Sergio Zoppi
La Cassa per il Mezzogiorno nel processo
di costruzione della democrazia italiana
A lungo, e con ricchezza di dottrina, è stata studiata la natura della Cassa per il Mezzogiorno. Una Cassa, com’è stato ricordato, creata nel 1950 in funzione strumentale per realizzare nel Sud complessi organici di opere, comprese nel piano voluto dal governo, in base a una legge approvata dal Parlamento (10 agosto 1950, n. 646). Tre i settori d’intervento che caratterizzarono la prima Cassa: la captazione, la raccolta, la distribuzione dell’acqua e le fognature; la bonifica dei territori; la viabilità. Il tutto all’interno di un unico comprensorio, il Mezzogiorno. Gli interventi nei tre settori, per quanto possibile, venivano concepiti in una visione intersettoriale, di stretto collegamento. Le nuove risorse idriche erano messe a disposizione di città e di paesi sitibondi, delle imprese e di un’agricoltura asciutta a basso reddito; la bonifica allargava i terreni disponibili per un settore primario che poteva diventare un vero punto di forza; la viabilità, per la prima volta nella storia, riusciva a mettere in contatto vallate vicine – i cui abitanti mai erano riusciti a porsi tra loro in rapporto – dando una spinta al turismo, al commercio, all’industria.
La strumentalità della Cassa si era subito rivelata. Una Cassa esclusiva, speciale, straordinaria, aggiuntiva, temporanea, persona giuridica pubblica dotata di autonomia finanziaria, chiamata a eseguire, utilizzando lo strumento della concessione.
In ombra è rimasta la ricostruzione di come la Cassa funzionasse, come sia riuscita a raggiungere le mete stabilite. Del primo dodicennio (1950-1962) danno limpida, analitica e motivata testimonianza gli otto ampi volumi (ai quali si aggiunge un atlante) sull’attività realizzata, in corso e programmata, usciti dalla stessa Cassa per il Mezzogiorno e stampati dall’editore Laterza di Bari. Un rendiconto onesto e severo ma anche un inno al nuovo Mezzogiorno. Una rarità nel panorama e nella cronaca delle pubbliche amministrazioni italiane, dal 1861 agli anni appena ricordati. Si può affermare che la Cassa, già nei suoi primi 5-6 anni di vita, realizzò interventi che cambiarono il volto del Mezzogiorno, sottraendolo alla marginalità e inserendolo, seppure tra la permanenza di squilibri, nella contemporaneità.
I risultati, perfino inattesi nei primi 12 anni ed eccellenti per i primi 25, furono dovuti a una serie di fattori che cerco di enumerare, tenendo conto dei tempi ristretti.
De Gasperi, l’artefice della Cassa, definì gli obiettivi politici, sociali e culturali che dovevano essere perseguiti: ancorare il Mezzogiorno alla democrazia repubblicana liberandolo dalla miseria, dal ribellismo, dalle nostalgie monarchiche, portando in quelle terre lavoro, dignità, istruzione, salute, in breve dando un futuro civile. Costruire intorno a questi obiettivi generali gli strumenti per realizzarli: tra questi, in prima fila, l’intervento pubblico straordinario e la riforma agraria. Trovare poi il consenso in Parlamento, composto in prevalenza da deputati e senatori centrosettentrionali, per destinarne 100 miliardi di lire l’anno in un decennio all’ente che ebbe nome Cassa per il Mezzogiorno. Si riuscì a trattare rapidamente e senza rilevanti contrasti, agendo con intelligenza, sapienza e astuzia e il Centro-Nord fu ripagato dei sacrifici che era chiamato ad affrontare con la legge per le aree depresse di quei territori, uno strumento legislativo che concorse potentemente a determinare il cosiddetto miracolo economico. Per il Sud si erano così create le condizioni per una svolta dopo decenni di leggi speciali, circoscritte e dai risultati modesti.
