Capitalismo e teoria sociale
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Il capitalismo industriale ha forgiato la società in cui viviamo, e dall'analisi della sua ascesa e delle sue conseguenze è nata la sociologia, disciplina di cui Karl Marx, Émile Durkheim e Max Weber si possono ritenere i padri fondatori. Questo saggio di Anthony Giddens costituisce l'introduzione più originale e articolata ai tre pensatori, uno studio delle categorie fondamentali che le loro opere hanno offerto e continuano a offrire alla teoria sociale, utile per sgombrare il campo da troppe interpretazioni frettolose. Il carattere aperto dei rispettivi sistemi di pensiero accomuna Marx, Durkheim e Weber, che mai intesero la loro opera come un'ortodossia. La loro eredità, quindi, non si esaurisce nelle indispensabili chiavi interpretative della modernità che hanno coniato – come la classe, l'anomia o lo spirito del capitalismo –, ma si estende anche al piano metodologico. La teoria marxiana è presentata nella sua sostanziale continuità, ridimensionando le tradizionali contrapposizioni fra «il giovane Marx» e il Marx della maturità. Della sociologia durkheimiana Giddens recupera la dimensione storica, trascurata dalla dominante interpretazione funzionalista, e dell'opera di Weber ricostruisce, dietro la molteplicità dei campi d'indagine, l'unitarietà del metodo scientifico. Nella parte conclusiva di Capitalismo e teoria sociale, Giddens passa a discutere – senza mai smarrire l'equilibrio fra rigore dell'analisi e chiarezza dell'esposizione – i principali punti di contatto e discontinuità fra Marx e gli altri due autori: la riflessione comparata sui classici della modernità resta tuttora la base di partenza per ogni tentativo di comprendere la realtà sociale.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788865764589
parte prima
Marx
1. Le opere giovanili di Marx
In un certo senso le opere di Marx coprono un periodo di tre secoli. Benché infatti egli fosse nato circa vent’anni dopo l’inizio del xix secolo e morto parecchio prima della fine di esso, i suoi scritti raggiunsero l’apice della loro influenza – sicuramente in campo politico e forse anche in quello intellettuale – nel xx secolo. Tuttavia, essi affondano le loro radici nell’ultima fase del xviii secolo, nei mutamenti sociali e politici originati dalla Rivoluzione francese del 1789. Le opere di Marx perciò prolungano nell’epoca moderna gli effetti dirompenti della Rivoluzione francese e rappresentano una linea di diretta continuità tra gli avvenimenti del 1789 e la Rivoluzione d’Ottobre scoppiata in Russia quasi centotrent’anni più tardi.
Mentre poco sappiamo della prima fanciullezza di Marx, ci restano diverse lettere e frammenti scritti durante l’adolescenza. Tra questi, i primi sono tre brevi saggi da lui scritti nel corso degli esami di licenza liceale. Com’è ovvio, essi sono pressoché privi d’interesse intrinseco e di originalità; ci danno tuttavia un’idea dell’entusiasmo e dell’ampiezza di vedute che ispirarono molte delle sue successive opere mature.1 Il più originale di essi si intitola Considerazioni di un giovane sulla scelta del proprio avvenire e tratta degli obblighi morali e della gamma di possibilità aperte a un uomo in procinto di scegliere la propria professione.

Il criterio principale – conclude Marx – che ci deve soccorrere nella scelta d’una condizione è il bene dell’umanità, la nostra propria perfezione. Non si obietti che i due interessi potrebbero contrapporsi ostilmente l’un l’altro, che l’uno dovrebbe distruggere l’altro; la natura dell’uomo è tale che egli può raggiungere la sua perfezione individuale solo agendo per il perfezionamento, per il bene dell’umanità […]. La storia chiama grandi uomini quelli che, mentre operavano per la comunità, nobilitarono se stessi.2
Tale concezione condusse infine Marx, all’epoca dei suoi studi universitari, a gettarsi nello studio attento ed entusiasta della filosofia hegeliana, nella quale trovò appunto questo: una teoria del pieno sviluppo di sé, del conseguimento della «propria perfezione». In una lettera che scrisse al padre nel 1837, Marx narra come, essendo rimasto inappagato dalla filosofia di Kant e di Fichte, e avendo infine abbandonato la sua passione giovanile per la poesia lirica, «si immerse nell’oceano» della filosofia hegeliana.3Ma neanche nel primo momento di entusiasmo per il sistema filosofico hegeliano, quando era ancora uno studente, si può dire che Marx fosse del tutto ortodosso nei suoi confronti. Le note apposte da Marx, quando era studente a Berlino, alle sue letture di filosofia e di giurisprudenza ci rivelano la genesi del fascino inizialmente esercitato su di lui dall’hegelismo.4 Il dualismo kantiano tra ciò che «è» e ciò che «dovrebbe essere», sembrava a Marx – ed egli si mantenne fedele per tutta la vita a questa concezione – del tutto incompatibile con le esigenze dell’individuo che vuole servirsi della filosofia per il raggiungimento dei suoi obbiettivi. La filosofia di Fichte è soggetta alle stesse obiezioni, in quanto essa isola la logica e la verità (per come esse funzionano nella matematica e nelle scienze empiriche) dall’intervento del soggetto umano in un mondo in continuo mutamento. Questa posizione va dunque rifiutata per una che riconosca la necessità di «studiare l’oggetto stesso nel suo sviluppo; non ci debbono essere divisioni arbitrarie; la ragione (Vernunft) della cosa stessa deve essere resa manifesta nella sua contraddittorietà e trovare la propria unità in se stessa».5
