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J.M. Coetzee La vecchia e i gattiRaoul Kirchmayr L'odore dei pensieri. Etica e scrittura dell'animale in J.M. CoetzeePier Aldo Rovatti L'uomo lentoMassimiliano Roveretto Un occhiello senza bottone. Soggettività e scrittura in J.M. CoetzeeAlessandro Dal Lago Elizabeth Costello. O dell'indicibilità del veroDavid Attwell Dominare l'autorità: Diario di un anno difficile di J.M. CoetzeeINTERVENTIRoberto Esposito A che serve pensareMassimo De Carolis Governance senza governo. Un paradigma della crisiCONTRIBUTIAntonello Sciacchitano L'ontologia alla provaGünter Figal C'è ancora filosofia?Enrica Lisciani-Petrini Vladimir Jankélévitch. Quando l'equivoco fa beneFelice Cimatti Linguaggio e immanenza. Kierkegaard e Deleuze sul "divenir-animale"Livio Boni Dare atto dell'impossibile: Badiou, Lacan e l'antifilosofia.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788865764053
Contributi

L’ontologia alla prova

ANTONELLO SCIACCHITANO
Non credo all’esistenza degli atei.
Dio
La concezione vana e inutile di “causa” è la rovina di ogni buona rappresentazione.
P. Valéry, Quaderni, vol. II, 1902
Presento un testo sull’indebolimento dell’essere e della causa. La prima parte, più astratta, si dedica a indebolire l’ontologia; mostra gli assiomi su cui si basa, in vista della possibile sospensione di alcuni dei più forti; la seconda, più concreta, si dedica a indebolire l’eziologia, che dell’ontologia è il braccio armato, cioè il momento tecnico di applicazione dell’essere all’ente.
Tra le due parti c’è una connessione logica. Una volta indebolita l’ontologia, risulta automaticamente ristretta la portata del principio di ragion sufficiente. “Perché c’è qualcosa invece di niente?”, si chiedeva Leibniz. La risposta scontata era: “Perché c’è una ragione”. Ma sostenere che ogni ente è l’effetto di una ragione stabilita (da chi è da stabilire) risulta più problematico una volta indebolite le ragioni dell’essere. Se la causa ha meno esistenza, anche l’effetto esiste meno. Viene meno, infatti, la premessa ontologica secondo cui la causa, che è, fa essere l’effetto, che passa dall’essere in potenza all’essere in atto. Ma si può spingere oltre l’indebolimento eziologico e, retroattivamente, quello ontologico, fino a renderli entrambi irreversibili.
A tal fine l’argomento che sviluppo nella seconda parte del saggio sfrutta il principio dell’eterno ritorno di Nietzsche per indebolire, quasi abbattere, il principio di ragion sufficiente. Perché convoco proprio Nietzsche? Per attraversare le barriere difensive con cui l’accademia blinda i discorsi dell’essere e della causa. Mi riferisco a Nietzsche per una ragione più politica che teorica, perché con Bataille ritengo che il suo pensiero – un pensiero nomade, secondo Deleuze – “non può essere asservito”1 ad alcuna forma di discorso, dominante o accademico, né di destra né di sinistra. Stabilito questo, sfrutto il principio dell’eterno ritorno per intaccare il principio di ragion sufficiente più radicalmente di quanto non sia riuscito a David Hume nella sua Ricerca sull’intelletto umano del 1748, prontamente rintuzzata da Kant e Schopenhauer, come si sa. Allora entro in medias res.
1. Ontologia
1.1. La prova ontologica
Come si sa, il discorso ontologico è un discorso inclinato verso la teologia. Per indebolire l’ontologia ritengo, quindi, opportuno sospendere ogni riferimento teologico. È quello che intendo fare in questa prima parte.
Assumo che nell’aforisma 125 della Gaia scienza (L’uomo folle), il famoso enunciato “dio è morto”, ancor prima di annunciare la fine dell’esistenza di un ente, seppure il più grande mai esistito, annunci la fine dell’essere che genera gli enti. La fine dell’ente più grande, che è supposto generare tutti gli altri enti, è la semplice conseguenza della fine dell’essere come concetto metafisico e quindi della metafisica occidentale. In questo senso la diagnosi heideggeriana che riconosce in Nietzsche l’ultimo metafisico è storicamente giusta,2 ma a rovescio di come intesa da Heidegger. Con Nietzsche finisce l’epoca dell’essere, quindi anche degli enti, il più grande compreso. Il superuomo nietzschiano, che prende il posto di dio, è questo ente con poco essere che annuncia un’altra epoca, meno ontologica di quella che lo ha preceduto.