Fu predisposta un’ottima proposta di legge, che permetteva di convivere tra le amministrazioni pubbliche ordinarie e straordinarie, con la distinzione dei compiti tra politica e amministrazione, quest’ultima tutelata e forte. Vanno evidenziati anche i tempi: fissati inizialmente in un decennio, un tempo ragionevole per progettare, eseguire, cambiare, furono elevati presto a 12 e poi a 15 adeguando le dotazioni finanziarie, che dovevano essere aggiuntive, a quelle che obbligatoriamente erano tenute a impiegare nei territori meridionali le amministrazioni ordinarie, a partire dai ministeri. Merito della Cassa fu quello di ottenere prestiti esteri, che si rivelarono significativi in campo industriale. Il nuovo ente poteva pure contare su procedure snelle, anche per i ridotti controlli, e su un’organizzazione di stampo privatistico per il personale, ben selezionato, che non ebbe mai un proprio regolamento.
Felice si rivelò la scelta dei due presidenti chiamati a guidare la Cassa nel suo periodo migliore. Ferdinando Rocco, presidente del Consiglio di Stato ed esperto di agricoltura e di lavori pubblici, fu il fondatore. Dopo un quadriennio subentrò il giovane consigliere di Stato, raffinato giurista e già grande conoscitore della macchina statale, Gabriele Pescatore che rimase al vertice sino al 1976, per 22 anni. Quale direttore generale fu scelto il milanese Alfredo Scaglioni, giovane giurista con alle spalle significative esperienze manageriali, un leader che in soli 18 mesi, fu stroncato da un male incurabile, dette alla Cassa un’impronta incancellata malgrado il logorio degli anni, affiancato nel suo agire da 4-5 capi servizio di eccezionale qualità, che nei primi anni agirono quasi da amministratori delegati di un’impresa. A Scaglioni subentrò un ottimo tecnico, Giuseppe Orcel, anche se solo per pochi anni. Tutti di rara competenza giuridica, amministrativa e tecnica, laboriosi, incorruttibili.
Nel primo decennio di vita, la Cassa poté sempre raggiungere (a volte superare) gli obiettivi assegnatile grazie al nucleo iniziale del suo personale: alcune centinaia di addetti tra i quali si distinguevano circa 200 tra ingegneri (idraulici e della viabilità) e agronomi: un personale competente, selezionato con accortezza, motivato, orgoglioso, decorosamente remunerato, che affiancava i dirigenti nel mantenere e sviluppare proficui rapporti sia con le amministrazioni centrali (a partire dai ministeri, con un privilegiato rapporto con i Consigli superiori dei Lavori pubblici e dell’Agricoltura) che con quelle locali (dai comuni ai consorzi di bonifica, ai consorzi industriali, ai centri professionali).
Si mantenne sempre proficuo, anche se non mancarono le iniziali divergenze, il dialogo e il comune lavoro, nella reciproca distinzione dei ruoli, tra il presidente del Comitato dei ministri, Campilli e poi Pastore, e il presidente della Cassa. La cordialità e la stima reciproca andavano di pari passo con i rendiconti, i controlli, la programmazione.
Pastore e Pescatore avevano un’idea comune, che il primo ribadiva in ogni luogo e in ogni occasione, a partire dal Parlamento. Occorreva far leva sul Mezzogiorno e quindi sui suoi abitanti, approfondendo la conoscenza dei territori in tutti i loro aspetti. Nei primi 20 anni ebbe un ruolo di primo piano il Centro studi della Cassa, affidato a un economista del calibro di Giuseppe Di Nardi. Da quelle stanze videro la luce centinaia di pubblicazioni, soprattutto ricerche di prima mano, nella volontà che le attività che si andavano realizzando, sono parole dello stesso Di Nardi del 1962, non potessero «non essere competitive, per sussistere e per svilupparsi».
