In copertina:
Henry Matisse, Le due sorelle, 1917
Denver Art Museum Collection
© 2020 iacobellieditore®
Tutti i diritti riservati
prima edizione elettronica: marzo 2020
prima edizione stampa: maggio 2017
www.iacobellieditore.it
isbn 978-88-6252-588-6 (elettronico)
isbn 978-88-6252-361-5 (stampa)
Variazioni sulle sorelle
di
Marina Giovannelli
postfazione di
Helen Brunner
iacobellieditore
a mia sorella, ovviamente
Una foto in bianco e nero mostra un giovane signore incappottato, con un elegante Borsalino in testa, che tiene in braccio una bambina di circa un anno, piuttosto grassottella, con un enorme fiocco tra i capelli e nessun sorriso.
Il signore è mio padre, bello e compiaciuto, che regge la bambina sul braccio sinistro ma guarda nell’obiettivo. Mi hanno detto che la bambina sono io. Anch’io guardo chi sta facendo lo scatto.
Mia madre raccontava di avermi allattata fino al compimento dei venti mesi. A quell’età – narrava – guardai il seno, feci uno strano sorriso e rifiutai.
Raccontava anche che quando nacque mia sorella – avevo due anni – la volevo buttare dalla finestra.
I miei genitori la chiamarono Fiorella, dal nome della mia bambola preferita, dicevano.
Io non ricordo di aver avuto quella bambola né che le bambole mi piacessero particolarmente; quello che ricordo è che preferivo correre, e pretendevo obbedienza dalla sorellina, alla quale invece dovevo concedere molto in quanto “più piccola”.
Capitolo I: L’oblio dell’immemorabile
Pensa (o vuole pensare) che la questione sia semplice, Simone de Beauvoir, almeno all’inizio del racconto: «Ho due anni e mezzo, e mia sorella è appena nata. A quanto pare, io ne fui gelosa, ma per poco. Per quanto lontano riesco a spingere la memoria, ero fiera d’essere la più grande: la primogenita»1.
Il rapporto fra le sorelle sembra strutturato fin dal principio e privo di componenti ambigue e tanto meno irrisolte: c’è una “primogenita” consapevole d’una sua superiorità, e una sorella minore di cui la prima non teme la presenza.
Si deve però dire che le parole pronunciate quasi di sfuggita. «A quanto pare, io ne fui gelosa, ma per poco», inducono una serie di considerazioni che Simone evita, e perciò vanno esplicitate.
Intanto “a quanto pare” è dichiarazione d’una impotenza, quella a ricordare un tempo così lontano che la memoria non ci arriva più. Pure quel tempo è esistito, e le emozioni e i sentimenti dimenticati sono stati vissuti. L’oblio dell’immemorabile, come lo chiama Paul Ricoeur2, li ha resi inaccessibili alla coscienza ma attivi nella costruzione della personalità, a insaputa del soggetto.
«Io ne fui gelosa, ma per poco» sono parole riferite, narrazioni familiari che consentono poco alla ricostruzione dei fatti così come avvennero nell’esperienza della “primogenita”, per non dire dei sentimenti della “sorellina”, altrettanto in questione nella storia del rapporto, perché, come scrive Antonia Byatt nella Storia della principessa primogenita, «Non si può conoscere la storia della primogenita senza le storie delle altre»3 (lei di sorelle minori ne aveva due).
Se Simone assume molto presto il ruolo di guida, di maestra della sorellina («mia complice, mia sottoposta»4) insegnandole precocemente a leggere e riportandone soddisfazioni immediate – «conobbi già all’età di sei anni l’orgoglio dell’efficacia»5 – il rapporto non è però esente dai conflitti interiori insiti nella condizione di bambina e sorella di un’altra bambina, cioè da quelle tensioni da “rivalità fraterna” presenti in modo temporaneo o permanente nella vita reale di fratelli e/o sorelle, perché, come chiarisce Bruno Bettelheim, «La rivalità fraterna, sia nella sua aperta espressione sia nel suo diniego, è parte della nostra vita anche negli anni della maturità»6.
Di conseguenza non stupisce quello che Simone rivela poco dopo la precedente affermazione di superiorità:
Senza formularlo chiaramente, davo per ammesso che i miei genitori riconoscevano questa gerarchia, e che ero io la loro favorita. La mia stanza dava sul corridoio dove dormiva mia sorella e in fondo al quale si apriva lo studio; dal mio letto udivo papà e mamma che parlavano, la notte, e quel pacato mormorio mi cullava; una sera il cuore quasi mi cessò di battere; con voce pacata, appena curiosa, la mamma domandava: – Quale preferisci delle due? – Aspettai che papà pronunciasse il mio nome, ma per un istante che mi parve interminabile, egli esitò: – Simone è più riflessiva, ma Poupette è così affettuosa... – Continuarono a soppesare i pro e i contro, dicendo tutto ciò che pensavano; e infine si accordarono sul fatto che ci amavano ugualmente entrambe; era proprio come si leggeva nei libri: i genitori vogliono bene in misura uguale a tutti i loro figli. Ne provai tuttavia un certo dispetto. Non avrei sopportato che uno di essi preferisse mia sorella a me; se mi rassegnai a una divisione in parti eguali fu perché mi persuasi che tornava a mio vantaggio. Più grande, più istruita, più avvertita della mia sorella minore, se papà e mamma avevano per noi lo stesso affetto, a me, per lo meno, dovevano considerarmi di più, e sentirmi più vicina alla loro maturità.7
In questa occasione Simone esprime per la prima volta il dubbio circa la propria collocazione nel cuore dei genitori e chiarisce ai lettori quale sia la vera posta in gioco nella “rivalità fraterna”: l’amore della mamma e del papà, di entrambi o, in momenti diversi della vita, dell’una o dell’altro.
Essi sono i veri protagonisti della vita interiore di un/a infante, e non è dato sapere di persona come il processo inizialmente si svolga.
Dopo la nascita, e per almeno due, tre anni, del tutto dipendenti dalle cure dei familiari e completamente dispensati da responsabilità di alcun tipo, possiamo pensare di vivere in una sorta di paradiso dove tutto è “dato” senza contropartite, dove l’amore è totale, corrisposto e insindacabile, dove si può espandere senza limiti quello che in psicoanalisi è stato chiamato “narcisismo primario”.
Se questa esperienza di felicità è un dato potenzialmente uguale per tutti e tutte, è facile immaginare come lo sia ancor più per chi nasce “primogenito”, per un periodo almeno di un anno unico protagonista della scena, al centro dell’attenzione e, può credere, dell’universo, ed è altrettanto facile capire lo strappo doloroso dovuto alla nascita di un fratellino o sorellina negli anni immediatamente successivi, anche se è impossibile dire...