Gli ultimi cinque secondi di Mussolini
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Gli ultimi cinque secondi di Mussolini

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Gli ultimi cinque secondi di Mussolini

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«Ci sono altri particolari che riguardano la morte di Mussolini. Non è andata come la raccontano. Ma non posso dirti niente di più. Quando verrà il momento ti racconterò tutto, fino in fondo.»Chi sparò, il 28 aprile 1945, a Benito Mussolini e Claretta Petacci? I due morirono insieme? Perché il capo del fascismo non è stato fucilato in piazzale Loreto, ma vi è stato portato già cadavere? Le versioni fornite dall'esecutore ufficiale, il famoso colonnello Valerio, si sono rivelate parziali, contraddittorie e confuse. In questo libro, i testimoni degli ultimi secondi di vita del dittatore sono finalmente usciti allo scoperto e hanno parlato. Il loro racconto svela una realtà sconvolgente: la solitaria morte del duce, le urla di Claretta, la finta fucilazione. Un'inchiesta difficile e scomoda, arricchita da documenti d'archivio, prove e immagini raccolte in quarant'anni di ricerche.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788865762615
Argomento
Storia

Capitolo decimo

Claretta gridava: «Ma perché? Perché?»

Guardai con grande curiosità quella signora che mi stava seduta davanti e che aveva detto pacatamente: «Ho visto uccidere Claretta Petacci». Con curiosità e anche con un certo turbamento: potevo avere a che fare con una mitomane, oppure ero arrivato davvero a scoprire il segreto che inseguivo da quaranta anni.
Non sapevo che cosa dire.
Ruppe il silenzio la figlia di Dorina Mazzola, Milena. «Capisco che cosa sta pensando. Ma stia tranquillo. Mia madre è perfettamente sana di mente. Noi figlie, e anche i nipoti, sappiamo da tanti anni che cosa ha visto e sentito, quel giorno. E sappiamo bene, anche per altri motivi che poi le racconteremo, che ha sempre detto la verità.»
«Ma perché solo adesso? Perché solo adesso vi siete decise a parlare? Chi vi ha costretto al silenzio?»
«Tutti quelli di Mezzegra» intervenne Dorina Mazzola «che sapevano o che dicevano in giro qualcosa, sono stati minacciati e intimiditi per decenni. Trovavamo bigliettini infilati di notte sotto le nostre porte: “Dovete tacere per cinquanta anni”. Anch’io ho taciuto. E quando ne parlavo con le mie figlie, mi raccomandavo di non riferire in giro quello che avevo raccontato. Mi hanno sempre obbedito, così non è successo niente.»
«Ma chi era a minacciarvi?».
«Ci vuole poco a capirlo» disse ancora la signora Mazzola. «Erano quelli che non volevano si sapesse la verità su come erano stati uccisi Mussolini e la Petacci.»
«E adesso» insistetti ancora incredulo «lei vuole davvero raccontare tutto? E perché?»
«Il motivo che mi spinge adesso» spiegò Dorina Mazzola «gliel’ho già accennato. Ho letto il mese scorso quell’articolo firmato da Aldo Lampredi sull’Unità [23 gennaio 1996, N.d.a.], e ho visto che continuano a raccontare le solite bugie. Ho detto basta. I cinquanta anni, tra l’altro, sono finiti e non capisco perché dovrei restare zitta. E poi sto per compiere i settant’anni. Non so quanto tempo il Signore mi concederà ancora di vita, e non voglio andarmene con questo peso sullo stomaco che mi porto dentro da più di mezzo secolo.»
«Ma è sicura» mi informai «di ricordare i fatti come li ha vissuti? Cinquanta anni sono tanti…»
«Ricordo ogni cosa, ogni particolare. E le dirò solo quello che ho visto con i miei occhi e udito con le mie orecchie. Delle poche cose sapute da terze persone, le farò nomi e cognomi dei testimoni…»
Intervenne la figlia Milena. «Mia madre, qualche anno fa, ha scritto tutto. Sono tanti fogli pieni della sua calligrafia. Li ho letti. C’è la storia di quello che è successo il 28 aprile a Bonzanigo.»
Mi rivolsi a Dorina Mazzola. «Me li fa vedere?»
«Tu sai dove li tengo» mi rispose indirettamente la signora rivolgendosi alla nipote Elena. «Va’ a prenderli.»
