Aut aut 325
eBook - ePub

Aut aut 325

  1. 223 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Aut aut 325

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Questo numero della rivista "Aut aut" presenta gli articoli di: Thomas Bernhard, Luigi Reitani, Fabio Polidori, Anna Calligaris, Pier Aldo Rovatti, Antonello Sciacchitano, Micaela Latini, Raoul Kirchmayr, Giovanna Gallio, Damiano Cantone, Laura Boella, Claudio Magris.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Aut aut 325 di AA.VV. in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Filosofía e Historia y teoría filosóficas. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788865761519
Materiali 1
In questa sezione vengono pubblicati tre testi di Thomas Bernhard risalenti a momenti diversi nella sua produzione ma per molte ragioni significativi in termini di genere letterario e di modalità di scrittura. Il primo di essi, intitolato Tre giorni, qui presentato in traduzione italiana per la prima volta, è frutto della trascrizione di un monologo per un lungometraggio (Der Italiener, realizzato nel 1971 dal regista Ferry Radax), in cui Bernhard aveva una piccola parte nel ruolo di se stesso. Nel cammeo Bernhard si mette in scena e si racconta, ricorda e riflette sulla sua necessità di scrivere. Il monologo contiene il pronunciamento estetico di Bernhard, la sua singolare “poetica” della scrittura come artificio teatrale, e pertanto appare un documento decisivo per la comprensione della sua opera.
Il secondo testo dà il tono e il tema al fascicolo: lo straordinario È una commedia? È una tragedia? può ben essere considerato uno scritto inaugurale per l’articolazione del nesso tra il tragico e il comico. In questo racconto, risalente al 1967 e giocato sul paradosso, l’elemento teatrale non funge solo da cornice al racconto, ma è soprattutto occasione e motore della narrazione.
Anche il terzo testo, Goethe “muore”, del 1982, mostra il gusto di Bernhard per il paradosso condotto fino all’esasperazione. La scena dell’azione è interamente occupata dal folle resoconto, reso da più voci narranti, delle ultime ore di Goethe, il quale anela – con un enorme anacronismo – a poter ricevere la visita del filosofo Ludwig Wittgenstein. Ma l’attesa è vana e sul letto di morte Goethe pronuncia la sua ultima frase, quel “Mehr nicht! (Non più!)” che, inteso volutamente come un “Mehr Licht! (Più luce!)”, rappresenta – scrive provocatoriamente Bernhard sul filo della finzione – “la più grande falsificazione che abbia mai avuto luogo in letteratura”.
Tre giorni [1971]
THOMAS BERNHARD
Primo giorno
... le prime impressioni già all’iscrizione alla scuola media, alla prima classe... la strada mi ha condotto davanti a un macellaio e davanti alle porte aperte accetta, martello, coltello come in rassegna, ben ordinati, da una parte quelli insanguinati, dall’altra quelli lucenti e puliti, strumenti di macellazione... poi il rumore dei cavalli che crollano improvvisamente a terra, questi ventri enormi che si aprono, rovinano, ossa, liquidi, sangue... poi, dopo il macellaio, un paio di gradini in su verso il cimitero, camera mortuaria, un sepolcro... me lo ricordo ancora, proprio il primo giorno di scuola, un ragazzino pallido nella camera mortuaria, il figlio di un casaro... e da lì col cuore in gola sul banco di scuola... una giovane insegnante...
Mia nonna, che mi portava sempre con sé – tranne quella mattina che sono andato da solo attraverso il cimitero – al pomeriggio è entrata con me nelle camere mortuarie, mi ha sollevato e mi ha detto: “Guarda, c’è di nuovo una donna”. Un vero morto... E questo ha un certo significato per ogni persona, e da qui si possono trarre conclusioni su tutto...
L’infanzia sono sempre di nuovo dei brani musicali, e certo non un brano di classica. Per esempio nel 1944, a Traunstein, per andare a scuola dovevo percorrere una strada più lunga. I nonni abitavano fuori città, a circa quattro chilometri, e nel mezzo c’era della boscaglia, non so più che alberi. E ogni volta che passavo lì davanti, saltava fuori una donna e mi urlava: “Tuo nonno, te lo spedisco ben io a Dachau!”.