Premesso che Nietzsche non si esprime così, resta non minore l’interesse di riprendere l’analisi della prova ontologica dell’esistenza di dio, di cui l’aforisma 125 rappresenta una sorta di enunciato contrapositivo;3 si potrebbe addirittura arrivare a dire che l’urlo del folle, che irrompe sulla piazza del mercato con la lanterna accesa in pieno giorno, sia a tutti gli effetti la prova contro-ontologica dell’inesistenza di dio. Spogliata dalla messa in scena, che mostra tutta la perizia teatrale di Nietzsche, ritengo che l’enunciazione della morte di dio annunci un nuovo vangelo, meno ontologico e più epistemico di quello tuttora vigente in Europa; il folle di Nietzsche è l’angelo che annuncia il messaggio dell’era moderna, giustamente recepito come pericoloso dall’autorità religiosa, che condannò i Bruno e i Galilei, ben prima che l’intelligenza secolare ne registrasse la novità e la portata. Perché, come ammonisce lo stesso folle, ci vuole tempo per riconoscere un fatto. Il trauma si riconosce sempre e solo a cose fatte, nella memoria, non al momento – nachträglich, dirà Freud. Della memoria dell’avvento dell’era epistemica sulle ceneri ancora calde dell’era ontologica,4 voglio qui dare atto.
In sostanza, sostengo che l’esistenza di dio, dimostrata con una delle diverse varianti della prova ontologica, è un teorema – ma vorrei dire un artefatto – derivante dagli assiomi di base dell’ontologia. In pratica, la mia tesi è: se l’ontologia è coerente, allora dio esiste. Di questa congettura dico che è epistemico-ontica, del tipo cogito ergo sum; dall’antecedente epistemico, nel caso la coerenza dell’ontologia, deduce il conseguente ontico, cioè l’esistenza di un certo soggetto: può essere dio per Anselmo o l’io per Cartesio. E cerco di mostrarne la plausibilità all’interno della logica classica, così come è andata formalizzandosi ai giorni nostri.
1.2. Gödel, non più Gödel
Non passerò in rassegna le varianti della prova ontologica, da quella originaria di Anselmo a quella epistemica di Cartesio, da quella panteista (alla Bruno) di Spinoza a quella modale di Leibniz.5 Non mi soffermerò neppure sulle varie critiche, capostipite quella di Kant che contestava la riduzione dell’esistenza alla qualità.6 Malvolentieri svicolo dal problema dell’origine di quella prova, emersa solo nel 1073, dopo la lenta e prolungata sobbollitura nel brodo cristiano. Perché ci sono voluti più di mille anni per concepire la prova ontologica come per iniziare a costruire la cattedrale di Chartres? Il fatto è tanto più strano se con Blumenberg si ammette che “in filosofia non si è mai spento il desiderio, nascosto o palese, che vi sia il punto in cui il concetto si muti immediatamente in realtà. Il modello l’avrebbe fornito la prova ontologica dell’esistenza di dio, secondo la quale il concetto di ente perfettissimo ne implica l’esistenza”.7
Allora, vado subito al prodotto finito, presentato in forma ineccepibile dal massimo logico moderno, Kurt Gödel.8 Il quale per trent’anni almanaccò intorno a quella prova – dagli anni quaranta ai settanta del secolo scorso – ma non pubblicò il risultato: due paginette, che i curatori trovarono nei suoi cassetti e pubblicarono solo quindici anni dopo la sua morte. Dietro siffatti eventi, che lo psicoanalista classificherebbe come inibizioni, sia individuali sia collettive, si celano questioni di fatto e di principio di per sé interessanti da sviscerare, ma mi fermo alle due paginette.
Due paginette: parturient montes, con quel che segue? Non proprio, come si vedrà.
Il parto di Gödel è in una forma che si adatta particolarmente bene alla mia analisi “debolista”, perché consta di un teorema (la prova ontologica) e di cinque assiomi da cui si arriva facilmente al CVD. Il teorema recita: se è possibile che un certo x sia divino, allora è necessario che un certo y sia divino, ossia se dio è possibile, allora è necessario che esista.9 Il teorema è espresso da Gödel nei termini della logica modale S5 di Lewis, a sua volta ispirata a Leibniz, che assume come significato di “necessario” ciò che è vero in tutti i mondi possibili (o che non implica mai contraddizione). L’assioma specifico di S5 è che, se un enunciato è possibile, allora è necessario che sia possibile.