Marx scoprì di non poter risolvere da solo questi problemi, e fu quindi condotto inevitabilmente a ripercorrere nel suo pensiero il processo di sviluppo seguito dalla filosofia idealistica tedesca, a partire da Kant fino a Fichte e quindi a Hegel.6 Comunque, né la grandiosa organicità della filosofia di Hegel né il contenuto specifico delle sue premesse filosofiche in quanto tali furono i fattori che spinsero Marx verso la filosofia hegeliana, ma piuttosto il fatto che il sistema di Hegel costituiva una saldatura tra le due correnti contrapposte della filosofia classica tedesca che si erano sviluppate dalla filosofia kantiana. L’incontro con Hegel fu mediato dall’influenza di due fonti parzialmente indipendenti, che portarono Marx a combinare l’hegelismo con posizioni politiche incompatibili con il conservatorismo di Hegel.7 Una di esse è da vedersi nell’insegnamento di Eduard Gans, i cui corsi a Berlino ebbero un certo effetto su Marx. Gans aveva dato un’interpretazione di Hegel fortemente saint-simonistica.8 Marx tuttavia era già venuto quasi certamente a contatto con le idee di Saint-Simon; è anzi plausibile la tesi che l’influenza esercitata su Marx dagli scritti di Saint-Simon nei suoi anni di formazione intellettuale è, sotto certi punti di vista, quasi altrettanto forte di quella esercitata da Hegel.9
L’appartenenza al Doktor-Club dell’Università di Berlino fu il secondo elemento che mediò l’adesione di Marx alla filosofia hegeliana. In questo circolo Marx entrò infatti in contatto con un gruppo eterogeneo composto di giovani seguaci di Hegel, tra i quali Bruno Bauer era il personaggio di maggior rilievo.10 I principali problemi dibattuti da Bauer e dal gruppo di «Giovani Hegeliani» che si era formato intorno a lui conservavano quell’interesse per la teologia cristiana che era di centrale importanza nelle opere di Hegel. La tesi di laurea di Marx, fondata su una discussione comparativa della filosofia di Democrito e di Epicuro, risente fortemente delle idee baueriane. Circa nello stesso periodo in cui Marx presentava la sua tesi, veniva pubblicata L’Essenza del Cristianesimo di Feuerbach (1841).11 Engels più tardi scrisse in questi termini dell’influenza esercitata dal libro sul gruppo dei Giovani Hegeliani: «L’incanto era rotto; il “sistema” spezzato e gettato in un canto […]. L’entusiasmo fu generale: in un momento diventammo tutti feuerbachiani».12
L’effetto immediato esercitato dall’opera di Feuerbach sullo sviluppo intellettuale di Marx fu quasi certamente meno dirompente di quanto pretendesse Engels più di quarant’anni dopo in questo passo.13 Marx non accettò in blocco la posizione di Feuerbach più di quanto non avesse fatto con quella di Hegel.14 Ciò non toglie tuttavia che intorno al 1842 l’influenza di Feuerbach fosse preminente tra i Giovani Hegeliani. La discussione critica della filosofia del diritto di Hegel, scritta da Marx nel 1843, è fortemente influenzata da Feuerbach, e la posizione di quest’ultimo è di fondamentale importanza per i Manoscritti economico-filosofici del 1844.
Nell’Essenza del Cristianesimo e in altre opere successive, Feuerbach cerca di capovolgere le premesse idealistiche del sistema hegeliano, affermando che il punto di partenza per lo studio dell’umanità deve essere «l’uomo reale» che vive «nel modo reale, materiale». Mentre Hegel vede il «reale» come un’emanazione del «divino», Feuerbach sostiene che il divino è solo un prodotto illusorio del reale; l’essere, l’esistenza precedono il pensiero, nel senso che gli uomini non compiono riflessioni sul mondo prima di agire in esso: «Il pensiero deriva dall’essere, e non viceversa».15 Hegel concepiva lo sviluppo dell’umanità come risultato dell’alienazione di Dio da se stesso. Nella concezione filosofica di Feuerbach, invece, Dio esiste solo nella misura in cui l’uomo è diviso, alienato da se stesso. Dio è infatti un essere immaginario nel quale l’uomo ha proiettato le sue facoltà più elevate e che pertanto viene considerato perfetto e onnipotente mentre l’uomo stesso appare di fronte a lui come una creatura limitata e imperfetta.