Un minuto dopo avevo tra le mani trentuno fogli protocollo zeppi di una grafia chiara e perfettamente leggibile. Diedi una rapida occhiata alle prime righe.
«Avevo diciannove anni quando accadde ciò che sto per raccontare… Quando uccisero il Duce e Claretta Petacci gli storici diedero una versione ufficiale e non compresi mai fino in fondo perché volevano in qualche modo nascondere la verità… Dopo quello che accadde, si sparse la voce che per cinquant’anni non si poteva parlare… Rendo questa testimonianza per amore della verità…»
Dovevo leggere assolutamente quei trentuno fogli manoscritti.
«Signora Mazzola» dissi «sono anni che cerco la verità sulla morte di Mussolini e della Petacci. E ci sono tante domande alle quali non sono mai riuscito a dare una risposta. Su questo argomento sto scrivendo un libro. Lei ha detto prima che mi conosce di nome e che sono arrivato qui in casa sua al momento buono. Mi lascia la possibilità, adesso, in questa stanza e in sua presenza, di leggere questi fogli e di prendere appunti sui fatti che lei racconta?»
Dorina Mazzola interrogò con lo sguardo la figlia e la nipote, poi prese una decisione. «È un lavoro troppo lungo. Se avessi una copia di questo manoscritto, gliela darei. Ma ho solo l’originale…»
«C’è nessuno, qui vicino» proposi allora «che abbia una fotocopiatrice?»
«Ce n’è una in municipio» precisò Elena «ma è già tardi, sono quasi le sette di sera. Provo lo stesso a telefonare per sapere se posso andare a fotocopiare questi fogli.»
Dagli uffici del comune risposero mettendole a disposizione la fotocopiatrice. La ragazza e Bordin uscirono.
Stavano accadendo tante cose e tutte in fretta. Se Elena e Bordin fossero tornati con le fotocopie, sarei uscito da quella casa con la vera storia di come erano stati uccisi il Duce e Clara Petacci. Ancora stentavo a crederlo.
Affrontai con la signora Mazzola l’argomento più urgente. «Lei accetterebbe di raccontarmi tutto in un’intervista e di lasciarmela pubblicare nel libro che sto completando?»
«Non ho niente in contrario. Le chiedo solo di farmi leggere il testo, perché ci tengo che quello che le dirò venga pubblicato senza inesattezze.»
«Mentre aspettiamo che tornino il mio amico e sua nipote» replicai a quel punto «mi dica una cosa: lei afferma di avere visto uccidere Clara Petacci. E Mussolini? Ha visto uccidere anche lui?»
«No, non l’ho visto uccidere. Quando l’ho visto, era già morto. Ma so quando e dove gli hanno sparato. Almeno due ore prima di uccidere Claretta. Tenga presente, tra l’altro, un particolare che ha il suo peso in questa mia testimonianza. Quella mattina io ho assistito a un terribile dramma senza conoscerne i protagonisti. Non sapevo che Mussolini e la Petacci fossero in quella casa. E fino al tramonto non sono stata in grado di capire che la donna uccisa sotto i miei occhi era la Petacci e che l’uomo trascinato fuori morto da casa De Maria, giù per via del Riale, era Mussolini. Fotografie di lei non ne erano mai apparse e io, comunque, non ne avevo mai viste. E a quell’uomo morto avevano messo in testa un passamontagna. Impossibile capire che si trattava del Duce.»
Prima che tornassero Bordin con la giovane Elena, la signora Mazzola mi fornì alcune notizie sulla sua famiglia e sulla sua situazione attuale.
Terzogenita di otto figli, sei dei quali tuttora viventi, era cresciuta, come già mi risultava, in una famiglia benestante. Il padre, proprietario terriero, era anche commerciante di rottami. Lei, essendo la più anziana delle tre figlie, nel 1945, a diciannove anni, esercitava di fatto il ruolo di vice-madre nelle incombenze di casa.
