Economia canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale
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Economia canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale

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Economia canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale

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I consumatori vivono oggi in un mondo virtuale idilliaco costruito dai media. Intrappolati in una fitta ragnatela di chimere economiche e politiche, i cittadini ne sono spesso (e inconsapevolmente) parte integrante. Ma la realtà economica globale è un pianeta che muta con sconcertante intensità e rapidità. A gestirlo è l'economia canaglia, una forza indomabile in mano a nuove generazioni di spregiudicati uomini d'affari, imprenditori e finanzieri. I cittadini alimentano un subdolo meccanismo che li danneggia. Ma tutto ciò è già successo. Attraverso esempi concreti, Loretta Napoleoni descrive l'avvento e la diffusione dell'economia canaglia, invitandoci ad aprire gli occhi e a conoscere veramente il mondo in cui viviamo: dalla caduta del Muro di Berlino, attraverso gli anni novanta, la rivoluzione cibernetica, il diffondersi della pirateria fino alla tragedia delle Torri Gemelle e alla costruzione dell'impero economico cinese e di quello finanziario islamico.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788865761892
Argomento
Business

1. A letto con il nemico

Abbiamo salutato con gioia l’abbattimento del muro di Berlino, peccato sia caduto sulla testa delle donne.
COMMENTO DI UN’ESPONENTE
DELLA DUMA RUSSA
L’economia è l’imprevedibile scienza delle interdipendenze e il suo motore occulto è il mercato. Fin dall’età della pietra, la nascita di punti di scambio commerciali ha dato impulso al progresso economico. Anche le scoperte e le innovazioni acquistano nuovo significato se sono condivise, cioè quando sono scambiate. I principali beneficiari dello «scambio» non sono gli ideatori o i consumatori dei nuovi prodotti, ma chi li commercializza. Nel corso dei secoli, i mercanti hanno accumulato ricchezze immense e i politici hanno sempre saputo di doverci fare i conti. Per questo hanno stretto alleanze strategiche con lo scopo di regolamentare, limitare e manipolare il mercato a vantaggio proprio e di intere nazioni. Le principali civiltà poggiano sempre su solide basi commerciali, sapientemente difese da imponenti eserciti. Questa è una delle chiavi migliori per capire i conflitti, anche quelli dell’antichità: Roma distrusse Cartagine quando Annibale bloccò i suoi fiorenti traffici con le regioni settentrionali della penisola italiana. Per conquistare il controllo dei mercati sono state combattute infinite guerre. Venezia finanziò la Quarta crociata per saccheggiare Costantinopoli e liberare la Via della seta dai mercanti arabi, assicurandosi il monopolio del commercio con l’Estremo Oriente. In epoca moderna, il Piano Marshall è uno degli esempi migliori di come la politica abbia asservito l’economia per ridefinire le regole del mercato.1

