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aut aut – numero 373 (marzo 2017) della rivista fondata da Enzo Paci."Individui pericolosi, società a rischio 2"

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788865766125
Marx e Foucault tra penalità
e critica dell’economia politica
DARIO MELOSSI
Pubblicammo, insieme a Massimo Pavarini, Carcere e fabbrica: alle origini del sistema penitenziario esattamente quarant’anni fa.1. Essenzialmente il libro si basava su una ricostruzione di materiale storico sulle origini del carcere (diviso in due parti, l’Europa e l’Italia da un lato, gli Stati Uniti dall’altro), ordinato intorno a una visione di matrice marxista. Questa era anche la sua ambizione all’originalità nel senso che, attraverso una lettura marxista di tale materiale storico, emergeva chiaramente come la stessa origine, la vera e propria “invenzione” del carcere, fosse strettamente connessa al processo storico-economico che Marx, nel primo volume del Capitale, chiama accumulazione “originaria” o “primitiva”. Inoltre, nei secoli che seguirono, la logica stessa di questa accumulazione primitiva si sarebbe riprodotta ed espansa attraverso la conquista incessante e la colonizzazione di aree pre-capitaliste della società, non solo, naturalmente, per quanto riguardava l’economia capitalista di per sé, ma sinanco nei sistemi penali, a causa della caratteristica essenziale della “disciplina” (come si cercherà di mostrare più in dettaglio nelle pagine che seguono).
Economia politica della pena
Affrontando la questione delle origini dell’incarcerazione, due strade sembravano schiudersi davanti a noi. Una l’avevamo trovata menzionata in un famoso lavoro di Maurice Dobb, Problemi di storia del capitalismo2. e si intitolava Punishment and Social Structure di Georg Rusche e Otto Kirchheimer.3. Tuttavia, l’enfasi di Rusche sull’importanza del mercato del lavoro – che gli veniva da maestri di impostazione sostanzialmente liberale classica – mi sembrava un buon esempio di “economicismo”, più che di “marxismo”.4.
L’altro percorso fu quello che noi seguimmo (e che a mio avviso anche Foucault seguì, in Sorvegliare e punire) e cioè la centralità del concetto di disciplina. Come veniva naturale a chi vivesse nell’atmosfera italiana degli anni settanta, vedevamo le radici della lotta di classe nella fabbrica, intorno all’estrazione del “plusvalore”. Secondo tale punto di vista, presentato da Marx nel primo volume del Capitale, alla fine di ciascuna giornata di lavoro, il valore della produzione deve essere più grande della somma dei costi dei vari fattori della produzione. Questo concetto assai semplice, quasi banale, è tuttavia il nocciolo della lotta di classe. Il governo della produzione è infatti nelle mani del capitale da un lato e della resistenza dei lavoratori dall’altro.
Quando si ricostruisce la storia del carcere, quindi, non si può assolutamente trascurare l’importanza cruciale di un’istituzione come la “workhouse” o la casa di lavoro.5. La casa di lavoro, nella sua versione più famosa, la Rasphuis, fu inventata all’inizio del xvii secolo nelle province olandesi, da poco indipendenti e libere di professare la loro religione protestante. Tale istituzione avrebbe costituito il nesso cruciale con la futura istituzione “penitenziaria”, soprattutto attraverso l’opera di William Penn e dei suoi quaccheri.6. Centrale quindi nel prefigurare la forma moderna del carcere, a causa della fama e della notorietà della Rasphuis. Ma centrale, specialmente, nel costituire il nesso tra penalità e capitalismo. Quale altra istituzione infatti poteva meglio rappresentare l’“affinità elettiva” weberiana7. tra il capitalismo e la penalità moderna? Una nuova forma di penalità che era in grado essa stessa di rappresentare lo “spirito del capitalismo”, una configurazione materiale della stessa “etica protestante”.8. Invero, si potrebbe sostenere che la stessa “invenzione” del capitalismo prese forma nell’invenzione della casa di lavoro. “La questione penale” è infatti sempre stata vicina al cuore degli innovatori sociali, e sia i riformatori sia i rivoluzionari sono stati spesso presi in un rapporto di odio-amore con la penalità e il carcere in particolare, nel quale trovavano forse l’utopia della nuova società, specialmente l’utopia dell’“Uomo Nuovo”, che volevano forgiare.
Per cui, dalla casa di lavoro al penitenziario. Poi, circa un secolo dopo, dal penitenziario al Panopticon, celebrato in seguito nelle pagine di Foucault. Jeremy Bentham scrisse sul frontespizio del Panopticon che “il Panopticon […] [è una] casa d’ispezione: contenente l’idea di un nuovo principio di costruzione applicabile a ciascuna sorta di stabilimento ove persone di condizione assai diversa debbano essere sottoposte a sorveglianza”.9. Bentham esemplifica quindi che il principio sarà ugualmente applicabile a “edifici penitenziari, prigioni, fabbriche, case di lavoro, ospizi per poveri, manifatture, ospedali per folli, lazzaretti, ospedali e scuole”.10. In Carcere e fabbrica, chiamai tale varietà di istituzioni “ancillari” alla “fabbrica”,11. nel senso che erano cruciali al fine di costituire e riprodurre la disciplina sociale richiesta da un modo di produzione capitalista.
Seguendo infatti la ricostruzione che ne fa Marx, una volta che il lavoratore si sia addentrato all’interno della porta maestra d’ingresso, non così metaforica dopotutto, della sfera di produzione, è al di là di quell’ingresso che, come per miracolo, la vendita della sua forza-lavoro alla fine rende di più, al capitalista, di quanto il capitalista abbia dovuto anticipare per i vari costi di produzione. Tale differenza, che è alla base del profitto del capitalista, può divenire realtà, tuttavia, solo se la “libertà” della sfera di circolazione muta nella (temporanea) servitù della “sfera di produzione”. Infatti, il capitalista sarà realmente tale solo se, avendo acquistato la forza-lavoro dell’operaio, egli sarà in grado, come ogni altro buon proprietario, di godere di tale proprietà come più gli piaccia, e quindi di imporre quella disciplina di produzione che sola può garantire la differenza tra costi e ricavi che si traduce nel profitto. Bisogna infatti notare che, ahimé, la forza-lavoro, cioè la merce che il capitalista ha acquistato, giunge a lui in qualche modo attaccata a un essere umano, il quale spesso si comporta in modi differenti da quelli previsti e richiesti dal capitalista. Ciò dà origine a un conflitto tra l’essere umano, il lavoratore, e il lavoratore come mero portatore di forza-lavoro. Tale conflitto è il fondamento essenziale della “lotta di classe”. Questa è la ragione per cui è scorretto dire, come si sente spesso, che la teoria di Marx è “basata sull’economia”. Piuttosto, come afferma il sottotitolo del Capitale, si tratta di una “critica dell’economia politica”, una critica che individua il nocciolo della questione nel conflitto tra capitale e lavoro intorno allo sfruttamento. Si tratta di una lotta politica, d...

Indice dei contenuti

  1. Sommario
  2. Premessa
  3. Piccolo crimine e diritti
  4. Breve genealogia della razionalità attuariale americana
  5. Delinquenza, pericolosità, etnicità.
  6. Le peregrinazioni della "pericolosità" attraverso la criminologia clinica
  7. L'invidia degli anormali
  8. Lo specialista del pericolo
  9. Pericolo in movimento.
  10. Marx e Foucault tra penalità e critica dell'economia politica
  11. La nostra incorreggibile (a)normalità
  12. L'insostenibile libertà dell'essere.
  13. Post