Sorrisi e lacrime
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Sorrisi e lacrime

La guerra di Riccardo

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La guerra di Riccardo

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Riccardo dopo anni di guerra ritorna in Abruzzo a Carsoli, il suo paese natale, ma non lo riconosce più. Un bombardamento, nel giugno del 1944, lo ha quasi completamente raso al suolo.Comincia così, dallo sguardo sgomento di Riccardo sul paese che aveva tanto desiderato ritrovare, il viaggio di Roberta Rubini nei ricordi del nonno. Il paese è rivisitato per tappe, e ad ogni tappa c'è una piccola storia di vita che viene fuori: salvifica o disperata; sentimentale o comica. Riccardo ha un carattere ardito e compassionevole, ama vivere e mangiare, farsi compagnia con gli altri, non cede agli orrori della guerra neanche una particella della sua dignità personale.Così il racconto di Roberta Rubini diventa un pacato ma fermo "no", mai ideologico, alle energie disperse da tutte le guerre; un racconto che nega, attraverso episodi e piccolissime riflessioni, il fatto che i nostri nemici siano proprio così differenti da noi, specie se giovani mandati a morire in terre lontane. Riccardo, quando da vecchio racconta la sua storia, è vitale come un giovinetto e alla vita dedica anche i suoi ricordi di morte.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788862525961
Premio speciale 2017
del “Premio HOMBRES itinerante”
© 2020 iacobellieditore
Prima edizione elettronica giugno 2020
Prima edizione stampa ottobre 2016
Tutti i diritti riservati
www.iacobellieditore.it
isbn elettronico 978-88-6252-596-1
isbn stampa 978-88-6252-332-5
Roberta Rubini
Sorrisi
e lacrime
La guerra di Riccardo
iacobellieditore
I. Carsoli
«Tra le armi tacciono le leggi»
Marco Tullio Cicerone, 106-46 a.C.
Arrivai a Carsoli su un carro bestiame. Mi feci lasciare all’altezza della stazione; mi guardai attorno e provai una stretta al cuore: il mio paese era stato raso al suolo.
La guerra non lo aveva risparmiato.
Non sembrava il posto che avevo lasciato anni prima, guardavo la gente ma non riconoscevo nessuno, mi sentivo un estraneo, ebbi il terrore di aver perso tutto e tutti... quando riconobbi nel volto di un passante quello di un amico.
Il suo sguardo, come il passero che fa brevi pause saltellando da un ramo all’altro, si posò distrattamente su di me ma volò poi dritto per la sua strada, mi spinsi verso di lui e lo afferrai per un braccio, con scatto impetuoso si voltò; e prima che potesse pronunciare una sola sillaba mormorai: «Pacchiotto, non mi riconosci?». Al suono della mia voce sgranò gli occhi e gridò abbracciandomi: «Riccardooo, sì tu?».
Il suo abbraccio fu la porta che si spalancò sul mio paese distrutto.
Pacchiotto era più grande di me di una decina di anni, o almeno così mi sembrava di ricordare. Aveva due occhi grandi e scuri e un’espressione spaurita, i capelli bruni arruffati, la barba di qualche giorno nascondeva i lineamenti decisi; l’andatura incerta lo rendeva impacciato. Forse a causa della guerra o forse a causa degli anni trascorsi lontano, lo trovavo avvizzito rispetto a quella che doveva essere la sua vera età. Lui, dal canto suo, doveva aver pensato la stessa cosa di me, infatti continuava a fissarmi con incredulità e stupore. Per rompere il silenzio sceso tra noi, dissi: «È passato qualche annetto dall’ultima volta che ci siamo visti!»; «Giusto il tempo di invecchiare giovani!», rispose. Ridemmo di gusto, superando quell’iniziale sbigottimento che aveva assalito entrambi.
Uscendo dalla stazione incontrammo Ernesta, la moglie di Pacchiotto, mia cugina di primo grado; anche lei si emozionò quando mi riconobbe e mi disse: «Riccà tu comenza a camminà pianu pianu co maritimu, che io comenzo a preparà zia...»1, così dicendo si avviò verso il centro del paese; noi, lentamente, la seguimmo.
Se fossi sceso dal carro di notte, non avrei mai riconosciuto il luogo nel quale ero venuto al mondo.
Mentre camminavamo chiesi a Pacchiotto cosa fosse successo.
Carsoli aveva subito diversi bombardamenti, tutti successivi all’armistizio.
I primi due, nel gennaio del 1944, avevano avuto come obiettivo la stazione e vari punti della linea ferroviaria, fu quello il momento in cui tante famiglie si erano allontanate dal paese e dalla statale Tiburtina che lo attraversava, per rifugiarsi presso amici e parenti vicini o per confinarsi in zone montane isolate.
Altre famiglie, invece, si erano trasferite nella zona ingenuamente ritenuta franca, quella che dal castello medievale si estendeva in modo concentrico, scendendo fino a piazza Corradino, il cuore pulsante del paese.
Pacchiotto mi spiegò che effettivamente i bombardamenti del 3 e del 20 gennaio 1944 sembravano rientrare nella logica bellica; gli Alleati colpendo Carsoli intendevano interrompere le vie di comunicazione attraverso le quali i tedeschi facevano affluire truppe e mezzi sia verso Cassino sia verso le teste di ponte a sud di Roma.
La strada più breve che, come una cintola stretta alla vita, collegava i due mari che lambivano i sinuosi fianchi della penisola, passava proprio per Carsoli.
Quella cintura si sarebbe stretta intorno al paese come un cappio.
II. Il rimpatrio
«In guerra, la verità è la prima vittima»
Eschilo, 525-456 a.C.
Due lettere avevano segnato per me l’inizio e la fine della seconda guerra mondiale, la prima mi aveva chiamato «alle armi», la seconda, a distanza di sei anni, arrivò ad informarmi della prematura morte di mio padre e mi fu recapitata durante uno degli ultimi giorni di prigionia.
Con il foglio stretto in una mano e il cuore compunto, mi recai al comando inglese per sollecitare il rimpatrio.
Così il 22 ottobre 1946 fui imbarcato sul primo convoglio in partenza per l’Italia. Il 30 ottobre del 1946 arrivai al porto di Suez, dove rimasi fino al 2 novembre, la mattina seguente partii per Napoli dove sbarcai due giorni dopo.
Al porto, la musica di una banda che ci accolse soffocò il pianto di liberazione di quanti avevano riabbracciato i propri cari e quello di sconforto di coloro che invano avevano atteso il ritorno di qualcuno che non sarebbe mai sceso né da quella nave né da altre ancora.
Appena sbarcati fummo condotti in un campo di smistamento, dove correva voce che ci avrebbero trattenuto in quarantena prima di rispedirci a casa.
Davanti ad una simile r...

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  1. I. Carsoli