Capitolo 1
L’amore per Vanessa. Ingredienti:
la gelosia e una spruzzatina d’incesto
A Vanessa Bell anche se non ho trovato una frase
degna del tuo nome.
(dedica di Notte e Giorno)
Ricordo, poi, la vastità e il mistero della landa buia sotto il tavolo della stanza dei giochi, dove sembrava in corso un’avventura senza fine, benché il tempo passato là sotto fosse in realtà così breve. Là m’imbattei in tua madre […] Galleggiavamo insieme come navi su un oceano immenso, quando lei mi chiese se i gatti neri avessero la coda. Risposi che no, non l’avevano, dopo una pausa in cui la sua domanda parve cadere echeggiando giù per vasti abissi prima immoti. (V. W. 2003, p. 37)
Vanessa Stephen, sorella maggiore di Virginia nata il 30 maggio 1879, fu la prima donna mai amata di un amore che esulò dai meri legami di sangue. Il brano citato costituisce uno dei ricordi d’infanzia più lontani che la scrittrice dedicò a Julian, primogenito di Vanessa e Clive Bell. Le due sorelle formavano un nucleo inscindibile anche se questa unicità fu forse avvertita, nel corso degli anni, più da Woolf che da Nessa. Sotto il tavolo della nursery bastava essere insieme e la brevità dell’attimo si espandeva in una «avventura senza fine» dove la semplice contingenza di una domanda infantile – «se i gatti neri avessero la coda» – viene trasfusa di tenerezza fino a rendersi dono, offerta d’attenzione che Virginia ricevette dalla sorella.
Vanessa, maggiore di tre anni e quattro mesi, era la primogenita dei fratelli e sorelle Stephen (George, Gerald e Stella Duckworth erano nati dal primo matrimonio di Julia che, rimasta vedova, sposò Leslie Stephen, a sua volta già vedovo e padre di Laura). Dopo Vanessa, l’8 settembre 1880, nacque Thoby e Virginia, la terzogenita, ruppe in qualche modo il sodalizio fra gli altri due. Come osserva Jane Dunn: «L’arrivo di Virginia pose fine all’armoniosa simmetria della loro vita nella nursery, e un sentimento di possesso entrò nel loro mondo accogliente e appartato» (Dunn 2004, p. 27).
Già in quegli anni, si delineò quindi il primo ingrediente dell’amore di Woolf per la sorella: la gelosia; in questo caso per accaparrarsi entrambe l’affetto di Thoby. Unita alla gelosia si sviluppò comunque la necessità di concentrare l’attenzione di Nessa su di sé. Nella famiglia vittoriana allargata, dove era soprattutto la servitù e non la madre Julia, peraltro oberata di prole, a occuparsi dei bambini, la piccola Ginia si sentì trascurata e crebbe affamata di coccole e tenerezza.
Il 5 maggio 1895, quando Julia morì di febbri reumatiche, fu Stella Duckworth, la figlia maggiore, che assunse il ruolo di mater familias. Nel diario che lei stessa scrisse il 21 ottobre 1896 si legge: «Da Seton con Ginia. lui dice che deve abbandonare completamente le lezioni e deve stare fuori 4 ore al giorno. Poi tornare da lui fra 4 settimane» (trad. mia). La pagina di diario scritta da Stella, con l’evidente errore di punteggiatura, è stata esposta alla mostra Virginia Woolf: Art, Life and Vision curata da Frances Spalding per la National Portrait Gallery nel settembre 2014. Colpisce la grafia nitida e meticolosa di una sorella-madre attenta alle esigenze mediche della quattordicenne Virginia che, dopo la morte di Julia, aveva subito il primo crollo nervoso.
Ma la difficoltà maggiore per Stella fu affrontare Leslie Stephen che, piegato dalla tragedia della seconda vedovanza, riversava sulla figliastra tutti i malumori del suo carattere instabile, insofferente ed egocentrico. Di una misoginia tirannica, Leslie esigeva che le donne stessero in casa, pronte a servirgli il tè e ad ascoltare i suoi tumultuosi sfoghi.
Fu per sottrarsi alle angherie del patrigno che Stella sposò John Waller Hills, meglio conosciuto come Jack Hills, nel 1897. Pare infatti che la figliastra dovesse sostituire la madre Julia in tutto e per tutto, anche nei doveri coniugali, trasformandosi per Leslie in amante. Il 24 luglio 1910, dopo che Adrian, il minore dei fratelli e sorelle Stephen, ebbe ritrovato e letto un diario postumo di Stella, Vanessa scrisse a Virginia che non si capacitava di come la sorella maggiore fosse riuscita a vivere fino ai ventotto anni: il solo pensiero di come fosse stata la sua vita fino ad allora la riempiva di orrore. Non solo, la casa al 22 di Hyde Park Gate era frequentata da un cugino, James Fitzjames Stephen, figlio di un fratello di Leslie che era scrittore, avvocato e giudice. James Fitzjames era malato di mente e fu curato da quel dottor Savage che si occupò anche di Virginia. Negli anni Settanta sono sorte teorie che ritenevano che Jack Lo Squartatore fosse proprio lui, sulla base di poesie misogine che trattavano anche di prostitute uccise ma, nonostante la pericolosità del soggetto, per Julia era sempre il benvenuto e veniva spesso in visita. Purtroppo però iniziò a molestare Stella che gli si sarebbe concessa per lento e tormentoso logorio e perché ci si aspettava comunque dalla donna vittoriana una silenziosa accondiscendenza verso il maschio. Alla fine, quando Jack Hills si profilò all’orizzonte, Stella lo sposò per sfuggire alle violenze sessuali di cugino e patrigno.
