La mente nel pozzo
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La mente nel pozzo

Storia di una depressione

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La mente nel pozzo

Storia di una depressione

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Informazioni sul libro

Un racconto in cui il lettore viene preso per mano e condotto in un viaggio all'interno della malattia psichica, in cui la protagonista si racconta senza reticenze. Leggendo La mente nel pozzo ci immergiamo in una confessione che emoziona e che spazzando via la retorica dietro la quale si nasconde il mondo psichiatrico, ce ne dona una prospettiva nuova e affascinante.Filo conduttore del testo è l'amore da cui non si può prescindere per rimanere in contatto con la vita nei momenti in cui la morte appare come unica via di salvezza. L'autrice ha scritto questo libro fortemente motivata a fornire la sua esperienza a chi dovesse trovarsi nella stessa situazione.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788862525527
© 2020 iacobellieditore
Prima edizione elettronica: gennaio 2020
Prima edizione stampa: settembre 2018
Tutti i diritti riservati
www.iacobellieditore.it
isbn 978-88-6252-552-7 (elettronico)
isbn 978-88-6252-430-8 (stampa)
Roberta Rubini
la mente
nel pozzo
Storia di una depressione
iacobellieditore
Prefazione di Nadia Tarantini
La depressione arriva nella vita di Roberta Rubini come un fulmine. Come un temporale improvviso, come un terremoto. Ha 24 anni e fino a quel momento niente le faceva presagire di poter avere dei disturbi psicologici o mentali. È stata una bambina buona, allegra, è felice quando deve lasciare la famiglia per andare all’asilo: “Finalmente non dovevo arrampicarmi sul water per fare la pipì e non dovevo stirare le braccia sopra la mia testa per lavarmi le mani o per tirare la catenella dello sciacquone; anche l’asciugamano era appeso ad un’altezza tale da non richiedere un energico slancio in punta di piedi.” Andrà d’accordo con le maestre, allora e dopo. Renderà orgogliosi i genitori per i suoi comportamenti a scuola e fuori. Troverà un compagno che l’adora e che non l’abbandonerà nel momento del bisogno. Perciò, all’inizio e per parecchio tempo, lei lo rifiuta, lo nega e lo rimuove, quel velo nero che scende a coprire ogni gesto della sua vita precedente – all’università, a casa, nelle gite con il fidanzato, in vacanza, quando parla con le amiche. Lo vive come una forza estranea da combattere con un’uguale forza di volontà. Incontra terapeuti distratti, quando non incompetenti, come lei increduli che una ragazza così dotata possa star male, possa davvero soffrire come dice. La prima spinta a scrivere il suo mémoir, una volta curata e guarita, Roberta la riceve proprio dal ricordo di quelle incredulità, la sua dei terapeuti delle più intime amiche. Vuole lasciare testimonianza di come ha preso consapevolezza del suo male. E di come, solo da quel momento, ha potuto affrontarlo, accudirsi e superarlo. Di come ha trovato, aldilà delle cure finalmente conquistate, la guarigione nell’amore da cui è circondata, amore terreno e concreto, amore divino cercato quando prega Dio di lasciarla morire ‒ per liberare, prima ancora che se stessa, le persone che la amano e che lei non riesce a non far soffrire. Lo scopo è dunque di evocare l’amore che ci vuole per curare la malattia mentale, il disagio dell’anima: lo scivolamento verso un buio in cui ti sembra che non ci potrà essere mai più una salvezza, una luce.
