Essere un piolo tondo in un buco quadrato
Parte 1
Dicevano che ero pazzo, e io dicevo che erano pazzi loro, e accidenti a loro mi hanno battuto ai voti.
nathaniel lee
dopo essere stato rinchiuso in manicomio intorno al 1684
Here’s to the crazy ones… così iniziava Think Different, l’emblematica pubblicità di Apple del 1997. Questo film lo dedichiamo ai folli…
Fino ad allora le pubblicità si incentravano sul prodotto da vendere e la sensazione che poteva procurarci. Quello shampoo, quegli occhiali da sole o quei jeans ci avrebbero resi più attraenti, più affascinanti e avrebbero migliorato la nostra vita. Ma in Think Different il prodotto non aveva più importanza. Quella pubblicità era un ordine personale. L’ordine di diventare una versione migliore di noi stessi, a prescindere dal prodotto.
Siate più simili ai folli, agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, ci imponeva la voce solenne di Steve Jobs. Siate «un piolo tondo in un buco quadrato». Ispiratevi a Einstein, Picasso, Gandhi e Martin Luther King. Non attenetevi alle regole. Pensate in modo diverso dagli altri, Because the ones who are crazy enough to think that they can change the world, are the ones who do, perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo lo cambiano davvero.
Poi è venuta tutta una serie di pubblicità analoghe. Just Do It! della Nike, Impossibile is Nothing dell’Adidas, Go Forth della Levi’s, accompagnata dalla splendida poesia di Bukowski «Il cuore che ride»: «La tua vita è la tua vita / non lasciare che le batoste la sbattano nella cantina / dell’arrendevolezza». O il recente Dream Crazy della Nike e il successivo Dream Crazier, «Se ti chiamano pazza, bene, mostra cosa può fare una pazza». Il messaggio è sempre inspirational. Motivational. Empowering.
Gillette non promette più che il suo rasoio è il migliore che un uomo possa avere, The best a man can get, ma che il rasoio lo renderà migliore: The best a man can be. La nuova generazione di pubblicità ci spinge a liberare noi stessi. Dalla negatività, dai dubbi e dall’insicurezza. Perché è tutto dentro di noi, quella vita migliore, quel mondo migliore, basta credere in noi stessi. Successo, fortuna, è tutta questione di scelte. Allora, scegliamoli.
E poi ti ritrovi a casa, sul divano. Senza un centesimo in tasca, bloccato in un lavoro idiota, scivolando lentamente verso un esaurimento. Riesci a malapena a guardarti allo specchio senza provare disgusto. Dato che ti definiscono spesso un piantagrane, da un po’ prendi il Ritalin. Questa è la realtà attuale. I folli delle pubblicità della Apple? Oggi li chiamano «squilibrati». Gli anticonformisti sono dei perdenti. I ribelli si comprano una maglietta dei Clash da H&M. Nessun datore di lavoro è impaziente di incontrare dipendenti che «non amano le regole». E chi si sente fuori posto, come un piolo tondo in un buco quadrato, legge un manuale di auto-aiuto: sette passi verso il successo, dieci passi verso la felicità, le cento cose che devi avere già fatto, mille cose che non devi fare più. Perché tu possa continuare a cacciarti in quel buco. Perché questo è quello che in realtà ci offrono tutti quegli articoli di auto-aiuto, quei ted Talk, quelle conferenze, quei corsi e quegli istruttori: regole. Regole per funzionare meglio e adattarsi meglio allo status quo. Per farsi accettare. Unirsi agli altri. È di questo che si tratta. Sii positivo, cammina diritto, riordina la tua casa, rifai il letto al mattino, esci dal tuo guscio, segui la routine, stabilisci le priorità, sii consapevole della tua forza, lavora sulle tue debolezze, ascolta gli altri, ignora i cattivi consigli, sii riconoscente. E sorridi. Sorridi sul serio, con quel tipo di sorriso cui partecipa anche lo sguardo, riduci lo stress. Fai sport, pratica la mindfulness, la consapevolezza, impara a controllare la tua rabbia e le tue paure, mangia sano, smoothies ecologici, avocado: solo se il tuo corpo funziona in modo ottimale lo farà anche la tua mente. Metti a punto un piano e seguilo, perché ce la puoi fare, sì, tu puoi farcela, prendi il toro per le corna, spandi gioia, fottitene e pensa diversamente! Proprio come nelle pubblicità tutto è inspirational. Motivational. Empowering. E come nelle pubblicità il problema è sempre tuo. Think Different, Dream Crazy, Impossible is Nothing: l’idea è che l’unica cosa che ti frena sei proprio tu stesso. Perciò scordati i prodotti, scorda come sono fatti, scorda il mondo intorno a te e le strutture politiche e socioeconomiche che vi dominano. Credi invece al sogno neoliberale in cui solo tu, sì, solo tu sei padrone del tuo destino. Se solo ti impegnerai al massimo, anche dovessi crollare, «credi in qualcosa, anche se dovesse significare sacrificare tutto».
Il politico è diventato personale, i problemi sono stati privatizzati. È un modo infantile di pensare – anche i bambini si attribuiscono la colpa di tutto, dal divorzio dei genitori al fatto di venire bullizzati. Eppure hai recepito il messaggio della «cantina dell’arrendevolezza». Hai cominciato a pensare che il problema sei tu. Che dipende da te se non sei ancora felice, non hai successo, e scivoli lentamente verso l’esaurimento. E così hai comprato Headspace. Un braccialetto conta i tuoi passi, una app misura il tuo sonno, cerchi di distoglierti dalla negatività e di essere positivo. Al supermercato ignori le facce aggressive. Se il tuo capo ti tratta male pensi che di certo anche lui avrà i suoi problemi. Tieni un diario delle cose per cui essere grato.
