1. La mimosa è un fiore rosso
(1945-1950)
Non c’è tempo da perdere
«I bollettini di guerra ci recano quotidianamente notizie che ci riempiono di entusiasmo e di speranza. L’esercito sovietico, con uno slancio irresistibile, scaccia al di là della frontiera ed insegue l’invasore tedesco. Le truppe americane ed inglesi sono sbarcate in Francia ed avanzano vittoriose. Le armate alleate, liberata Roma, proseguono rapidamente verso il nord. I partigiani italiani, nei territori ancora occupati dai tedeschi, intensificano la lotta. L’ora della definitiva vittoria sul fascismo si avvicina [...] Non vi è dubbio che a guerra finita verrà dato alle donne italiane il diritto di votare ed essere elette alle cariche di direzione del paese[...] Noi donne ci occuperemo d’ora in poi di politica [...] Vogliamo collaborare alla ricostruzione dell’Italia, e lo dobbiamo per noi e per i nostri figli che vogliamo vedere crescere liberi, onesti e felici».
Questo articolo, intitolato “Non c’è tempo da perdere”, apparso su Noi donne del luglio 1944, suona al tempo stesso come un bollettino di guerra che dà conto della situazione bellica fronte per fronte e come una dichiarazione di guerra delle donne, intenzionate d’ora in avanti a combattere per ricostruire su nuove basi l’Italia che esce distrutta dal secondo conflitto mondiale1.
Ma chi sono queste donne? Sono un gruppo di antifasciste – in prevalenza militanti del Pci – che agiscono nell’Italia centro meridionale e che fanno rivivere una vecchia testata fondata anni prima a Parigi dalle antifasciste in esilio. Questa testata, Noi donne, circola clandestinamente in forma di fogli ciclostilati e in edizioni diverse, anche al nord, come strumento di collegamento dei “Gruppi di difesa della donna” che operano nella Resistenza.
Nel settembre del ’44 a Roma, già liberata, il gruppo del Centro sud, ed altre donne del Partito comunista italiano, del Partito d’Azione, del Partito socialista italiano, della Sinistra cristiana, della Democrazia del lavoro, costituiscono un Comitato d’iniziativa che mette a punto un progetto di associazione: l’Unione Donne Italiane, Udi.
I principali obiettivi dell’associazione sono: voto amministrativo e politico alle donne, partecipazione alle cariche pubbliche; problemi dell’infanzia, del rifornimento e razionamento di viveri e vestiario; problema dei prigionieri di guerra e assistenza alle loro famiglie; problema del baraccamento, dell’alloggio, del rimpatrio degli sfollati2.
È il 1944. Gli obiettivi che l’associazione si dà esprimono con evidenza lampante lo stato di necessità. Sono obiettivi che hanno a che fare con la ricostruzione fìsica e morale degli uomini che tornano dalla guerra, delle famiglie disastrate, dell’infanzia in pericolo. Solo all’ultimo punto del documento programmatico si parla di una “serie di rivendicazioni sindacali delle masse femminili”. Altre sono le priorità.
8 marzo tra guerra e pace
Sono proprio i Gruppi di difesa della donna e l’Udi a celebrare nel 1945, sia nell’Italia liberata che nelle zone ancora in guerra, la Giornata internazionale della donna. Per l’Italia del nord è Noi donne che ne dà notizia e (in una edizione chiaramente compilata con mezzi di fortuna, in parte prima della data e in parte a celebrazione avvenuta) dà conto insieme delle speranze che si associano a questa Giornata e delle iniziative che si sono svolte per celebrarla3.
Titolo a piena pagina: “8 marzo, giornata internazionale della donna”. Apertura:
[...] quest’anno le donne di tutte le nazioni celebrano la giornata dell’8 marzo in un’atmosfera di giubilo per la sicura ed imminente vittoria degli alleati [...] Le donne delle nazioni oppresse dai bruti nazifascisti: le donne russe, jugoslave, francesi, italiane [...] che in questi lunghi anni di guerra hanno provato il terribile dolore della casa rapinata e distrutta, dei figli e dei mariti deportati e uccisi e tutto l’orrore di infami e orribili violenze, in questi giorni di grande speranza penseranno che il giusto castigo colpirà [...] chi ha portato miseria, distruzione, morte.
Poi, dopo aver affermato che le donne dei “Gruppi di difesa” saranno pronte a lottare per la ricostruzione, conclude:
L’8 marzo sarà per noi giorno di lotta per salvarci dalla fame, per difendere il pane ai nostri figli, alle nostre famiglie, per difenderci dal freddo e dalla miseria, di lotta per la cacciata dei tedeschi [...] e impegno per un domani di libertà e di progresso.
Sul retro del giornale – un sol foglio a due facciate – i resoconti delle iniziative per l’8 marzo in alcune regioni del nord.
Nella giornata dell’8 marzo, le donne di Reggio Emilia e provincia si sono recate numerose a protestare davanti ai vari Municipi per ottenere la distribuzione del sale [...] e altri generi di prima necessità [...] di cui la popolazione è da tanto tempo privata [...] in altri paesi dove le donne sono state più energiche [...] le autorità fasciste sono state costrette a dare l’immediata distribuzione del lardo, uova, latte ed altri generi [...] Ciò dimostra in modo esplicito che è soltanto con la lotta energica di tutte che si ottiene quello di cui abbiamo bisogno. [...] I nazifascisti conducono una politica di affamamento, essi continuamente gozzovigliano e si ubriacano e mangiano, mentre noi e i nostri bimbi si muore di fame.
Un 8 marzo di guerra, di violenza, di freddo e di fame. Quali altri obiettivi di lotta possono darsi le donne se non quelli che garantiscano prima di tutto la sopravvivenza?
A Roma già liberata, l’8 marzo viene celebrato pubblicamente e con grande solennità al Liceo Visconti. Nella sala grande del liceo e nel cortile gremiti di donne, parlano comuniste e socialiste dell’Udi, rappresentanti del Cif (Centro italiano femminile, che aggrega le donne cattoliche), sindacaliste della Cgil, partigiane, vedove di caduti. «Tutte le donne – dice Elena Caporaso, socialista dell’Udi – hanno interessi comuni, la fine della guerra, un nuovo ordine sociale».
E tutte insieme votano un ordine del giorno che sarà inviato a Londra ...