Economia versus politica

Il Piano Marshall, il programma di aiuti statunitensi per risollevare l’Europa occidentale dalle ceneri della Seconda guerra mondiale, ha gettato le basi della supremazia economica americana. Anche se l’America è il paese donatore, ne trae i maggiori vantaggi. La ricostruzione crea nuovi sbocchi per le aziende statunitensi e plasma oltreoceano un nuovo mercato su misura delle esigenze dell’economia americana.
Così, nell’immediato dopoguerra, flotte di mercantili attraversano l’Atlantico per portare materie prime e merci all’Europa che deve riprendersi dalla tragedia. Le carovane di autocisterne, che trasportano la preziosa fonte di energia necessaria a ripulire le macerie e ricostruire le città bombardate, formano un ponte di aiuti sull’oceano. E nel momento in cui l’Europa occidentale si riprende, il consumismo americano è pronto a plasmare le abitudini di acquisto degli europei. Nei negozi compaiono i televisori, gli aspirapolvere e le lavatrici, già diffusissimi negli Usa. Le immagini di casalinghe americane bionde e sorridenti – tutte copie di Doris Day – che giocano con i nuovi balocchi «domestici» bombardano le famiglie dell’Europa occidentale. Per questo tutti sognano l’automobile e il televisore. L’America esporta persino modi nuovi per acquistare questi prodotti: con il pagamento rateale diventano quasi alla portata di tutti. E l’indebitamento dei consumatori europei sale alle stelle.
Il capitalismo americano intuisce che per costruire un mercato solido per l’esportazione non basta vendere oggetti, bisogna commerciare uno stile di vita. I beni di consumo americani devono diventare gli elementi essenziali di uno stile di vita da invidiare. Sono la materializzazione del «sogno americano», vita d’idillio e successo raccontata nella parabola ottimista dei film hollywoodiani del dopoguerra. Nell’immaginario collettivo degli abitanti dell’Europa occidentale, che si riversano nei cinema per sfuggire alla cappa inquietante dei ricordi della guerra, l’America diviene la terra del latte e del miele, un continente popolato da stelle del cinema dove tutto è possibile. I sogni si avverano. Ma gli Stati Uniti sono più di un sogno, sono un luogo fisico appena al di là dell’Atlantico. E quel mondo idilliaco non solo esiste: lo si può comprare. Proprio la ricostruzione dell’Europa occidentale attraverso il Piano Marshall fornisce ai consumatori europei i mezzi per comprare il loro pezzo di sogno. Il Piano gonfia i portafogli dei consumatori, riavvia l’economia postbellica, per permettere loro l’acquisto dei tanto ambiti prodotti americani.
Ma oggi si sa che il sogno americano è stato soprattutto un’astuta trovata di marketing.
Negli anni cinquanta e sessanta, gli Stati Uniti sono nella morsa del maccartismo e gli scintillanti slogan pubblicitari servono a nascondere la dura realtà di una società repressa, afflitta dal pregiudizio e solcata da profonde tensioni razziali.
Il Piano Marshall è il prodotto economico del nuovo ordine politico legato alla Guerra fredda. Un sistema che isola l’Occidente dal Blocco sovietico. Un ordine che per molti versi è l’opposto della globalizzazione e chiude l’Occidente in un sistema economico fortemente regolamentato. Il Piano nasce dalla mente di grandi economisti, tra cui l’inglese John Maynard Keynes (intellettuale membro del celeberrimo gruppo di Bloomsbury), ed è la manifestazione di una nuova dottrina che mette l’accento sul ruolo preminente dello stato nella sfera economica. Non solo: determina la supremazia economica del paese più forte. Per tutta la durata della Guerra fredda, il successo di questa filosofia poggia sull’abilità di Washington nel controllare e manipolare le forze economiche che sostengono il nuovo mercato europeo – e in seguito molti altri – a vantaggio degli Stati Uniti.2
Non a caso, durante gli anni della Guerra fredda la supremazia economica americana rimane indiscussa e l’Europa occidentale ne beneficia ampiamente. La crescita economica è straordinaria. Persino nei periodi bui del primo e del secondo shock petrolifero (1973-1974 e 1979-1980), la leadership americana mantiene una salda presa sull’economia occidentale, riuscendo ad attenuare l’impatto della crisi con il riciclaggio dei petrodollari (un processo che incanala il surplus monetario dei paesi produttori di petrolio negli investimenti occidentali). Ma, quasi per paradosso, una volta raggiunto lo scopo ultimo della Guerra fredda – l’abolizione della cortina di ferro – questo sistema va in frantumi. Lo stato perde il controllo del mercato perché la politica non è più in grado di governare l’economia. E in quel momento l’economia cessa di essere al servizio della politica per fare l’interesse dei cittadini e diviene una spregiudicata canaglia, orientata esclusivamente al facile guadagno a spese dei consumatori.
I due eventi simbolici dell’inizio e della fine della Guerra fredda – il Piano Marshall e la caduta del muro di Berlino – rappresentano proprio i due estremi opposti del complesso rapporto che si viene a creare tra politica ed economia e permettono di capire chiaramente come dal controllo della politica sull’economia si possa passare a una situazione in cui l’economia canaglia tiene in scacco la politica.

