Scienza. Next generation. Diciotto giovani scienziati ci parlano del futuro
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Scienza. Next generation. Diciotto giovani scienziati ci parlano del futuro

  1. 232 pagine
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Scienza. Next generation. Diciotto giovani scienziati ci parlano del futuro

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Sono giovani e intelligenti. Intelligentissimi. Sono scienziati. E si chiedono: ragazzi, che direzione vogliamo dare al futuro? Ma non si fermano qui, si pongono quelle domande che l'uomo si fa da sempre. Cosa sta cercando di dirci l'universo? Come possiamo migliorare gli esseri umani? Quanto è importante l'immaginazione? Homo sapiens è destinato a estinguersi? Insomma, domande così... senza pretese. Con nuove risposte. Risposte che nascono dall'osservazione dell'enorme quantità di dati che grazie agli ultimi strumenti di indagine si stanno raccogliendo e che le teorie "classiche" anche le più avanzate - non riescono più a ordinare. Oggi possiamo andare oltre la teoria della relatività di Einstein. L'avreste mai pensato? Le ricerche di questi giovani scienziati riguardano temi fisico-biologici quali l'energia oscura, la virologia e la socialità degli inselli, così come quell'affascinante alambicco di reazioni chimiche, psichiche ed emotive che è il cervello. E poi, il grande "indagato" di sempre: il tempo. Gli esperimenti in corso rispondono al nostro desiderio di comprendere perché, se le leggi fondamentali della fisica ci dicono che il passato e il futuro sono equivalenti, nella nostra esperienza quotidiana tutto ci appare diverso. Di risolvere l'enigma dell'asimmetria temporale. Di capire perché dai banchi di scuola le lancette sono lentissime e in vacanza hanno la velocità di un jet.

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Informazioni

Anno
2010
ISBN
9788865760215
MATTHEW D. LIEBERMAN
Professore associato di Psicologia all’Università della California di Los Angeles (UCLA), Matthew D. Lieberman ha conseguito il dottorato in Psicologia a Harvard nel 1999. I suoi interessi come ricercatore includono temi fondamentali delle scienze cognitive come l’autocontrollo, l’autoconsapevolezza, l’automaticità, il rifiuto sociale e la persuasione. Ha pubblicato articoli scientifici su numerose riviste tra cui Science, Nature Neuroscience, Annual Review of Psychology, American Psychologist, Journal of Cognitive Neuroscience e Journal of Personality and Social Psychology. La sua ricerca è stata finanziata con contributi del National Institute of Mental Health, della National Science Foundation, della Guggenheim Foundation, e della Defense Advanced Research Projects Agency. Del suo lavoro hanno parlato Time, Scientific American, Discover e numerosi documentari della BBC. Lieberman è fondatore e editore della rivista Social Cognitive and Affective Neuroscience e ha ricevuto nel 2007 l’APA Distinguished Scientific Award for Early CAREER Contribution to Psychology. Attualmente sta scrivendo una monografia dal titolo provvisorio Experience Shrugged: The Rise of Simulated Experience in Mental Life and the Modern World.
Perché le Grandi Idee hanno tanto successo?
Nel 1641 Cartesio pubblicò le Meditationes de prima philosophia in cui illustrava la sua teoria del dualismo mente-corpo, più tardi indicato semplicemente come dualismo cartesiano. Secondo Cartesio la mente è dotata di un’anima immateriale distinta dalla sfera del mondo fisico. Esistono la sfera mentale e la sfera fisica e i due contesti non dovrebbero mai incontrarsi (se non forse attraverso l’epifisi, o ghiandola pineale, o grazie all’intervento divino, altrimenti sarebbe difficile spiegare la quasi perfetta correlazione tra il desiderio della mente di aprire una porta e la simultanea realizzazione pratica da parte del corpo dell’atto desiderato). Pochi decenni dopo, J.J. Becher pubblicò Physica subterranea (1667), un’opera, come quella di Cartesio, incentrata sulla descrizione di un’entità invisibile. Becher spiegava che tutti i materiali infiammabili sono tali perché contengono il flogisto, una sostanza teorica, senza colore, odore, sapore o peso: il fuoco stesso sarebbe dunque, secondo Becher, animato da una sostanza apparentemente immateriale. Le idee di Cartesio e Becher furono ampiamente discusse e accettate da molte persone nel XVII secolo.
I tempi sono cambiati e anche le fortune di queste due teorie. Il dualismo mente-corpo è una delle più radicate idee dell’ultimo millennio, presente in discussioni pratiche che riguardano l’etica della clonazione, l’aborto, l’eutanasia e l’impiego degli animali nei test di laboratorio. La teoria del flogisto, al contrario, viene soltanto occasionalmente citata nei circoli scientifici e, anche in questo caso, come aneddoto ammonitore nei riguardi della teorizzazione non scientifica. Si potrebbe naturalmente pensare che il dualismo cartesiano si sia conservato perché ha guadagnato un sostegno scientifico mentre la teoria del flogisto abbia perso favore perché rifiutata dalla scienza. Questo ragionamento potrebbe apparire logico ma in realtà è sbagliato.