Nel 1945 un’altra storia, un altro brano musicale, forse una dodecafonia. L’amico di mio fratello, che allora aveva sette anni, mentre io ne avevo quattordici, fu colpito da una granata e fu completamente dilaniato. Il posto si chiama Vachendorf. E io stavo andando in bicicletta con mio fratello alla sua sepoltura. Toccavo appena terra con i piedi, e mio fratello stava seduto davanti, sul manubrio. Per strada raccoglievamo fiori. Ma a metà strada, prima di arrivare al luogo della sepoltura, un giovane improvvisamente salta fuori dal bosco, trascina giù brutalmente mio fratello e me dalla bici, strappa i fiori e prende a calci la bicicletta, fino a distruggerla: prima i raggi delle ruote, poi fa a pezzi il manubrio, poi spezza i parafanghi, poi mi prende a schiaffi, poi spinge mio fratello nel ruscello. E mi è parso, non ne sono affatto certo, che fosse un polacco o un ceco... Era tutto così straordinario. E ci siamo seduti lì sulla riva del ruscello e abbiamo piagnucolato e poi siamo tornati indietro a piedi, certo della sepoltura non ne abbiamo più parlato, e arrivati a casa abbiamo raccontato questa storia così straordinaria. E di storie così ce n’è un’intera serie.
Due buone scuole naturalmente: l’essere soli, separati e isolati, da una parte, e poi dall’altra, l’esasperata sfiducia che proviene dall’essere solo, separato, isolato. E questo già da bambino...
Mia madre mi ha dato via. In Olanda, a Rotterdam, sono stato lasciato per un anno su un peschereccio, da una donna. Mia madre veniva a trovarmi ogni tre, quattro settimane. Non credo che allora le restasse molto tempo da dedicarmi. Certo, dopo è cambiato tutto. Avevo un anno quando siamo tornati a Vienna, però quella sfiducia è durata anche dopo, quando sono arrivato da mio nonno, che mi ha amato veramente. Poi le passeggiate con lui, tutto questo più tardi è nei libri, e questi personaggi, i personaggi maschili, sono sempre e solo il mio nonno materno... Ma sempre di nuovo accanto al nonno si è soli. Si può crescere soltanto soli, si sarà sempre soli, la coscienza di non poter sfuggire a se stessi. Tutto il resto è illusione, inganno. Non cambia nulla...
Al tempo degli studi, completamente solo. A scuola si ha un compagno di banco e si è soli. Si parla con le persone, si è soli. Si hanno punti di vista, estranei, propri, si è sempre soli. E se si scrive un libro, o per come io scrivo i miei libri, si è ancora più soli...
È impossibile spiegarlo, non si può. Dalla solitudine, dall’essere soli deriva soltanto un essere soli, un essere separati ancora più radicale. Alla fine si cambia scena a intervalli di tempo sempre più brevi. Città sempre più grandi, si crede che la piccola città non ci basti più: Vienna non basta più, anche Londra non basta più. Bisogna andare dall’altra parte del mondo, si cerca di andare di qua e di là, lingue straniere: è forse Bruxelles? È forse Roma? E così si viaggia ovunque, e si è sempre e soltanto con se stessi e con il proprio orrendo lavoro. Si ritorna in patria, ci si trasferisce in un podere, si chiudono le porte, come me – e spesso per interi giorni – e si rimane segregati, e d’altra parte l’unica gioia e piacere sempre più grande è proprio il lavoro. Sono le frasi, i vocaboli, che poi si compongono. In fondo è come un gioco, li si mette gli uni sugli altri, è un procedimento musicale. E quando si è raggiunto un certo livello, dopo che si sono costruiti quattro o cinque piani, si guarda il tutto e si distrugge tutto di nuovo come fanno i bambini. Ma mentre si crede di averla fatta fuori, sul corpo si forma subito da qualche parte una nuova piaga infetta, che è poi il nuovo lavoro, il nuovo romanzo, e diventa sempre più grande. In fondo un libro non è forse nient’altro che una piaga maligna, una cancrena? La si estirpa chirurgicamente e, naturalmente, si sa con assoluta certezza che le metastasi hanno già invaso e contaminato l’intero corpo e che una salvezza non è più possibile. E questa piaga naturalmente diventa sempre più aggressiva e più forte, e non c’è più nessuna salvezza e nessun ritorno.