Il muro del sesso

La E-55 corre annoiata lungo il confine tra Repubblica Ceca e Germania. La chiamano l’«autostrada dell’amore». Questa squallida striscia d’asfalto ospita la più alta concentrazione di prostitute d’Europa. Sul ciglio della strada, una accanto all’altra, le donne dell’ex Blocco sovietico offrono il proprio corpo a prezzi stracciati: 35 euro mezz’ora, 45 senza preservativo. Ma l’E-55 è un posto come tanti. L’ex confine tra Europa dell’Est ed Europa dell’Ovest è una sequenza quasi ininterrotta di mercati del sesso, bordelli e chioschi. Un nuovo lungo muro umano di ragazze dalla pelle diafana si snoda lungo quella che era la cortina di ferro.
Di là il fallimento del modello comunista, di qua l’Occidente che consuma corpi e ideali:
Il fatto che i confini siano aperti dà al sesso a pagamento un’aria di internazionalismo soprattutto nella zona di frontiera occidentale, dove hanno luogo gli «incontri tra le nazioni». Qui il sesso a pagamento viene «esportato» nei paesi dell’Europa occidentale.3
Poi, sempre lì al cancello tra Est e Ovest, ci sono addirittura i mercati specializzati nella vendita delle schiave bianche. Uno dei più noti è nella Serbia nordoccidentale e ci vengono i mercanti di sesso di tutto il mondo. Lo chiamano Mercato Arizona e sembra una città della corsa all’oro americana del diciannovesimo secolo. Saloon, birra a fiumi e ragazze bionde da vendere al posto dei buoi. È nascosto dietro una strada chiamata Arizona Highway, che corre nei pressi del confine croato. Il villaggio è stato costruito con l’aiuto dei soldati americani alla fine della guerra civile dei Balcani. I mercanti «ordinano alle ragazze di spogliarsi e quelle rimangono nude sul ciglio della strada. […] Gli uomini si avvicinano, le toccano, ispezionano la pelle e controllano perfino la bocca prima di fare l’offerta».4
Il principale gestore del racket della prostituzione delle slave è la mafia russa. Molti protettori russi sono addirittura di origine cecena. Eva, un’ex prostituta liberata grazie all’aiuto di un cliente, rivela:
Sono stata comprata da un gruppo di mafiosi ceceni. Sono arrivati a Odessa fingendosi ricchi uomini d’affari in vacanza. Mi hanno offerto un lavoro come commessa in una delle loro boutique di Mosca, mi hanno addirittura mostrato la foto del negozio. Avevo sentito moltissime storie di donne ucraine adescate da criminali russi e finite nel giro della prostituzione, ma ho pensato che essendo ceceni… Sono stata comprata e venduta varie volte al Mercato Arizona da molti mercanti: russi, europei e perfino arabi. Sono diventata una merce: sì, è proprio questo che siamo, nuovi prodotti del villaggio globale.5
La E-55 e il Mercato Arizona sono uno dei surreali effetti collaterali della caduta del muro di Berlino. Non solo, sono la spia del ritorno dell’economia canaglia, la forza brutale e oscura sprigionata dalla più importante trasformazione economica del ventesimo secolo: lo smantellamento del comunismo e la nascita della globalizzazione.
Fino agli anni novanta la prostituzione nei paesi comunisti è di fatto inesistente. Pur non vietata esplicitamente, i governi la ostacolano. La domanda è bassa, le abitudini sessuali estremamente libere, la contraccezione e l’aborto a portata di mano. Gli uomini sono meno alla ricerca di prostitute. Dunque anche l’offerta è bassa. La piena occupazione garantisce a tutti un salario, che riduce enormemente il numero di donne disposte a guadagnarsi da vivere vendendo il proprio corpo. In epoca comunista, le prostitute offrono i loro servizi principalmente agli stranieri, i rari uomini d’affari che si avventurano oltrecortina. A Budapest, in quegli anni, gli uomini possono incontrare le prostitute solo in due night club, entrambi vietati agli ungheresi e ai visitatori provenienti dal Blocco sovietico. A Mosca, le donne «dallo sguardo di gatto» si mettono in mostra davanti agli alberghi frequentati da stranieri. Ma, a differenza delle colleghe occidentali, le prostitute comuniste gestiscono da sole i loro profitti. Non ci sono i papponi: quella del protettore è considerata un’attività criminale e viene duramente punita.