Per impulso di Campilli la Cassa inizialmente bandì un pubblico concorso per selezionare 100 ingegneri; successivamente Pastore individuò nel “fattore umano” la leva dello sviluppo e impose la creazione del Formez affidandone la presidenza a una personalità indipendente, assai apprezzata nel mondo delle imprese industriali, l’ingegnere Gino Martinoli.
Alcuni dati danno conto dell’agire della Cassa. Nei settori d’intervento diretto, al 31 dicembre 1961, i progetti esecutivi pervenuti alla Cassa o dalla stessa redatti, erano 14.144 per un importo superiore ai 1.424 miliardi di lire. La prima dotazione dell’istituto fu di 1.000 miliardi al fianco dei quali andranno conteggiati i significativi prestiti esteri. Naturalmente la dotazione statale crescerà con le proroghe della Cassa, prima di due anni, poi di altri tre. Gli investimenti realizzati o provocati dalla Cassa, in grado di adeguare il piano generale degli interventi alle esigenze particolari della realtà contingente con un carattere di elasticità sconosciuta alla programmazione dell’intervento ordinario, furono così ripartiti, rispetto all’importo, tra i vari settori d’intervento: bonifiche e sistemazioni montane, 54,1 per cento; acquedotti e fognature, 21,3 per cento; viabilità ordinaria, 12,9 per cento; opere d’interesse turistico, 3,5 per cento; opere ferroviarie e marittime, 8,2 per cento. I 1.424 miliardi poi subiranno sensibili riduzioni in sede di istruttoria, di approvazione e d’appalto. Nel corso dell’istruttoria, che segue la fase della progettazione, la Cassa esaminava i progetti esecutivi, approvandoli o richiedendo la rielaborazione. Sempre al 31 dicembre 1961, i progetti per i quali risultava esaurita l’istruttoria avevano raggiunto i 1.356 miliardi di lire, pari al 95,2 per cento dell’importo dei progetti pervenuti. Rapidità, operatività e rigore marciavano di pari passo. I progetti di opere pubbliche, esclusa la riforma fondiaria, approvati fino a tutto il 1961, ammontavano a 12.996, per un importo di 1.150 miliardi, comprese le quote a carico dei terzi. Se si escludono quest’ultime, l’importo si riduce a 1.118 miliardi, così ripartiti: 567 per la bonifica e le sistemazioni montane, 226 per gli acquedotti e le fognature, 176 per la viabilità, 41 per le opere di interesse turistico e 108 per quelle ferroviarie e marittime. Infine, l’ammontare dei progetti approvati rappresentava il 78,5 per cento di quelli pervenuti e il 90,5 per cento delle opere programmate. Al 31 dicembre 1961 (la fonte è la relazione sull’esecuzione degli interventi predisposta dal Centro studi della Cassa, contenuta nel volume I dell’opera ricordata Cassa per il Mezzogiorno – Dodici anni 1950-1962) gli investimenti realizzati o provocati dalla Cassa ammontavano complessivamente a 2.026,4 miliardi di lire, di cui 1.239,8 (61,2 per cento) a carico della Cassa e la restante quota di 786,6 miliardi (38,8 per cento) a carico dei consorzi di bonifica, enti locali e privati investitori. Mentre, mediamente, le fatture venivano saldate entro due settimane dal collaudo dei lavori.
Questo monotono elenco permette di poter affermare che per la prima volta l’Italia, dopo le leggi di unificazione amministrativa del 1865, si dotava di un nerbo di amministrazione pubblica tecnica di qualità, composto soprattutto da ingegneri e da agronomi, estratti prevalentemente dalle università degli studi meridionali, con in evidenza la facoltà di Ingegneria di Napoli e il Centro di specializzazione e ricerche della facoltà di Agraria di Portici, diretto da Manlio Rossi-Doria.
Resta da sottolineare che, per i primi 18 anni, la Cassa poté contare su due ministri di qua...