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Il caso Sardegna

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Il caso Sardegna

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Esiste un "caso Sardegna" nell'immaginario emerso dalla letteratura e dal cinema a cavallo tra la fine del Novecento e il primo decennio del nuovo millennio? Lo scarto rispetto alla tradizionale immagine dell'isola è evidente e l'affresco che ne restituisce Paola Pittalis rappresenta una realtà nella quale la sfida è tutta interna a una "modernità" che ha molte facce. I saggi di questo volume ricostruiscono i percorsi da alcuni testi letterari della Sardegna ai film che a essi si ispirano (Giuseppe Fiori e Salvatore Mereu, Gavino Ledda e i fratelli Taviani, Maria Giacobbe e Michele Columbu, Salvatore Mannuzzu e Antonello Grimaldi, Michela Murgia e Paolo Virzì). Una produzione letteraria e filmica che nasce sotto il segno di una svolta rispetto alla tradizione. Nell'intreccio fra sguardi interni e sguardi esterni, nella molteplicità dei punti di vista e delle strategie narrative, emerge una vitalità nuova, che va oltre la valorizzazione della cultura dell'isola e della sua diversità e, proprio in nome della particolarità di questa storia e di questa cultura, riesce a confrontarsi con i problemi drammatici della modernità. La "vita tagliata" del pastore-bandito ucciso dalle forze dell'ordine è anche metafora della difficile condizione giovanile di oggi. Così il delitto feroce avvenuto nella Sardegna dell'interno è tragica icona di un secolo che ha prodotto Auschwitz. La cultura è strumento unico di riscatto personale e sociale. In una città di provincia, con le sue ambiguità, si svolge la ricerca complessa della verità e della giustizia. Una generazione "senza diritti" è alle prese con le tensioni del lavoro precario. Nell'elaborazione letteraria e filmica di questi mondi possibili si manifesta un caso-Sardegna: l'isola, con i suoi contributi culturali, è all'interno di una modernità italiana ed europea nella quale la sfida si gioca nel confronto fra culture diverse; insieme ne rifiuta gli aspetti negativi, i progetti di manipolazione e omologazione.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788862525039
Generazione “precaria”:
dalle pagine di Murgia alle immagini di Virzì
Insegno alla gente che viene ai miei corsi a diventare padroni delle storie, a capirne il grandissimo potere; di questi tempi sembra un atto sovversivo, perché implica ammettere una verità che la maggior parte della gente vuole disperatamente dimenticare: che noi non abitiamo solo luoghi, case o città, ma anche le storie di noi stessi che ci vengono raccontate. Chi governa le nostre storie governa noi, ci impone trame e plot, colpi di scena o finali banali, lasciandoci sempre ignari di star dentro una griglia come personaggi.
Michela Murgia, Febbraio

Il mondo deve sapere (2006), libro d’esordio di Michela Murgia, si pone come tessera conclusiva del lungo percorso compiuto attraverso la narrativa degli ultimi cinquanta anni in Sardegna (naturalmente uno dei percorsi possibili). Se Sonetàula di Fiori (1960-2000) si colloca nell’alveo del dibattito che accompagna la Rinascita1, denuncia i mali del passato e forgia un progetto del futuro, se Padre padrone di Ledda (1975) attinge la sua forza rivoluzionaria dalla consapevolezza che la cultura è strumento insostituibile di riscatto personale e sociale, se Giacobbe con Gli Arcipelaghi (1995) fa della Sardegna delle zone interne, con il suo oscuro cuore di tenebra, specchio di un mondo che ha prodotto Auschwitz, Mannuzzu con Procedura (1988) sposta lo sguardo sulla realtà urbana dell’isola, investita tutta per effetto dei processi di globalizzazione da una terribile crisi di senso. Michela Murgia, diversi anni dopo, pone al centro del suo romanzo l’ambiguità del lavoro oggi, necessità e insieme prigione: il call center da lei descritto, situato in una Sardegna che non è mai nominata, è icona di un processo drammatico di alienazione che, sempre per effetto della globalizzazione, non risparmia gli angoli periferici e può collocarsi a Oristano come a Milano e a Palermo come a Singapore.
Come il sottotitolo romanzo tragicomico di una telefonista precaria sottolinea, l’argomento del volume è strettamente legato all’esperienza di lavoro di Murgia: «Ho passato trenta giorni davanti a un video con una cornetta tecnologicamente avanzata incollata alla guancia che mi consentiva di parlare al telefono senza interruzioni e senza staccare mai le mani dalla tastiera» (Figus 2006). Per le sue particolari modalità narrative il libro rivela caratteri di forte novità: si colloca non solo al di fuori del territorio della Sardegna, ma fuori dal solco del romanzo tradizionale, nella sua natura di testo ibrido nato dalle note di un blog2.
Il libro diventa un bestseller, dal quale è tratto un fortunato spettacolo teatrale per la regia di David Emmer, con Teresa Saponangelo, e che ispira al regista Paolo Virzì il film Tutta la vita davanti (autori della sceneggiatura Francesco Bruni e lo stesso Virzì). In un’intervista, il regista racconta di essere rimasto colpito dal libro di Michela Murgia, «intelligente e caustico», dedicato a un luogo di lavoro tanto discusso quanto ignorato e poco raccontato, «un inferno di sottoccupazione, ancora più beffardo perché rivestito di scintillante modernità (telefonini, computer)». L’intento di Virzì va oltre la raffigurazione del mondo del call center: è quello di raccontare «la nuova povertà, la generazione senza diritti», quello, infine, di «fare un film sullo stato dei diritti oggi», in Italia (D’Agostini 2008). In Italia, dunque, non in Sardegna.
Il processo di deterritorializzazione avviato nel libro (per cui l’esperienza si svolge in un call center dell’isola, ma l’isola non si vede, né viene nominata) trova il suo compimento nel film: la protagonista proviene da un’isola (ma è la Sicilia, non la Sardegna); la storia si svolge per larghi tratti in una Roma suburbana squallida e caotica, ma tocca o lascia intravedere luoghi diversi, da Palermo all’America; il linguaggio è un italiano al quale si mescolano frasi e modi di dire in romanesco e in siciliano; il genere filmico, a partire dai tratti di una rinnovata “commedia italiana”, può configurarsi come un reality, più che come un festoso e in apparenza innocente musical.
Sulle peculiarità de Il mondo deve sapere, Laura Fortini scrive:

non solo si pone, almeno apparentemente, fuori la tradizione letteraria, ma si colloca anche fuori o almeno altrove rispetto il territorio di provenienza, in quanto presenta una voluta deterritorializzazione della rappresentazione del lavoro precario: perché il racconto potrebbe essere ambientato in un qualsiasi call center del territorio isolano, a Milano come a Palermo, a Roma come in Sardegna, o anche [...] in un qualsiasi call center del nord e del sud del mondo. Nonostante ciò vi sono tracce nel testo di una realtà territoriale non sempre e no...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. copertina
  3. informazioni
  4. frontespizio
  5. dedica
  6. Introduzione
  7. La vita “tagliata” di Sonetàula: dal romanzo di Fiori al film di Mereu
  8. Educazione di un pastore: l'utopia di Ledda e quella dei Taviani
  9. Arcipelaghi della memoria: il romanzo di Maria Giacobbe e le sue trasposizioni
  10. Indagine e “procedure”: nel romanzo di Mannuzzu e nel film di Grimaldi
  11. Generazione “precaria”: dalle pagine di Murgia alle immagini di Virzì
  12. L'autrice
  13. la casa editrice