Ma lo smantellamento del comunismo fa piombare nella povertà la popolazione dell’ex Blocco sovietico, e le donne sono tra le principali vittime della nuova miseria. Già a metà anni novanta la disoccupazione tra le donne russe raggiunge l’80 per cento, mentre durante il regime sovietico era quasi pari a zero. Le donne, tra l’altro, sono per più dell’80 per cento capifamiglia singoli e monoreddito.6 Così, nel 1998, oltre la metà dei bambini russi dai sei anni in giù vive al di sotto della soglia di povertà, e molte donne diventano prostitute per dare da mangiare ai figli. L’unica opzione per sottrarsi alla fame è andare a letto con il nemico.
Tra l’offerta di prostitute slave e la disoccupazione femminile negli ex paesi comunisti c’è un legame diretto. Non solo numerico. I due fenomeni presentano distribuzioni geografiche identiche. L’occupazione negli ex paesi comunisti è distribuita in base alla struttura industrializzata e regionale dell’economia pianificata. In Russia l’83 per cento della forza lavoro del settore tessile è costituito da donne. E l’industria tessile si trova in determinate regioni, come l’Ivanovo Oblast, a nordest di Mosca, il Cheboksary e la Repubblica di Chuvash, nella Russia centrale. Così sotto il regime sovietico queste zone sono note come «le regioni delle donne».7 Dal 1990 al 1994 la produzione tessile scende del 67 per cento lasciando disoccupate centinaia di migliaia di donne. E queste regioni diventano il paradiso di protettori e trafficanti che vengono a offrire soldi e miraggi, e le «regioni delle donne» diventano «le regioni delle squillo».
Già dal 1991 un gran numero di prostitute slave si riversa sul mercato occidentale. «Prima della caduta del muro di Berlino, in Germania le prostitute erano soprattutto tedesche» ricorda Stephen, famoso protettore di squillo tedesco, detto der Prinz, «il principe».
Ora non è più così. Il mercato si è allargato ed è diventato più internazionale. Molte donne arrivano dalla Polonia e dalla Russia, ma parlano tutte tedesco, perché lo vogliamo noi. Oggi i clienti non cercano solo il sesso, vogliono anche una ragazza in grado di parlare con loro e di ricreare una certa atmosfera. Vogliono bere, chiacchierare, vedere uno spettacolo, non solo darci dentro.8
Sessantenne e sovrappeso, Stephen si è messo nell’industria tedesca del sesso quarant’anni fa con qualche ragazza che lavorava per strada. Oggi è considerato uno dei principali affaristi del sesso di Berlino, anche se non vuole rivelare il numero di locali che possiede.
Negli anni novanta, l’offerta di donne istruite provenienti dalla Russia e dall’Europa dell’Est diviene un fenomeno unico nell’industria della prostituzione. Fino all’arrivo delle slave, i protettori attingono da un vivaio di ragazze semplici, perlopiù asiatiche e povere.
La peculiare struttura economica del sistema sovietico, però, offre ai protettori la possibilità di commercializzare slave molto istruite. Le donne istruite impongono prezzi più alti e quindi fruttano maggiori profitti. Come dimostra il successo della produzione hollywoodiana Memorie di una geisha, le prostitute intelligenti, colte e brillanti fruttano di più. In Russia, le donne non stanno solo in tessitura, i «lavori femminili» sono anche nella medicina, nell’istruzione e nella scienza. Le donne sono responsabili della pianificazione e della contabilità, settori molto colpiti dalla crisi economica degli anni novanta.
Così le slave, considerate uniche per bellezza e cultura, fanno schizzare alle stelle la domanda, al di là di ogni aspettativa. «All’inizio degli anni novanta l’attività non andava solo bene, era eccellente» ricorda Michael, un altro prot...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Introduzione
  3. 1. A letto con il nemico
  4. 2. Nessuno controlla l’economia canaglia
  5. 3. La fine della politica
  6. 4. La terra delle opportunità
  7. 5. Fingi
  8. 6. La matrix del mercato
  9. 7. Alta tecnologia: una mezza fortuna?
  10. 8. Anarchia sui mari
  11. 9. I grandi illusionisti del ventesimo secolo
  12. 10. La mitologia dello stato-mercato
  13. 11. La stravagante forza della globalizzazione
  14. 12. Il tribalismo economico
  15. Epilogo. Il nuovo contratto sociale
  16. Note
  17. Bibliografia
  18. Ringraziamenti
  19. Sommario