Al tempo stesso però, secondo Feuerbach, questo profondo divario tra Dio e l’uomo può servire positivamente come stimolo alla realizzazione delle capacità umane. Il compito della filosofia è di aiutare l’uomo a recuperare il suo io alienato mediante una critica radicale, capovolgendo la prospettiva hegeliana e affermando la supremazia del mondo materiale. La religione sarà soppiantata dall’umanismo, e l’amore prima rivolto esclusivamente verso Dio sarà ora rivolto verso l’uomo, portando alla riconquista di un vincolo di solidarietà tra gli esseri umani. «Laddove la vecchia filosofia affermava: ciò che non è pensato non ha esistenza, la nuova filosofia afferma invece: ciò che non è amato, ciò che non può essere amato non ha esistenza».16 Lo studio di Feuerbach spinse Marx a volgersi di nuovo a Hegel, nel tentativo di portare alla luce le implicazioni della nuova prospettiva indicata da Feuerbach, e soprattutto di applicarla al campo della politica. L’interesse di Marx nei confronti della filosofia di Feuerbach era dettato essenzialmente dalle stesse ragioni che in un primo tempo lo avevano portato allo studio del sistema hegeliano, e cioè dalle possibilità che essa sembrava offrire di fondere in uno solo il metodo analitico e il metodo critico, e di «realizzare» in tal modo la filosofia. Spesso si crede che gli scritti giovanili di Marx sull’alienazione nella politica e nell’industria siano poco più che un’estensione del «materialismo» di Feuerbach al campo sociale trascurato da quest’ultimo. Questa è tuttavia un’interpretazione fuorviante, in quanto Marx non accettò mai la pretesa di Feuerbach che la sua filosofia costituisse un’«alternativa» al sistema hegeliano, che fosse cioè in grado di rimpiazzarlo completamente. Anche nei momenti di maggior entusiasmo per Feuerbach, Marx cercò sempre di combinarlo con Hegel. Marx riuscì così a conservare la prospettiva storica che era di centrale importanza nella filosofia hegeliana, ma che era stata, di fatto, seppure involontariamente, in gran parte abbandonata da Feuerbach.17


Lo stato e la «vera democrazia»
La critica alla filosofia del diritto di Hegel, scritta nel 1843, è la prima opera di Marx in cui si può intravedere sul nascere la concezione materialistica della storia,18 e costituisce il punto di partenza per lo studio dell’alienazione affrontato più in dettaglio da Marx nei Manoscritti economico-filosofici un anno più tardi. Il metodo seguito da Marx nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico è l’attenta analisi testuale dell’opera di Hegel, «capovolgendo» le sue affermazionl nel modo indicato da Feuerbach. «Hegel» afferma Marx «dà un’esistenza indipendente ai predicati, agli obbietti, ma astraendoli dal loro soggetto, che è realmente indipendente».19 Lo scopo dell’analisi compiuta da Marx è pertanto di riscoprire il vero soggetto della storia (cioè l’individuo che agisce, che vive nel mondo «reale», «materiale»), e di delineare il processo della sua «oggettivazione» nelle istituzioni politiche dello stato.20 Non è il mondo reale che deve essere dedotto dallo studio dell’ideale, ma è al contrario l’ideale che va considerato come un risultato storicamente determinato del reale. Secondo Hegel, la società civile (bürgerliche Gesellschaft), che per lui comprende tutto quel complesso di relazioni economiche e personali che si trovano al di fuori delle strutture politiche e giuridiche dello stato, è una sfera dominata (per sua natura) dal più sfrenato egoismo, in cui ciascun uomo è in lotta contro ogni altro. Gli uomini sono degli esseri razionali e disciplinati nella misura in cui accettano l’ordine inerente allo stato, che Hegel considera una sfera universale trascendente gli interessi egoistici delle azioni umane nella società civile. Nel sistema hegeliano, pertanto, lo stato è concepito non solo come un’entità del tutto separata dalla vita degli individui nella società civile, ma come logicamente preesistente all’individuo stesso. L’individuo che agisce, il vero creatore e protagonista della storia, viene così subordinato agli ideali della partecipazione politica in qua...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Prefazione
  3. Introduzione
  4. Parte 1
  5. Parte 2
  6. Parte 3
  7. Parte 4
  8. Appendice
  9. Sommario
  10. Ringraziamenti
  11. Bibliografia