Non si tratta di auto-aiuto, no, lo chiami prendersi cura di se stessi. Lo fai per amor tuo. Lo fai perché hai la sensazione che le cose possano andare meglio, che debba esserci qualcosa di più di questo. Ma alla fine quello che l’industria dell’auto-aiuto ti offre non è altro che un mucchio di trucchi, protezioni e consigli per resistere più a lungo. Affinché tu possa collaborare meglio e dimenticare quanto questo mondo sia in realtà incomprensibile. Ciò che impari è soprattutto vedere la tua rabbia e la tua angoscia scivolare via davanti a te su una foglia di loto e sopportare l’insopportabile.
«Non è segno di salute mentale essere ben adattati ad una società profondamente malata» ha scritto il filosofo indiano Krishnamurti. Secondo L’Organizzazione mondiale della sanità l’incidenza di disturbi come ansia e depressione è aumentata del 40 per cento nel corso degli ultimi trenta anni. Attualmente la depressione è la prima malattia al mondo e l’uso di farmaci continua ad aumentare. La gente prende pillole per tenere sotto controllo stress, ansia e panico, pillole per calmarsi, pillole per darsi una mossa, pillole per attutire il dolore. Ma quello di cui abbiamo bisogno non sono pillole, yoga o tenere un diario della gratitudine, ma renderci conto che non siamo noi il problema.
Quando sembra che al mondo non ci sia un posto per noi, ha detto una volta Virginia Woolf, non dobbiamo chiederci cos’è che non va in noi, ma cosa non va nel mondo.
Al tempo di Virginia Woolf a una donna era ancora proibito recarsi in biblioteca da sola, doveva essere accompagnata da un uomo. La conoscenza era considerata pericolosa. Anche se quella conoscenza proveniva, tra l’altro, anche dalla stessa Woolf, non le era permesso sfogliare da sola i libri che aveva scritto.
In una situazione del genere ci sono alcune cose che si possono fare. Si può provare a travestirsi da uomo ed entrare di nascosto. È quello che nel corso della storia hanno fatto migliaia, se non centinaia di migliaia, di donne per poter partecipare. Oppure, in modo più moderno, si può tentare di inserirsi e cercare di essere l’eccezione, per esempio pensando e parlando come un uomo, Facciamoci avanti come dice Sheryl Sandberg, perché Le brave ragazze non fanno carriera, secondo Lois P. Frankel.
Ma si può anche pensare: ’fanculo a tutto.
Se il mondo continua a dirti che non sei abbastanza bravo, sano, liscio, in forma, produttivo, positivo o zen è ora di chiederti cosa diavolo c’è che non va nel mondo.
Originariamente è questo il significato, o messaggio, dell’espressione «essere un piolo tondo in un buco quadrato». Questa frase non viene da Apple, ma dal romanzo distopico Il mondo nuovo (1932) di Aldous Huxley. E questi intendeva qualcosa di ben diverso da quel che suggerisce Apple.
Nel Mondo nuovo, l’umanità è infine riuscita a essere sempre felice. Il dolore e l’angoscia sono stati banditi, non esistono più noia, disperazione o solitudine, nessuna paura della morte, nessuno stress dovuto alle scelte. Di fatto è esattamente il mondo che oggi tanti sperano di riuscire a creare per sé. Per raggiungere questo risultato, nell’universo di Huxley i feti vengono manipolati geneticamente in un utero artificiale. Una volta venuti al mondo, ai neonati vengono inculcati i giusti valori attraverso il «condizionamento neopavloviano». Da adulti il loro destino consiste in un’occupazione predeterminata per la quale sono stati allevati. L’intera popolazione resta tranquilla grazie al farmaco Soma («mezzo grammo e tutto è a posto»).
Questo meraviglioso nuovo mondo è fatto di lavoro e intrattenimento, di una vita tranquilla ed equilibrata senza passato né futuro, la gente vive nel presente, nella «calma estasi della realizzazione raggiunta». E tutti ne sono felici. Tranne il fastidioso e lamentoso Bernard Marx, con lui, in un modo o nell’altro, qualcosa non è andato per il verso giusto.
Durante una conversazione Bernard chiede a Lenina Crowne se non desideri altro che essere una schiava condizionata.
«Non vorresti invece essere libera, Lenina?»
«Non so di cosa stai parlando. Io sono libera. Libera di vivere una vita fantastica.»
Ma la libertà sognata da Bernard è un’altra. È la libertà di vivere in modo inadeguato e infelice. Di essere inutili, noiosi e lamentosi. Ciò che Bernard desidera è il diritto a essere un piolo tondo in un buco quadrato.
Immaginate se Apple si fosse attenuta a questo significato. Che pubblicità meravigliosa sarebbe stata. Non le immagini di Einstein, Picasso, Gandhi o King. Ma quella di un bambino che strilla in mezzo a un coro infantile. Di una ragazza in preda a un accesso d’ira. Di una donna in un caffè che non vuole parlare con nessuno. Di un uomo solo in casa che urla di fronte al televisore. Immagini insomma di anticonformisti invisibili, persone che non danno nessun contributo...