«La guerra» mi raccontò «fino a tutto il 1943 ci aveva appena sfiorato con i profughi che fuggivano dai bombardamenti nella pianura lombarda. Ma poi si formarono i primi gruppi partigiani, vennero i rastrellamenti dei fascisti e la paura di rappresaglie. Mio fratello Trieste, che aveva tre anni più di me, si diede alla macchia sulle montagne sopra Mezzegra. Ero io a portargli di nascosto viveri e quanto altro gli poteva servire. Subito dopo la guerra, nel gennaio del 1946, mi sposai. Mio marito, Guglielmo Vanini, che è del 1921, faceva il parrucchiere ad Azzano. Nel 1950 ci trasferimmo qui a Ossuccio. Ma cinque anni fa, mio marito è stato colpito da ictus e, da allora, vive in un istituto specializzato. Ho tre figlie, tutte sposate, e quattro nipoti.»
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Dorina Mazzola, a 19 anni, quando il 28 aprile 1945 fu testimone oculare della uccisione di Garetta Petacci.
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La casa della famiglia Mazzola, circa 100 metri a valle da casa De Maria: di lì Dorina Mazzola, non vista, assistette all’uccisione di Garetta.
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Cinquanta anni dopo la Mazzola indica per la prima volta il punto esatto in cui Clara Petacci cadde fulminata alle spalle da una raffica di mitra.
Rientrarono Elena e Bordin con le pagine fotocopiate. Dorina Mazzola mi diede le fotocopie. Le domandai se era disposta a firmare, per garantirne l’autenticità e la provenienza, pagina per pagina. E lei firmò.
Restammo d’accordo che avrei letto il manoscritto e sarei tornato al più presto a Ossuccio per l’intervista.
Uscimmo da casa Mazzola che era ormai sera inoltrata.
Quando fummo in automobile mi rivolsi a Bordin: «Hai letto le pagine e sei rimasto deluso?».
«Vero il contrario» rispose Bordin. «In quelle pagine ci sono le risposte a tante domande. C’è persino spiegata la faccenda dello stivale aperto. Ma ci sono anche particolari che non riesco a capire, come quello dei partigiani che lavarono il corpo di Mussolini. Chissà perché.»
Due giorni dopo eravamo di nuovo a Ossuccio. Ecco il testo della intervista con la signora Mazzola.
«Quando e come è iniziata per lei la giornata del 28 aprile 1945?»
«Cominciò durante la notte, quando mi svegliai sentendo il rumore di molti passi sotto la finestra della mia stanza. Debbo precisare che la casa dei Mazzola è alta due piani e sorge proprio dove termina via Albana [vedere cartina n. 1, N.d.a.] costeggiando poi i primi 15-20 metri di via del Riale, della quale porta infatti il numero due. Debbo anche aggiungere che quel tratto di strada, poco più di una mulattiera, è sempre stato illuminato da due lampioni: uno all’inizio di via del Riale, e l’altro dove la stradina sbocca nello spiazzo, allora erboso, punto di confluenza, per chi sale verso Bonzanigo, con viale delle Rimembranze. La finestra della mia stanza, al piano terreno, si trovava praticamente al livello di via del Riale.
«Mi alzai dal letto e non accesi la luce. Aprii i vetri senza fare rumore. Dalle fessure delle imposte fatte a listerelle, e grazie alla luce dei due lampioni, potei vedere tanti uomini armati che salivano per via del Riale verso Bonzanigo. Dal loro abbigliamento capii che erano partigiani. Con loro scorsi anche due donne. Ma non ho mai saputo da dove venivano e dove stavano andando.»
«Che ore erano?»
«Mezzanotte.»
«E come fa a esserne così sicura?»
«Pochi minuti...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Ringraziamenti
  3. Premessa
  4. Capitolo primo. Febbraio 1956. Il segreto di Sandrino
  5. Capitolo secondo. Il capitano Roma e il foulard di Claretta
  6. Capitolo terzo. Il colonnello Valerio uno e trino
  7. Capitolo quarto. Undici ore piene di mistero
  8. Capitolo quinto. Luigi Longo e la fretta di uccidere
  9. Capitolo sesto. L’ultima cena nella caserma di Germasino
  10. Capitolo settimo. Che cosa racconta uno stivale sdrucito
  11. Capitolo ottavo. Siamo venuti per fucilarvi
  12. Capitolo nono. Ho visto uccidere Claretta Petacci
  13. Capitolo decimo. Claretta gridava: «Ma perché? Perché?»
  14. Capitolo undicesimo. La sceneggiata di Villa Belmonte
  15. Referto autoptico sul corpo di Mussolini
  16. Consulenza medico legale sulla morte di Mussolini Benito e di Petacci Claretta