I miei, i miei antenati, erano persone meravigliose. E non è casuale il fatto che mi tornino in mente qui, su una panchina gelata. Quello che è successo è tutto qui: pieni di soldi, veramente poveri, delinquenti, orrendi, quasi tutti in un qualche modo perversi e felici, hanno viaggiato di qua e di là... I più a un certo momento si sono improvvisamente suicidati, e in particolare proprio quelli di cui non si sarebbe mai creduto che avessero anche soltanto potuto pensare di concludere semplicemente la loro vita – o ciò che chiamiamo così – con un colpo o con un salto. Uno è saltato in un lucernaio, un altro si è sparato una pallottola in testa, il terzo semplicemente è entrato con l’auto nel fiume... E pensare a questa gente è tanto raccapricciante quanto piacevole. È la situazione di quando si è seduti a teatro, e il sipario si alza, e subito la gente che vediamo lì sopra, sul palcoscenico, si separa in buoni e cattivi, e non solo in buoni e cattivi caratteri, o in buoni e cattivi uomini e persone, ma in buoni e cattivi attori. E devo dire che è un vero piacere di tanto in tanto assistere di nuovo a questa rappresentazione.
Secondo giorno
La difficoltà è cominciare. Per lo stupido non è una difficoltà, lui non sa proprio che cosa siano le difficoltà. Fa figli o fa libri, fa un figlio, un libro – fa figli e libri senza sosta. Per lui è uguale, non ci pensa su. Lo stupido non conosce difficoltà, si alza, si lava, scende in strada, gli passano sopra, è una pappamolla, per lui è uguale. Fin dall’inizio ci sono forti contrasti, probabilmente ci sono sempre stati. Contrasti, che cos’è un contrasto? Ciò che contrasta è qualcosa di materiale. Il cervello ha bisogno di contrasti. Nella misura in cui esso accumula i contrasti ha del materiale: contrasto? Contrasti. Contrasto quando si guarda fuori dalla finestra, contrasto quando si deve scrivere una lettera e proprio non si vuole, si riceve una lettera, di nuovo un contrasto. Si getta via tutto, e tuttavia qualcuno prima o poi risponde. Si cammina per strada, si compra qualcosa, si beve una birra, tutto è faticoso, tutto contrasta. Ci si ammala, si finisce in un ospedale, diventa difficoltoso – di nuovo un contrasto. Improvvisamente si manifestano malattie mortali, scompaiono di nuovo, ci rimangono appiccicate: contrasti, naturalmente. Si leggono libri: contrasti. Non si vuole nessun libro, nessun pensiero, né linguaggio, né parole e neppure frasi, non si vuole storia: non si vuole per lo più nulla. Tuttavia ci si addormenta e ci si sveglia. La conseguenza dell’addormentarsi è lo svegliarsi, la conseguenza dello svegliarsi è l’alzarsi. Si deve fare fronte a tutto ciò che contrasta. Si deve uscire dalla stanza, compare la carta, compaiono le frasi, in realtà sempre di nuovo le stesse frasi... e non si sa da dove... Uniformità, no? Da qui nascono nuovi contrasti, mentre ci occupiamo di tutto questo. In realtà non si vuole nulla se non addormentarsi, e non saperne più nulla. Poi improvvisamente di nuovo il desiderio...
Perché oscurità? Perché nei miei libri una sempre uguale e totale oscurità? Si fa presto a spiegarlo.
Nei miei libri tutto è artificio, cioè tutti i personaggi, gli eventi, gli accadimenti sono rappresentati su un palcoscenico e lo spazio della scena è totalmente buio. Personaggi che entrano in uno spazio scenico, in un quadrato scenico, e i loro contorni sono più riconoscibili rispetto a quando appaiono alla luce naturale, come succede nella restante prosa che conosciamo. Nell’oscurità tutto diventa più chiaro. E ciò non vale solo per le apparizioni, per le immagini, ma è così anche per il linguaggio. Ci si deve rappresentare le pagine dei libri come completamente buie. La parola riluce e in questo modo ottiene la sua chiarezza o iperchiarezza. È un espediente artificioso che ho usato sin dall’inizio. E quando si apre un mio lavoro accade questo: ci si deve figurare di essere a teatro, con la prima pagina si alza un sipario, appare il titolo, oscurità totale – lentamente, dallo sfondo, dall’oscurità, emergono parole che, lentamente, si trasformano in accadimenti di natura esteriore e interiore, particolarme...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Raoul Kirchmayr. Premessa
  3. MATERIALI 1
  4. CONTRIBUTI
  5. MATERIALI 2