Ciò che forse non sapeva, quando ha cominciato a scrivere per un’esigenza tutta interiore, è che il racconto della malattia avrebbe fatto sbocciare la sua scrittura limpida e profonda, il suo modo gentile netto e forte di narrarci terribili verità e di coinvolgerci nelle altrettante terribili esperienze che ha vissuto, dai mesi chiusa in casa senza comunicare e neppure lavarsi, al soggiorno in ospedale psichiatrico, dove si apre al mondo delle altre, che le rivelano una gamma molto vasta di situazioni e di vissuti. Una scrittura evocativa, forte di metafore e allitterazioni, a tratti lirica. E poi anche uno stile secco, spezzato, simile ad un pensiero ansioso che si interroga ma preferisce alle espressioni astratte scampoli di vita vissuta, in rilievo come fotogrammi di un film in 3D. Flash back dell’infanzia e dell’adolescenza che hanno preceduto il trauma, concreti e visibili nella loro immediatezza. Scrittura che poi ha messo felicemente alla prova nel suo secondo romanzo, anch’esso una sorta di mémoir, con una voce narrante differente, quella del nonno. Dove la distanza da vicende non sue le ha permesso di essere ancora più nitida nel giro delle frasi e nella parola. Sicché il ritorno al suo esordio, in codesta nuova edizione, non può essere visto come un semplice remake. Roberta Rubini ha lavorato delicatamente al suo testo, non ci troverete cambiamenti eclatanti. Lo ha curato però con la competenza acquisita, con la consapevolezza di una scrittrice ora avviata a maturità, dopo che era partita quasi ignara delle sue potenzialità, per una spinta morale innanzitutto. Il valore che dava alla sua testimonianza era la possibilità di incidere positivamente nella vita degli altri, di fare della sua esperienza dolorosa un mezzo per aiutare altre persone a vivere in modo diverso esperienze analoghe. La scrittura può funzionare anche come una terapia e sicuramente questo ha funzionato anche per Roberta Rubini; ma in codesta “Mente in eclissi” c’è anche il segno di una mano che può usare la scrittura per sé, come un qualsiasi scrittore o una qualsiasi scrittrice. Ora lo sa anche lei, e possiamo aspettarci altre e numerose belle sorprese.
Carsoli, gennaio 2018
Prefazione di Claudio Mencacci *
“Guardo la tela bianca dei miei ricordi, macchie di colori vivaci la tingono di vita vissuta; goccia a goccia scendono veloci e mischiandosi danno espressione ad un quadro che trasmette forti emozioni. Poi una lacrima di inchiostro nero cade al centro e si spande in un secondo, coprendone luci, ombre, armonie... (R.Rubini)
Con queste parole si apre il libro di Roberta Rubini...
Sono passati molti secoli prima che una condizione umana variamente denominata da accidia a pigrizia venisse riconosciuta anche come espressione di una malattia e non come una valutazione morale ed etica prevalentemente negativa e stigmatizzante (peccato capitale, debolezza, amoralità, inettitudine, incapacità di competere, privazione di volontà, ecc.).
L’accidia di San Tommaso è una specie di tristezza che ha una connotazione corporale... deprime in tal modo l’animo che al depresso niente richiama l’attenzione e così si aggrava la sua tristezza. Sulla stessa scia San Gregorio e le sei figlie dell’accidia (malizia, rancore, pusillanimità, disperazione, torpore sui precetti, divagazione della mente su ciò che è illecito) o San Isidoro come inclinazione al riposo indebito e da essa origina ozio, sonnolenza, instabilità...
Nel 2003 il Consiglio Pontificio per la Pastorale Sanitaria-13 Novembre “Dolentium Hominum”, ha riconosciuto la depressione come una malattia da curare e che meno di ¼ dei depressi ha accesso ad un trattamento efficace.
S.E.Card.J.L.Barragan così riassume: “L’uomo potente “homo potens” dell’era contemporanea è anche l’uomo pauroso “homo pavidus” che ha una angoscia immensa anche se spesso non osa confessarla”.
Molte sono le strade e i linguaggi che si possono intraprendere per descrivere una condizione come quella depressiva. Le scienze, la poesia, la letteratura, la pittura, la musica, ogni forma di espressione la possono esprimere nella sua umanità e in quelle condizioni iniziali che tutti conoscono come la tristezza o la demoralizzazione, ma di cui la depressione è molte volte supe...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione di Nadia Tarantini
  2. Prefazione di Claudio Mencacci *
  3. LA MENTE NEL POZZO