Nei circoli scientifici nessuna delle due teorie è considerata attendibile, anche se gli scienziati illustrano regolarmente le proprie scoperte servendosi di un linguaggio dualistico. Secondo uno dei fondamentali dogmi della scienza moderna la mente è interamente biologica, un’entità materiale dunque. La filosofia inoltre ha da molto tempo stabilito che il dualismo mente-corpo non regge dal punto di vista logico senza accettare numerose premesse piuttosto contorte. Ciò nonostante la gente se ne va in giro con una radicata idea del dualismo mente-corpo proprio nella semplice, ma non verosimile, forma descritta da Cartesio. Considerate tutti gli istituti della mente e del corpo o della mente e del cervello che vengono fondati in giro per il mondo sostenendo di poter esplorare la connessione tra queste due entità. Queste istituzioni continuano a ritenere valido il dualismo suggerendo che la mente e il corpo siano sufficientemente distinti da avere bisogno di connessioni. Anche i dibattiti in corso sul modo in cui gli stati del cervello causano gli stati mentali e sulla capacità della meditazione di alterare il cervello e il corpo passando per la mente si basano sulla cartesiana distinzione mente-corpo.
Perché il dualismo mente-corpo è un’idea persistente in grado di conservarsi anche se viene smentita dalla scienza e dalla filosofia? Perché, in linea più generale, una qualsiasi idea può aver presa su un gran numero di persone e conservarsi per decenni o secoli? In che modo le idee semplici possono diventare Grandi Idee? Gli psicologi hanno imparato molto sul modo in cui l’origine o il contenuto di un messaggio possono spingere un individuo a rifiutare o ad accettare un determinato argomento. Il best seller di Malcolm Gladwell, Il punto critico,1 descrive in modo semplice e avvincente il tipo di persone che, tutte insieme, agiscono come una catena di distribuzione delle idee, assicurando all’idea stessa la più ampia ed epidemica diffusione. La maggior parte dei «memi», o idee culturali persistenti, compare e sparisce in una manciata di anni, in mesi o anche in giorni. Le discoteche e i pantaloni a zampa potevano forse essere di moda negli anni settanta del Novecento, per tutte quelle ragioni che rendono le idee persuasive, ma negli anni ottanta le discoteche e i pantaloni a zampa erano fuori moda e andavano la musica new wave e i pantaloni stretti.
Ma che dire delle idee che si conservano davvero, ininterrottamente, nel tempo, come il dualismo cartesiano? In questo saggio cercherò di dimostrare che le Grandi Idee qualche volta coincidono con la struttura e il funzionamento del cervello umano al punto che, vedendo il mondo attraverso il cervello, noi non possiamo fare a meno di credere proprio in quelle idee. Ho scelto di chiamare questa teoria principio di Deacon in onore dell’antropologo di Berkeley e studioso di neuroscienze Terrence Deacon, il cui lavoro ha rappresentato per me un’importante fonte di ispirazione.
In La specie simbolica. Coevoluzione di linguaggio e cervello,2 Deacon fornisce una spiegazione inattesa del perché gli uomini avrebbero incominciato a utilizzare il linguaggio nella sua forma moderna. Secondo la spiegazione più diffusa della nascita del linguaggio moderno, dice Deacon, il cervello umano si sarebbe evoluto allo scopo di svolgere tutte le attività mentali necessarie per usare il tipo di linguaggio che impieghiamo oggi. Deacon capovolge questa logica suggerendo che il cervello umano abbia effettivamente evoluto la capacità di compiere elaborazioni simboliche non allo scopo di sviluppare il linguaggio. Deacon suggerisce invece che questa capacità sia servita alle coppie per formare un legame tra i sessi basato sulla fiducia e rispettato dalla tribù, in modo da permettere agli uomini di allontanarsi per andare a caccia senza portarsi dietro le compagne. Ma è la parte seguente dell’argomentazione di Deacon che risulta cruciale per il mio principio. L’autore suggerisce infatti che il linguaggio si sia evoluto (e continui a evolversi) per adeguarsi alla struttura e al funzionamento del cervello umano, e non per altri motivi. Deacon fornisce diverse prove a sostegno del fatto che il linguaggio si evolva molto più velocemente e con maggiore facilità rispetto al cervello, e afferma che, modificandosi da una generazione all’altra, il linguaggio quasi sempre è mutato in modo da essere più facilmente acquisibile da un bambino di due anni.
