappresentano soggetti sociali nuovi e diversi da quello più indistinto e non istituzionalizzato, per certi versi magmatico, diffuso, che consisteva nella comunità scientifica, o nell’insieme mobile delle comunità scientifiche.
Il legame della valutazione con il controllo della ricerca da parte dei governi non si esaurisce nella funzionalizzazione del processo valutativo a scopi in senso ampio “politici”, ma viene declinato e orientato dalla tipologia di intervento pubblico che alla valutazione deve seguire, che consiste per lo più in un’allocazione delle risorse economiche per la ricerca. Il focus del processo valutativo è “legato alla necessità di investire risorse pubbliche per finanziare la ricerca, e quindi ai modi in cui il decisore pubblico distribuisce queste risorse tra linee e gruppi di ricerca alternativi”: il controllo pubblico non avviene con un intervento diretto sullo svolgimento della ricerca – “più sottilmente, le modalità di controllo passano attraverso la distribuzione delle risorse necessarie allo sviluppo della scienza”8 (e alla vita delle istituzioni universitarie in quanto tali). Questo punto – valutazione per (e alla fine, tramite) allocazione – conserva una sua pregnanza anche là dove la valutazione esce dai soli confini delle politiche di distribuzione delle risorse, per presentarsi con finalità diverse9 e tracimare, per esempio, nelle politiche di reclutamento. Che la valutazione possa investire per esempio anche la didattica e il fatto che essa possa avere come esito, consapevolmente perseguito o meno, anche la differenziazione tra teaching universities e research universities,10 così come il suo diffondersi su campi di applicazione molteplici, non toglie nulla al fatto che il braccio operativo con cui si traduce in atto – dunque in qualche modo la sua “finalità penultima”, se questa allocazione si inquadra a sua volta in scopi ultimi – consista sostanzialmente nell’allocazione e riallocazione di risorse.
Per quale motivo il “decisore pubblico” soltanto negli ultimi decenni ha creduto di doversi dotare di strumenti valutativi di orientamento delle proprie decisioni, in che misura questo sia legato con lo sviluppo e le trasformazioni dell’università di massa nei paesi occidentali, con la pressione del confronto internazionale, con il ruolo crescente della ricerca scientifica in ambito economico, tutto questo resta ora sullo sfondo. Questi brevissimi accenni intendono soltanto richiamare l’attenzione sul fatto che la neovalutazione contemporanea non è la prosecuzione con altri mezzi dei tradizionali e molteplici modi di apprezzamento della qualità del sapere “scientifico” che hanno inevitabilmente sempre accompagnato la sua produzione, ma qualcosa di specificamente diverso, definito da sue finalità peculiari e realizzato da soggetti in linea di principio diversi e comunque per soggetti diversi da quelli chiamati a operare nella ricerca stessa. Questo processo, e le forme con cui si sta realizzando, deve essere oggetto di riflessione. Essa può svolgersi più serenamente e forse adeguatamente se si tiene conto che, a dispetto della presenza di forti ragioni per il suo emergere, nulla obbliga a considerare ineluttabile questo fenomeno e soprattutto le forme che fino a oggi ha assunto.

3. Cosa. Cercando la qualità

Cosa interessa valutare al “decisore pubblico”? Questa domanda sembrerebbe distinta dalla domanda circa le modalità della valutazione. E tuttavia una certa interconnessione tra oggetto e strumenti è inevitabile (seppure il nesso non è necessariamente univoco e lineare) così come tra strumenti e finalità.
Per non andare lontano e non restare in astratto, pur con i rischi di esaminare solo un esempio, consideriamo il processo VQR 2004-2010 in Italia. Nel suo bando ufficiale si parla di “soggetti valutati” e “prodotti” da valutare. Senza entrare nella caratterizzazione amministrativa degli uni e degli altri, si tratta essenzialmente di chi svolge ricerca e degli output concreti di essa (pubblicazioni, brevetti ecc.). L’“esercizio” è però “rivolto alla valutazione dei risultati della ricerca scientifica delle […] strutture di ricerca”11 (università, enti di ricerca ecc.). Il risultato sarà quello di “valutare la qualità di ciascuno dei prodotti di ricerca selezionati dalle strutture, per giungere a una graduatoria delle strutture stesse”.12
In realtà, dunque, i “soggetti valutati” – che sono definiti nel decreto istitutivo “quel personale di ricerca […] che ha come esito misurabile della propria attività la pubblicazione di prodotti di ricerca”13 – non sono propriamente in questa sede l’oggetto, ma lo strumento (diremmo il materiale) per la valutazione; la loro identificazione è utile all’articolazione strumentale delle modalità della valutazione (tot prodotti per ricercatore, tot per professore ecc.), ma il fine è una valutazione – anzi propriamente una graduatoria – delle strutture, attraverso la valutazione ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Alessandro Dal Lago. Premessa. La (s)valutazione della ricerca
  3. Valeria Pinto. La valutazione come strumento di intelligence e tecnologia di governo
  4. Antonio Banfi, Giuseppe De Nicolao. Valutare senza sapere. Come salvare la valutazione della ricerca in Italia da chi pretende di usarla senza conoscerla
  5. Claudio La Rocca. Commisurare la ricerca. Piccola teleologia della neovalutazione
  6. Francesca Coin. La valutazione dell’utilità e l’utilità della valutazione
  7. Francesco Sylos Labini. Una nota su valutazione e conformismo
  8. Roberto Ciccarelli. La bolla formativa è esplosa. Educazione, disciplinamento e crisi del soggetto imprenditore
  9. Massimiliano Nicoli. Come le falene. Precarietà e pratica della filosofia
  10. MATERIALI
  11. Michel Foucault. [Che cos’è un regime di verità?]
  12. INTERVENTI
  13. Mario Novello. Diagnosi psichiatrica e giustizia