In questo contesto, al fine di chiarire la natura del campo ontologico in cui il teorema è valido, più della conclusione a valle sono interessanti gli assiomi a monte che la giustificano. Sono gli assiomi di una struttura matematica elementare, quella di filtro, individuata intorno agli anni quaranta da Henri Cartan, per generalizzare la nozione topologica di limite. L’esempio più semplice è il filtro dei numeri naturali positivi; essi sono tali che il prodotto di due di essi è un naturale positivo e, se un numero naturale positivo è maggiore di un altro appartenente al filtro, allora esso appartiene al filtro (chiusura verso l’alto o proprietà induttiva).
In termini insiemistici, una famiglia F di insiemi è un filtro sull’insieme I se:
a) non è vuota e non contiene l’insieme vuoto;
b) l’intersezione di due insiemi del filtro F appartiene al filtro F;10
c) se l’insieme A contiene un insieme del filtro F, allora A appartiene al filtro F.11
La nozione di filtro si usa in teoria dei modelli per dimostrare la coerenza di una teoria e si rinforza in quella di ultrafiltro. Si dice che il filtro F è un ultrafiltro se o contiene l’insieme A o contiene il suo complemento. Il teorema topologico caratteristico degli ultrafiltri, che generalizza la prova ontologica, stabilisce che ogni ultrafiltro possiede almeno un punto limite, ossia è più fine del filtro degli intorni di quel punto.12
Gödel opera con l’ultrafiltro P delle cosiddette proprietà positive φ sull’insieme I, cioè le proprietà che si possono determinare in modo effettivo su I. Per esso formula i seguenti cinque assiomi:
1. Se φ e ψ sono proprietà positive, allora la loro congiunzione φ.ψ è una proprietà positiva, ossia P è un filtro (assioma di coerenza).
2. O φ è una proprietà positiva o non φ è una proprietà positiva, ossia P è un ultrafiltro (assioma del terzo escluso).
3. Se una proprietà φ è vera, allora φ è necessariamente vera (assioma logocentrico).
4. L’esistenza necessaria è una proprietà positiva (assioma anti-kantiano).
5. Il possibile è necessariamente possibile (assioma leibniziano).
Questi assiomi fondano il campo ontico dell’essere. Non meraviglia che sul finire degli anni ottanta Alain Badiou promuovesse la matematizzazione dell’ontologia.13 Meraviglia, invece, che Gödel sottoscrivesse assiomi di completezza e di coerenza che da giovane aveva dimostrato rispettivamente indimostrabili e indecidibili per sistemi tanto potenti ed espressivi quanto l’aritmetica di Peano, ammessa la loro coerenza.
1.3. Cognitivismo
Questo capitolo e il successivo sono propedeutici alla seconda parte del testo.
Prima di passare alla “critica della ragion sufficiente”, mi chiedo: come avrebbero accolto l’assiomatizzazione gödeliana i grandi ontologi del passato, da Eraclito a Parmenide? Avrebbero applaudito soprattutto all’assioma logocentrico, a loro necessario per passare concretamente dall’ontologia dell’essere all’ontica degli enti, senza perdere nella seconda le certezze tautologiche della prima: l’essere che è e il non essere che non è. Si chiamerà razionalismo.14
E applaudono pure i moderni cognitivisti, anche non credenti, perché si sentono rassicurati nei loro programmi, più platonici che scientifici, di conoscenza di quel che...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. J.M. Coetzee. Ricominciare con niente
  4. J.M. Coetzee - La vecchia e i gatti
  5. Raoul Kirchmayr - L’odore dei pensieri. Etica e scrittura dell’animale in J.M. Coetzee
  6. Pier Aldo Rovatti - L’uomo lento
  7. Massimiliano Roveretto - Un occhiello senza bottone. Soggettività e scrittura in J.M. Coetzee
  8. Alessandro Dal Lago - Elizabeth Costello. O dell’indicibilità del vero
  9. David Attwell - Dominare l’autorità: "Diario di un anno difficile" di J.M. Coetzee*
  10. Interventi
  11. Contributi