Il principio di Deacon può essere riassunto così: le Grandi Idee sono influenti e durature principalmente perché coincidono con la struttura e la funzione del cervello umano, ovvero, come puntualizza Deacon stesso, le idee evolvono per adeguarsi alla struttura e alla funzione del cervello e, con l’aumentare di questa adesione, finiscono per diventare «persistenti». Due condizioni devono però verificarsi per poter applicare il principio di Deacon. Innanzitutto deve esistere un qualche tipo di adesione profonda tra il contenuto di una Grande Idea e la struttura e il funzionamento del cervello. In secondo luogo, la Grande Idea deve modificarsi nel corso del tempo per avvicinarsi di più alle strutture fondamentali dell’organizzazione del cervello. Questo saggio prenderà in considerazione due Grandi Idee alle quali si può applicare il principio di Deacon: il dualismo mente-corpo e il confronto tra valori della cultura orientale e valori della cultura occidentale.
Il dualismo mente-corpo
In base all’opinione unanimamente condivisa in campo scientifico la mente e il corpo sono fatti dello stesso tipo di materia, tuttavia la scienza sta cominciando soltanto ora a spiegare come il cervello dia un senso alla mente e al corpo nella quotidianità. Quasi tutte le prove su cui questo nuovo approccio si basa considerano due diversi temi: come diamo un senso a noi stessi e come lo attribuiamo alle altre persone. Soltanto occasionalmente viene invece analizzato il modo in cui il cervello dà vita al proprio dualismo mente-corpo. Numerosi studi condotti impiegando le tecniche della neurovisualizzazione (principalmente la fMRI, o risonanza magnetica funzionale) hanno individuato due regioni sulla superficie mediale (ovvero a metà) del cervello, una nella corteccia prefrontale (PFC mediale) e l’altra nella corteccia parietale (PAC mediale), che tendono a essere più attive durante i processi di introspezione (cioè quando qualcuno si concentra su di sé riflettendo sul proprio stato, e le proprie caratteristiche e preferenze).3 Un altro filone di indagine ha invece preso in esame le regioni del cervello coinvolte nel riconoscimento degli indicatori fisici del sé, come la capacità di riconoscere dal punto di vista visivo il volto di qualcuno. Sorprendentemente si è potuto notare che, quando la gente osserva immagini del proprio volto durante gli studi di neurovisualizzazione, la PFC mediale e la PAC mediale (le regioni coinvolte nella concentrazione sugli attributi non fisici) non sono attive, mentre lo sono invece alcune aree nella PFC laterale e nella PAC laterale, sulla superficie esterna del cervello.4 La PAC laterale inoltre sembra essere coinvolta nell’osservazione dei movimenti del proprio corpo; i soggetti che presentano danni in questa regione possono vivere esperienze extracorporee, cioè, nel caso per esempio della schizofrenia, avere la sensazione che qualcun altro controlli il loro corpo.5
Una simile distinzione si osserva nell’elaborazione cerebrale relativa agli altri, quando cioè il soggetto esaminato deve riconoscere un’altra persona in termini di mente oppure di corpo. Se siamo impegnati nella «mentalizzazione», cerchiamo di immaginare che cosa passa nella mente dell’altro (le sue intenzioni, convinzioni o sensazioni). L’area del cervello più direttamente associata ai processi di mentalizzazione è una regione della PFC mediale. Quest’area è vicina alla regione coinvolta nell’autoriflessione, ma non coincide con essa. Sembra dunque che la mentalizzazione riferita alla mente di qualcun altro oppure alla propria preveda comunque l’attività della PFC mediale.
Che cosa accade quando riconosciamo i movimenti del corpo di un’altra persona senza cercare di capire che cosa passa nella sua mente? Quando, per esempio, imitiamo il tamburellare delle dita di qualcuno, non abbiamo bisogno di sapere esattamente a che cosa sta pensando quella persona. In simili casi viene sempre osservata un’attività nella PFC laterale e nella PAC laterale. Insieme queste regioni vengono spesso indicate come sistema dei neuroni specchio perché, registrando in laboratorio l’attività del singolo neurone nei primati non umani, si è potuto dimostrare che, se un primate esegue un’azione (per esempio sporgersi per raggiungere il cibo) o semplicemente se guarda qualcun altro che svolge la stessa azione, i suoi neuroni nella PFC laterale e nella PAC laterale si attivano.6 Come nell’autoelaborazione, anche nellinterpretazione delle azioni degli altri assistiamo dunque a una distinzione in termini di mente o di corpo.