Leslie Stephen contrastò il matrimonio ma poi capitolò dietro la promessa che i novelli sposi avrebbero traslocato a solo due numeri civici più in là. Ancora oggi, entrando nel cul de sac di Hyde Park Gate che, come allora, è una via residenziale di Kensington, le due case si trovano a sinistra dopo quella di Churchill che si trova invece sull’altro lato. Bastarono pochi passi sullo stesso marciapiede e Stella si trasferì da una prigione all’altra. La povera “vecchia mucca”, ribattezzata così in famiglia per la sua indole docile e servizievole, morì di peritonite nel bianco palazzo elegante alla fine della strada. Era il 19 luglio 1897, aveva ventotto anni ed era incinta.
Rimaste le sole due femmine in casa (Laura, la primogenita di Leslie, era un soggetto psichiatrico e spesso veniva isolata), Virginia e Vanessa rinsaldarono il loro legame. Come commentò Woolf: «la pietra più opprimente posata sopra la nostra vitalità nella lotta per la sopravvivenza era naturalmente il babbo» (V. W. 2003, p. 184). Vanessa dovette sostituirsi a Stella, soprattutto nel controllo delle spese di casa, e il mercoledì
era il giorno in cui si mostravano al babbo i conti della settimana. Già dal mattino sapevamo se si era superato o meno il segnale di guardia […] Il suo pugno si abbatteva sul libro mastro. Gli si gonfiavano le vene, il volto s’infiammava. Si udiva un ruggito inarticolato. Poi il grido… “Sono rovinato”. Poi si batteva il petto. Poi dava inizio a una magistrale drammatizzazione di autocommiserazione, orrore, collera. Vanessa stava ritta al suo fianco in silenzio. Lui l’assaliva con rimproveri, insulti. (ivi, pp. 184-85)
Il silenzio di Vanessa era il solo atteggiamento che poteva mostrare per ribellarsi al padre: rifiutandosi di reagire o di commiserarlo lo faceva infuriare ancora di più.
Secondo lo studioso Herbert Marder esiste un parallelismo fra Jonathan Swift e Leslie Stephen. Il nome “Vanessa” fu infatti scelto dal padre in omaggio a Swift di cui stava scrivendo la biografia. Sia Stella che Vanessa erano i nomi di due amanti, molto più giovani, dell’autore de I viaggi di Gulliver. Della seconda, Swift fu anche tutore. Un giorno Vanessa chiese per lettera a Stella, l’altra amante, se era vero che lo scrittore l’aveva sposata in segreto e, quando Swift venne a conoscenza della corrispondenza intercorsa fra le due donne, gettò in aria la lettera e si allontanò come una furia. Per Marder, la storia dell’ambigua relazione di Swift con Vanessa, di cui era anche responsabile, si riflette nella dipendenza morbosa di Leslie nei confronti delle sue figlie più grandi.
Comunque, Leslie non fu l’unica presenza maschile che le sorelle Stephen dovettero fronteggiare. È risaputo che Virginia Woolf subì molestie sessuali dai fratellastri: il diciottenne Gerald Duckworth, quando lei aveva sei anni, la mise a sedere su un mobile e le esplorò la vagina, mentre George incluse anche Vanessa nei suoi assalti: nel 1901, la diciannovenne Virginia rincasò da un ballo di società e
Mi ero quasi addormentata. La stanza era buia. La casa silenziosa. Quando, con uno scricchiolio furtivo si aperse la porta; a passi guardinghi qualcuno entrò: “Chi è” gridai. “Non avere paura,” bisbigliò George. “E non accendere la luce, oh cara. Cara…” e si buttò sul mio letto e mi prese tra le braccia. Già, le vecchie distinte signore di Kensington e di Belgravia non seppero mai che George Duckworth era non soltanto padre e madre, fratello e sorella per quelle povere ragazze Stephen; era pure il loro amante. (V. W. 2003, p. 226)
È indubbio che anche Vanessa fosse vittima di tali violenze. Pertanto non è plausibile che Quentin Bell, suo figlio, le definisca soltanto nasty erotic skirmish, ossia «disgustose schermaglie erotiche» (Bell 1996, p. 43). È vero che nel resoconto di quanto accadeva in camera di Virginia mancano dettagli più precisi ma, come sostiene Karyn Z. Sproles nel suo saggio, la scena è resa così drammatica da suggerire una dissociazione rispetto a quanto avvenuto che è tipica delle donne violentate.
Invece Nigel Nicolson, così come Quentin Bell, minimizza il comportamento di George. A comprova del fatto che, secondo Nicolson, non deve esser successo più che uno sfiorar di spalle o di capelli, le lettere di Virginia al fratellastro sono affettuosissime ed è difficile credere che si sarebbe espressa così nei confronti del proprio violentatore. Non si può neanche pensare – sempre a parere di Nicolson – che nel 1900 e nel 1902 Vanessa viaggiasse da sola col suo aguzzino prima a Parigi poi a Roma. Woolf avrebbe dunque travisato tutto perché era eccessivamente pudica e perché di...