In entrambi i casi, di elaborazione relativa a sé o agli altri, l’attivazione delle regioni mediali prevale quando qualcuno sta cercando di capire la mente dell’altro, mentre l’attivazione delle regioni laterali prevale quando qualcuno si focalizza sul corpo dell’altro. Le regioni del cervello si trovano in posizioni relativamente simili (cioè la PFC e la PAC) sulla superficie mediale e laterale del cervello, ma sono chiaramente distinte dato che sono legate alla focalizzazione dell’attenzione del soggetto sulla mente oppure sul corpo. Inoltre l’attivazione delle regioni laterali è associata a una riduzione dell’attività delle regioni mediali,7 e questo suggerisce che, almeno in alcune condizioni, le attività nelle regioni mediali e laterali possono trovarsi in competizione.
La mente e il corpo sono dunque rappresentate a livello cerebrale in due modi ben diversi e danno così origine a una sorta di dualismo all’interno del cervello. In linea generale quando il cervello elabora due fenomeni in aree diverse, questi vengono percepiti come se appartenessero a categorie distinte. Per esempio i colori e i numeri sono considerati categorie distinte ed elaborati in strutture neurali distinte. Curiosamente, le rare persone affette da sinestesia confondono i colori con i numeri o altri «qualia» simili, per esempio «vedono» la musica o «assaggiano» stimoli visivi; lo studioso di neuroscienza dell’Università della California di San Diego, V.S. Ramachandran, ha dimostrato che queste persone tendono in effetti a elaborare «qualia» distinti all’interno della stessa area del cervello. Data la normale separazione all’interno del cervello, cercare di convincere la gente del fatto che mente e corpo siano effettivamente fatti nello stesso modo, e non si tratti invece di due cose distinte, sarebbe come cercare di convincere qualcuno del fatto che colori e numeri siano lo stesso tipo di cosa. Non importa ciò che la scienza dice, semplicemente questa percezione è frutto della nostra esperienza quotidiana diretta.
Consideriamo ora il secondo fattore indicato dal principio di Deacon secondo cui le idee persistenti possono evolvere a partire da idee meno persistenti quando sono in grado di trasformarsi per aderire meglio alla struttura e al funzionamento del cervello. Un’evoluzione di questo tipo sembra che si sia in effetti verificata nel caso del dualismo mente-corpo. Il dualismo non era affatto un’idea originale all’epoca di Cartesio: Pitagora, Cicerone, sant’Agostino e Tommaso d’Aquino lo avevano già proposto, ma l’esempio più noto di dualismo precartesiano è quello di Platone. Egli propose di distinguere il mondo fisico dal mondo delle forme universali, perché, se possiamo riconoscere una particolare sedia come appartenente alla categoria delle sedie, è perché abbiamo accesso a un’idea universale di «sedia». Queste idee universali esistono e appartengono a un particolare regno che non ha legami con la mente o con il corpo. La teoria di Platone influenzò molti altri filosofi ma non ebbe mai molta presa sulla gente comune e di conseguenza nessuna strategia sociale si è mai basata sulla nostra percezione delle forme universali. Le cose sono andate così perché non esistono strutture cerebrali dedicate all’elaborazione delle forme universali? Forse le forme universali costituiscono semplicemente uno degli innumerevoli schemi suggestivi che il cervello, vera e propria macchina simbolica multiuso, è in grado di elaborare pur non avendone la necessità, simili all’idea affascinante ma un po’ banale per cui i pianeti in orbita intorno al Sole sarebbero analoghi agli elettroni che ruotano intorno al nucleo atomico o che la Via Lattea sia come una molecola persa nell’immensa entità del cosmo. Possiamo considerare efficace l’idea pianeta/elettrone, ma non potrà mai radicarsi nella nostra cultura e neppure lo farà il dualismo forme universalimondo fisico.
Nel tempo diversi tipi di dualismo sono stati proposti per rendere ragione di molte delle complessità del mondo, ma nessuno si è rivelato davvero persistente prima della versione proposta da Cartesio. Questa versione casualmente corrisponde a una fondamentale suddivisione adottata dal cervello quando pensa alle menti e ai corpi. A dispetto degli sforzi congiunti di scienziati e filosofi per dimostrare la scarsa validità del dualismo mente-corpo, questa idea è rimasta perciò un elemento fondamentale del modo in cui pensiamo al mondo intorno a noi.
Consideriamo ora un...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Prefazione
  3. Stephon H.S. Alexander
  4. Sarah-Jayne Blakemore
  5. Lera Boroditsky
  6. Nick Bostrom
  7. Sean Carroll
  8. Sam Cooke
  9. David M. Eagleman
  10. Joshua D. Greene
  11. Katerina Harvati
  12. Christian Keysers
  13. Matthew D. Lieberman
  14. Jason P. Mitchell
  15. Gavin Schmidt
  16. Deena Skolnick Weisberg
  17. Laurence C. Smith
  18. Seirian Sumner
  19. Nathan Wolfe
  20. Vanessa Woods e Brian Hare
  21. Ringraziamenti
  22. Bibliografia